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Pronuncia 267/1995

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE; Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 666, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1993 dal Pretore di Potenza nel procedimento esecutivo nei confronti di Caraffa Vito iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Ritenuto che con ordinanza dell'11 dicembre 1993 il Pretore di Potenza, quale giudice dell'esecuzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 666, comma secondo, del codice di procedura penale, in riferimento agli articoli 3 e 101, secondo comma, della Costituzione; che nel sollevare la questione il giudice rimettente espone, in punto di fatto, che, successivamente alla proposizione di una richiesta di restituzione di cauzione (in precedenza imposta, ex art. 85 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, quale condizione per la restituzione di un bene già sottoposto a sequestro preventivo nel corso del procedimento penale), avanzata dall'interessato dopo la formazione del giudicato, ma respinta dal medesimo giudice rimettente sull'assunto che tale provvedimento avrebbe dovuto essere adottato dal pubblico ministero quale organo dell'esecuzione, era stata rivolta, sempre al rimettente, nuova identica istanza di svincolo della cauzione da parte del pubblico ministero, cui medio tempore l'interessato si era rivolto in base alla accennata precedente statuizione; che, in tale situazione, sussisterebbero, secondo l'ordinanza di rinvio, gli estremi della situazione di mera riproposizione di una precedente richiesta già respinta, tale da legittimare una declaratoria di inammissibilità dell'ulteriore richiesta, a norma dell'art. 666, comma secondo, del codice di procedura penale; che tuttavia, ad avviso del giudice a quo, quest'ultima norma precluderebbe, per il suo tenore letterale, l'adozione di una simile declaratoria, in particolare in ragione dei riferimenti ivi contenuti alla necessità di previa audizione del pubblico ministero e della difficoltà di configurare l'audizione dell'interessato in siffatta ipotesi; che, muovendo da questa premessa interpretativa, il giudice a quo ravvisa nella norma impugnata un profilo di violazione dell'art. 3 della Costituzione (programmaticamente sviluppato come principio di parità delle parti nell'art. 2, punto 3) della legge-delega n. 81 del 1987), per ingiustificata diversificazione del trattamento accordato alla parte privata rispetto al pubblico ministero; che ulteriore profilo di illegittimità costituzionale è dedotto con riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in base al rilievo per cui il giudice investito della richiesta del pubblico ministero si troverebbe obbligato a instaurare in ogni caso un procedimento camerale, con sottrazione del potere di delibazione anticipata dei presupposti di ammissibilità della richiesta, potere viceversa accordato nell'ipotesi reciproca di richiesta ripetuta dalla parte privata; che è intervenuto in giudizio il presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, rilevando una inadeguata esposizione della vicenda processuale di cognizione ai fini del controllo sulla rilevanza, e sottolineando comunque la possibilità di una diversa lettura della norma impugnata, ha concluso per una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza della questione; Considerato che l'eccezione, sollevata dall'interveniente, di inammissibilità per difetto di esposizione dei fatti processuali da parte del giudice a quo - ai fini della verifica sulla rilevanza del quesito - non può essere accolta, in quanto le indicazioni contenute al riguardo nell'ordinanza di rinvio presuppongono logicamente che non vi sia stata alcuna statuizione in ordine alla sorte della cauzione nell'ambito del processo di cognizione; che, nel sollevare la questione, il giudice a quo - che ritiene di dover applicare la disposizione generale in tema di procedimento di esecuzione ex art. 666 del codice di procedura penale, in luogo di ricorrere a diverse previsioni specificamente concernenti la restituzione di cose sequestrate, secondo una scelta allo stesso affidata e non censurabile in sede di controllo di costituzionalità - muove da una interpretazione palesemente erronea della norma richiamata, in quanto il comma 2 impugnato assoggetta alla medesima disciplina la richiesta in executivis, da qualunque parte essa provenga; che pertanto la questione, sollevata in base al detto presupposto, deve essere dichiarata, per tale profilo, manifestamente infondata; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 666, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 101, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Potenza, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1995. Il Presidente: BALDASSARRE Il redattore: CAIANIELLO Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 19 giugno 1995. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

Relatore: Vincenzo Caianello

Data deposito:

Tipologia: O

Presidente: BALDASSARRE

Massime

ORD. 267/95. PROCESSO PENALE - ESECUZIONE - POTERE DEL GIUDICE DI DICHIARARE L'INAMMISSIBILITA' DI RICHIESTE COSTITUENTI MERA RIPROPOSIZIONE DI ISTANZE GIA' RIGETTATE BASATE SUI MEDESIMI ELEMENTI AVANZATE DALL'INTERESSATO O DAL DIFENSORE - RITENUTA ESCLUSIONE DI TALE POTERE PER QUELLE PROVENIENTI DAL PUBBLICO MINISTERO - LAMENTATA DISPARITA' DI TRATTAMENTO PER SITUAZIONI IDENTICHE CON PRIVILEGIO DELLA PARTE PUBBLICA - COMPRESSIONE DEI POTERI GIURISDIZIONALI DEL GIUDICE DELL'ESECUZIONE - ERRONEITA' DEL PRESUPPOSTO INTERPRETATIVO DA CUI MUOVE IL GIUDICE "A QUO" - ASSOGGETTABILITA' ALLA MEDESIMA DISCIPLINA DELLA RICHIESTA DA QUALUNQUE PARTE PROVENGA - MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE.

Il potere del giudice dell'esecuzione di dichiarare inammissibile una richiesta che costituisca mera riproposizione di altra gia' rigettata e' esercitabile da qualunque parte la richiesta provenga. Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice "a quo", tale potere puo' essere esercitato, quindi, anche qualora la nuova richiesta sia stata avanzata dal pubblico ministero, ed essa abbia contenuto identico a quello di una richiesta in precedenza avanzata dall'interessato e gia' rigettata. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 101 Cost., dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen.) red.: G. Conti