Articolo 111 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Il giudice a quo non può riproporre, nel medesimo grado di giudizio, una questione già dichiarata non fondata, in quanto una simile iniziativa si porrebbe in contrasto con il disposto dell'ultimo comma dell'art. 137 Cost., secondo cui contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione. Il rimettente può rivolgersi nuovamente alla Corte, dopo la declaratoria di non fondatezza, solo ove proponga una questione diversa dalla precedente in rapporto agli elementi che la identificano: ossia norme censurate, profili di incostituzionalità dedotti e argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta illegittimità costituzionale. Di contro, il giudice a quo è abilitato a sollevare una seconda volta la medesima questione nello stesso giudizio quando questa Corte abbia emesso una pronuncia a carattere non decisorio, fondata su motivi rimovibili dal rimettente, dato che, in tal caso, la riproposizione non collide con la previsione dell'art. 137, ultimo comma, Cost. Ciò, alla ovvia condizione che il giudice a quo abbia rimosso il vizio che aveva impedito l'esame di merito della questione. ( Precedenti: S. 115/2019 - mass. 42268; S. 66 del 2019 - mass. 42111; S. 252/2012 - mass. 36712; S. 113/2011 - mass. 35540; S. 189/2001 - mass. 26313; S. 225/1994 - mass. 23105; O. 183/2014 - mass. 38049; O. 371/2004 - mass. 28883; O. 399/2002 - mass. 27281 ) . (Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili - per proposizione di questioni analoghe ad altre già dichiarate manifestamente inammissibili, nonché per richiesta di pronuncia additiva implicante scelte discrezionali riservate al legislatore - le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 8 CEDU - dell'art. 191 cod. proc. pen. nella parte in cui, in base all'interpretazione del diritto vivente, non prevede la sanzione dell'inutilizzabilità di tutti i risultati probatori delle perquisizioni ed ispezioni illegittime, personali e domiciliari, operate dalla polizia giudiziaria. Il rimettente propone questioni di legittimità costituzionale analoghe ad altre già proposte nello stesso grado di giudizio, dichiarate inammissibili e poi manifestamente inammissibili con pronuncia avente carattere incontestabilmente decisorio e, quanto alle questioni non precluse, fonda il petitum su una richiesta di addizione implicante scelte discrezionali riservate al legislatore). ( Precedenti: S. 252/2020 - mass. 42715; S. 219/2019, O. 116/2022 - mass. 44762 ).
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, in riferimento agli artt. 2, 13, 14 e 111, sesto comma, Cost. - dell'art. 352 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il decreto del PM, di convalida della perquisizione eseguita d'iniziativa dalla PG, debba essere motivato. La norma censurata si presta ad una interpretazione conforme a Costituzione in quanto, benché il riferimento all'«atto motivato» compaia solo nel secondo comma dell'art. 13 Cost., a proposito delle perquisizioni disposte ab origine dall'autorità giudiziaria, e non nel successivo terzo comma, a proposito della convalida dei «provvedimenti provvisori» adottati dall'autorità di pubblica sicurezza nei casi eccezionali di necessità e urgenza, tassativamente indicati dalla legge, l'esigenza della motivazione anche della convalida deve ritenersi implicita nel dettato costituzionale, rimanendo altrimenti frustrata la ratio della garanzia apprestata dall'art. 13 Cost. Non avrebbe senso, infatti, che la norma costituzionale richieda l'atto motivato quando l'autorità giudiziaria, titolare ordinaria del potere, operi di sua iniziativa, e non pure nell'ipotesi - più delicata - in cui sia chiamata a verificare se la polizia giudiziaria abbia agito nell'ambito dei casi eccezionali di necessità e urgenza nei quali la legge le consente di intervenire. Un'esegesi letterale della norma determinerebbe, d'altro canto, una ingiustificabile differenza di disciplina rispetto alla analoga ipotesi della convalida del sequestro, per la quale invece la motivazione è richiesta (art. 355, comma 2, cod. proc. pen). Infine, va aggiunto che la motivazione del decreto di convalida della perquisizione risulta ora espressamente imposta dal nuovo testo dell'art. 352, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 17, comma 1, lett. d ), numero 1), del d.lgs. n. 150 del 2022, non ancora entrato in vigore a seguito del differimento disposto dall'art. 6 del d.l. n. 162 del 2022, come convertito. ( Precedente: S. 252/2020 - mass. 42717 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, in riferimento agli artt. 2, 13, 14 e 111, sesto comma, Cost. - dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la nullità, per difetto di motivazione, del decreto del PM, di convalida della perquisizione, sia assoluta e rientri tra quelle considerate dall'art. 179, comma 2, cod. proc. pen. La previsione di una nullità di carattere relativo non rende impossibile o eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto di difesa della parte interessata poiché - intervenendo di regola la perquisizione nella fase delle indagini preliminari - essa è posta in grado di eccepire l'eventuale nullità della convalida fino alla chiusura della discussione nell'udienza preliminare o, se questa manchi, nella fase degli atti introduttivi del dibattimento, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1, cod. proc. pen. (art. 181, comma 2, cod. proc. pen.). Diversamente, accogliendo le questioni, si perverrebbe all'incongruo risultato di attribuire all'obbligo di motivazione del decreto di convalida della perquisizione uno "statuto rafforzato" persino rispetto all'obbligo di motivazione delle sentenze.