Pronuncia 355/2007

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 410-bis, comma secondo, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 27 aprile 2006 dal Giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso nel procedimento civile vertente tra Anselmi Claudia e la Cimba s.r.l., iscritta al n. 96 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2007. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano. Ritenuto che, nel corso di un processo in materia di regolarizzazione del rapporto, intrapreso da un dipendente nei confronti del datore di lavoro, il Giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso, con ordinanza del 27 aprile 2006, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 410-bis, comma secondo, del codice di procedura civile, in riferimento all'art. 111, comma secondo, della Costituzione; che il giudice a quo riferisce che il deposito del ricorso introduttivo del processo non è stato preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 412-bis, comma primo, cod. proc. civ., come condizione di procedibilità della domanda, perché lo stesso, già fissato dalla Commissione di conciliazione presso la Direzione Provinciale del lavoro di Treviso, non è stato espletato a seguito del mancato accoglimento della richiesta di differimento, congiuntamente presentata dalle parti, e della conseguente archiviazione per mancata comparizione delle stesse alla data della originaria convocazione; che il giudice rimettente  ricordato che, secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 276 del 2000), il tentativo obbligatorio di conciliazione legittimamente incide sul diritto di azione, con un «impedimento obiettivamente limitato e non irragionevole», in quanto finalizzato a soddisfare l'interesse generale ad un processo celere e ad una composizione rapida delle controversie per via di composizione preventiva della lite  osserva come la tutela dell'interesse sopra richiamato non possa concretizzarsi in un mero differimento temporale dell'esercizio della giurisdizione, ma debba tradursi nell'effettivo espletamento del tentativo di conciliazione stesso; che, pertanto,  a giudizio del rimettente  non sarebbe manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 410-bis, comma secondo, cod. proc. civ., per violazione dell'art. 111, comma secondo, Cost., laddove lo stesso  in combinato disposto con l'art. 412-bis cod. proc. civ.  consente il non effettivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione; che, di conseguenza, non sarebbe consentito omettere l'espletamento del tentativo di conciliazione quando  come nel caso di specie  lo stesso sarebbe stato praticabile «oltre un anno prima della presentazione del ricorso in sede giurisdizionale», poiché, prosegue il rimettente, tale istituto sarebbe «posto a presidio di interessi generali quali la deflazione delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro e la possibilità di assicurare all'interessato un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguibile attraverso il processo»; che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, in quanto, avendo riguardo al meccanismo previsto dagli artt. 410 e seguenti cod. proc.civ. e alla luce di quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la ricordata sentenza n. 276 del 2000, la norma censurata sarebbe «modulata secondo linee che rendono intrinsecamente ragionevole il limite all'immediatezza della tutela giurisdizionale»; che, quindi, prosegue la difesa erariale, la dilatazione sine die dell'esercizio dell'azione giudiziale (se tale esercizio fosse condizionato all'effettivo espletamento del tentativo di conciliazione), oltre a risultare irragionevole ed illogica, verrebbe a confliggere con il principio, stabilito dall'art. 111, comma secondo, Cost., della ragionevole durata del processo, principio richiamato dallo stesso rimettente. Considerato che, il Giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso dubita, in riferimento all'art. 111, comma secondo, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 410-bis, comma secondo, del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede che, nel processo del lavoro, trascorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, esso si considera comunque espletato ai fini di cui all'art. 412-bis, cod. proc. civ.; che questione analoga è stata già sollevata dall'attuale rimettente e sottoposta al vaglio di questa Corte, la quale,  dopo aver affermato che costituisce principio ormai consolidato nella giurisprudenza costituzionale quello enunciato dalla sentenza n. 276 del 2000, secondo cui «il legislatore può imporre condizioni all'esercizio del diritto di azione se queste, oltre a salvaguardare interessi generali, costituiscono, anche dal punto di vista temporale, una limitata remora all'esercizio del diritto stesso»  ha dichiarato la stessa manifestamente inammissibile, con ordinanza n. 436 del 2006; che, in particolare, nella citata ordinanza, la Corte ha osservato che «la pretesa del rimettente, secondo la quale gli interessi generali dovrebbero comunque prevalere impedendo l'esercizio del diritto di azione fino a quando il tentativo di conciliazione non sia stato effettivamente espletato, non solo è contraddittoria rispetto al parametro costituzionale evocato, ma si risolve nel contrapporre una propria soggettiva valutazione al bilanciamento degli interessi, operato dalla legge, che questa Corte ha più volte ritenuto non solo consentito, ma imposto dai valori costituzionali implicati»; che tale orientamento  per l'identità dei presupposti e della ratio  deve essere, nella specie, confermato, con conseguente dichiarazione di manifesta inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 410-bis, comma secondo, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all'art. 111, comma secondo, della Costituzione, dal Giudice unico del lavoro del Tribunale di Treviso con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2007. F.to: Franco BILE, Presidente Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2007. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

Relatore: Paolo Maria Napolitano

Data deposito: Fri Oct 26 2007 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: O

Presidente: BILE

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Massime

Lavoro (Controversie in materia di) - Tentativo obbligatorio di conciliazione - Mancato esperimento dello stesso nel termine stabilito - Prevista equipollenza all'esperimento del tentativo - Lamentata violazione del principio di ragionevole durata del processo - Facoltà del legislatore di imporre limitati vincoli all'esercizio del diritto di azione per la salvaguardia di interessi generali - Contraddittorietà dell'ordinanza di rimessione - Manifesta inammissibilità della questione.

E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 410- bis, comma secondo, del codice di procedura civile, censurato, in riferimento all'art. 111, comma secondo, della Costituzione, nella parte in cui prevede che, nel processo del lavoro, trascorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, esso si considera comunque espletato ai fini di cui all'art. 412- bis , cod. proc. civ. Il legislatore può imporre condizioni all'esercizio del diritto di azione se queste, oltre a salvaguardare interessi generali, costituiscono, anche dal punto di vista temporale, una limitata remora all'esercizio del diritto stesso, e la pretesa del rimettente, secondo la quale «gli interessi generali» dovrebbero comunque prevalere impedendo l'esercizio del diritto di azione fino a quando il tentativo di conciliazione non sia stato effettivamente espletato, oltre ad essere contraddittoria rispetto al parametro costituzionale evocato, si risolve nel contrapporre una propria soggettiva valutazione al bilanciamento degli interessi, imposto dai valori costituzionali implicati. - Negli stessi termini vedi, citata, ordinanza n. 436/2006.

Parametri costituzionali