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. l'art. 16- septies , comma 2, lett. g ), del d.l. n. 146 del 2021, come conv., il quale stabilisce che, fino al 31 dicembre 2025, nei confronti degli enti sanitari calabresi non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive e che i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla Regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione non producono effetti dalla suddetta data. La disposizione censurata dai Tribunali di Crotone e di Cosenza e dal TAR per la Calabria, pur affrontando i gravi problemi dell'organizzazione sanitaria calabrese con un disegno articolato e coerente, denuncia un vizio di sproporzione proprio in ordine al trattamento dei creditori muniti di titolo esecutivo. Se, infatti, la crisi dell'organizzazione sanitaria della Regione Calabria è di tale eccezionalità da giustificare in linea di principio una specifica misura provvisoria di improcedibilità esecutiva e inefficacia dei pignoramenti - non essendo irragionevole, a fronte di una situazione così straordinaria, che le iniziative individuali dei creditori, pur muniti di titolo esecutivo, si arrestino per un certo lasso di tempo -, la discrezionalità del legislatore non può tuttavia trascendere in un'eccessiva compressione del diritto di azione e in un'ingiustificata alterazione della parità delle parti in fase esecutiva, mancando l'obiettivo di un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco, stante l'applicazione della garanzia della tutela giurisdizionale assicurata dall'art. 24 Cost. anche la fase dell'esecuzione forzata. Nell'esercizio della sua discrezionalità, valuterà il legislatore l'introduzione di una misura temporanea di improcedibilità delle esecuzioni e di inefficacia dei pignoramenti, qualora risulti indispensabile in rapporto all'eccezionalità dei presupposti, osservando tuttavia i sopra enunciati limiti, circa la platea dei creditori interessati, l'obiettività delle procedure e la durata della misura, e tenendo altresì conto degli effetti medio tempore prodottisi. ( Precedenti: S. 140/2022 - mass. 44836; S. 236/2021 - mass. 44374; S. 168/2021 - mass. 44193; S. 128/2021 - mass. 43960; S. 186/2013 - mass. 37215; S. 321/1998 - mass. 24090 ).
Il difetto di una complessiva ricostruzione del quadro normativo rilevante compromette irrimediabilmente l'iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure, precludendone lo scrutinio. ( Precedenti: S. 28/2022 - mass. 44614; S. 259/2021 - mass. 44433; S. 267/2020 - mass. 43082; S. 150/2019 - mass. 41415, S. 27/2015 - mass. 38256; S. 165/2014 - mass. 38001; S. 276/2013 - mass. 37460; O. 76/2022 - mass. 44691; O. 108/2020 - mass. 43446; O. 244/2017 - mass. 40153; O. 280/2020 - mass. 43593 ). (Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost. e all'art. 47 CDFUE, dell'art. 3, comma 1, lett. a , b e c , del d.l. n. 99 del 2017, come conv., che, nell'ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa, disciplina le passività, i debiti e le controversie che non rientrano nella cessione, anche in deroga all'art. 2741 cod. civ. L'ordinanza di rimessione denota una insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo e una incompleta ricostruzione del quadro normativo rilevante, perché motiva la rimessione supponendo che le norme censurate - qualificate come norme-provvedimento, perché si occupano di un singolo contratto, incidono sulla sola convenzione di cessione, disciplinano un numero limitato di fattispecie e rivelano un contenuto concreto, ispirato da particolari esigenze - abbiano comportato che, con l'azienda bancaria, siano state trasferite tutte le attività e passività aziendali, tranne quelle risarcitorie e restitutorie analoghe al debito oggetto del giudizio civile pendente. Al contrario, il decreto-legge censurato consentiva ai commissari liquidatori di cedere al soggetto individuato l'azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, per l'effetto obbligando il cessionario a rispondere solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione concretamente attuata dalle parti del contratto. Né l'ordinanza di rimessione spiega se il debito, rispetto al quale la convenuta Intesa Sanpaolo spa si dichiara estranea, ovvero priva di titolarità del rapporto o carente di legittimazione passiva, rientri fra quelli restitutori nei confronti degli azionisti e obbligazionisti subordinati della ceduta Banca Popolare di Vicenza spa, i quali, in quanto passività consolidate anteriori al trasferimento, rimangono esclusi dalla cessione per l'operatività della regola del burden sharing . Le questioni, peraltro, sono inammissibili anche con riguardo alla lacunosa e contraddittoria prospettazione del rimettente quanto al tipo di intervento richiesto onde porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale, non desumendosi in maniera univoca, né dal dispositivo, né dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione, se il giudice a quo invochi una generale ablazione di tutti i casi esclusi dalla cessione, o, piuttosto, un intervento manipolativo-additivo che estenda la responsabilità della cessionaria rispetto alle pretese risarcitorie o restitutorie degli acquirenti di azioni emesse dalle due Banche venete).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per sopravvenuta carenza di oggetto, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dai Tribunali di Cosenza e di Napoli, entrambi in funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. - dell'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020, come conv., che, nel contesto delle misure urgenti di gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, ha previsto la proroga della sospensione delle esecuzioni e l'inefficacia dei pignoramenti nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale, dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021. La sentenza n. 236 del 2021 ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata in senso conforme al petitum del rimettente. ( Precedenti: S. 236/2021 - mass. 44376; O. 172/2022 - mass. 45006; O. 102/2022 - mass. 44906; O. 206/2021 - mass. 44207; O. 93/2021 - mass. 43872; O. 125/2020 - mass. 42579; O. 105/2020 - mass. 43436; O. 71/2017 - mass. 39403 ).
Sono dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dai Tribunali di Cosenza e di Napoli, entrambi in funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. - dell'art. 117, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020, come conv., che, nel contesto delle misure urgenti di gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, ha previsto la sospensione delle esecuzioni e l'inefficacia dei pignoramenti nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale fino al 31 dicembre 2020. I rimettenti non portano argomenti nuovi rispetto a quelli giudicati non fondati dalla sentenza n. 236 del 2021. ( Precedenti: S. 236/2021 - mass. 44374; O. 172/2022 - mass. 45007; O. 82/2022 - mass. 44660, O. 224/2021 - mass. 44398, O. 214/2021 - mass. 44330, O. 165/2021 - mass. 44119; O. 111/2021 - mass. 43877, O. 204/2020 - mass. 42950, O. 93/2020 - mass. 43421; O. 81/2020 - mass. 42576 ).
Sono dichiarate inammissibili, per la richiesta di un intervento additivo precluso alla Corte costituzionale, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte dei conti, sez. giurisd. per la Campania, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dell'art. 83, commi 1 e 2, cod. giustizia contabile, come modificato dall'art. 44 del d.lgs. n. 114 del 2019, che rispettivamente prevedono il divieto di chiamata in causa di altri soggetti non evocati in giudizio dal p.m. e impongono comunque all'autorità giudiziaria di valutare la responsabilità di tutti i soggetti concorrenti nell'illecito ai fini della decisione sull'eventuale scomputo di quote di responsabilità a carico dei convenuti. La norma censurata non esclude il possibile esercizio, da parte del giudice, in caso di «fatti nuovi», del potere officioso di segnalazione al p.m., che, titolare del potere di azione, potrà invitare il terzo a dedurre, al fine di discolparsi. Se invece la ipotizzata corresponsabilità del terzo derivi da un diverso apprezzamento da parte del giudice di fatti già valutati dal p.m., è giustificato il fatto che il terzo non possa essere chiamato a intervenire in giudizio, perché significherebbe un'inammissibile estensione officiosa della domanda del p.m., senza la garanzia, per il terzo, di una previa formale istruttoria e soprattutto senza il previo invito, a quest'ultimo, a dedurre e a discolparsi. Quanto, infine, alla possibilità di un'iniziativa volontaria del terzo stesso, essa implica la costruzione di una fattispecie processuale di suo intervento in giudizio e, prima ancora, di denuntiatio litis , che appaiono scelte di sistema, e che richiederebbero un intervento additivo precluso, perché devolute al legislatore, il quale dispone di un'ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, col solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute. Tuttavia, il denunciato deficit di tutela del terzo, non convenuto e il cui intervento in giudizio non può essere ordinato dal giudice, né aversi su base volontaria senza aderire alla posizione del p.m., chiama il legislatore a intervenire nella materia, compiendo le scelte discrezionali ad esso demandate. ( Precedenti: S. 143/2022; S. 13/2022 - mass. 141001; S. 213/2021 - mass. 44355; S. 148/2021 - mass. 44028; S. 87/2021 - mass. 43844; S. 58/2020 - mass. 42158 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost., dell'art. 133, comma 1, lett. p ), cod. proc. amm., che, nella lettura offerta dal diritto vivente, devolverebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie per i danni conseguenti a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, nella gestione del ciclo dei rifiuti. Le censure prospettate muovono da un presupposto interpretativo erroneo, in quanto l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, richiamato dal rimettente, si pone nell'alveo delle indicazioni della Corte costituzionale sui limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che può conoscere solo comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell'esercizio, anche in via mediata, di poteri pubblici. Restano quindi necessariamente fuori dall'ambito di applicazione della disposizione censurata le controversie risarcitorie per danni cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a detti poteri, che rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario. ( Precedenti: O. 167/2011 - mass. 35655; S. 35/2010 - mass. 34312; S. 191/2006 - mass. 30401; S. 204/2004 - mass. 28357 ).
Le azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica, non devono essere condizionate da oneri gravosi che si risolvano, oltre che in una violazione del principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost., in un ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost. ( Precedenti: S. 266/2006 - mass. 30580; S. 50/2006 - mass. 30175 ). L'interesse ai legami familiari del minore merita particolare tutela. ( Precedenti: S. 127/2020; S. 272/2017 - mass. 41150 ).