Articolo 45 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono inammissibili le plurime questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo chiedendo alla Corte costituzionale, senza evidenziare alcun nesso di subordinazione logico-giuridica, di scegliere tra i diversi interventi prospettati, e cioè dichiarare costituzionalmente illegittimi l'intero testo di legge censurato, ovvero singole norme di esso, secondo un'alternatività irrisolta che impedisce di identificare il verso delle censure, e perciò fornisce una prospettazione ancipite in ordine alla non manifesta infondatezza. ( Precedenti: S. 136/2022 - mass. 44792; S. 66/2022 - mass. 44740; S. 123/2021 - mass. 43987; S. 168/2020 - mass. 42597; S. 152/2020 - mass. 42563; O. 104/2020 - mass. 42975 ). (Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili la pluralità di questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45, 47 Cost., nonché all'art. 1 Prot. add. CEDU e all'art. 17 della CDFUE, sia dell'art. 4, commi 1, lett. b e d , e 3, e dell'art. 6 del d.l. n. 99 del 2017; sia dell'art. 3, comma 1, lett. a , b e c , del d.l. n. 99 del 2017; sia al medesimo decreto-legge, come conv., relativi alla procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa. Il rimettente non ha in alcun modo chiarito l'ordine nel quale le questioni dovrebbero essere esaminate e la relazione tra le stesse esistente).
Sono dichiarate inammissibili, per carente motivazione quanto alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 41, 42, 45, 47 Cost., nonché all'art. 1 Prot. add. CEDU e all'art. 17 della CDFUE - dell'art. 4, commi 1, lett. b ) e d ), e 3, e dell'art. 6 del d.l. n. 99 del 2017 come conv., che disciplina la procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa - in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato, ai sensi dell'art. 107 TFUE - imponendo ai commissari liquidatori di cedere l'azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, in conformità all'offerta vincolante formulata dal cessionario selezionato ai sensi dell'art. 3, comma 3. Il ricorrente non illustra le ragioni che possano dimostrare la pregiudizialità delle relative questioni rispetto alla definizione del processo principale, concernendo queste norme, rispettivamente: l'attuazione di un aiuto di Stato, mediante la fornitura di un supporto finanziario, volto a coprire il fabbisogno di capitale generatosi in capo alla cessionaria in seguito all'acquisizione di parte delle due Banche e a sostenere le misure di ristrutturazione aziendale da attivare; l'acquisizione di crediti in capo alla cessionaria e allo Stato verso la LCA; le misure di ristoro stabilite per gli investitori persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o loro successori mortis causa . Le questioni, pertanto, relative al regime degli interventi dello Stato e alla disciplina delle misure di ristoro, risultano avulse dai caratteri delle pretese avanzate nel giudizio a quo , atteso che questo ha ad oggetto una domanda risarcitoria proposta dall'attore nei confronti della sola cessionaria Intesa Sanpaolo spa. ( Precedenti: S. 109/2022 - mass. 44932; S. 283/2016 - mass. 39362 ).
Il difetto di una complessiva ricostruzione del quadro normativo rilevante compromette irrimediabilmente l'iter logico argomentativo posto a fondamento delle censure, precludendone lo scrutinio. ( Precedenti: S. 28/2022 - mass. 44614; S. 259/2021 - mass. 44433; S. 267/2020 - mass. 43082; S. 150/2019 - mass. 41415, S. 27/2015 - mass. 38256; S. 165/2014 - mass. 38001; S. 276/2013 - mass. 37460; O. 76/2022 - mass. 44691; O. 108/2020 - mass. 43446; O. 244/2017 - mass. 40153; O. 280/2020 - mass. 43593 ). (Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 45, 47 e 111, primo comma, Cost. e all'art. 47 CDFUE, dell'art. 3, comma 1, lett. a , b e c , del d.l. n. 99 del 2017, come conv., che, nell'ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa nei confronti di Banca Popolare di Vicenza spa e di Veneto Banca spa, disciplina le passività, i debiti e le controversie che non rientrano nella cessione, anche in deroga all'art. 2741 cod. civ. L'ordinanza di rimessione denota una insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo e una incompleta ricostruzione del quadro normativo rilevante, perché motiva la rimessione supponendo che le norme censurate - qualificate come norme-provvedimento, perché si occupano di un singolo contratto, incidono sulla sola convenzione di cessione, disciplinano un numero limitato di fattispecie e rivelano un contenuto concreto, ispirato da particolari esigenze - abbiano comportato che, con l'azienda bancaria, siano state trasferite tutte le attività e passività aziendali, tranne quelle risarcitorie e restitutorie analoghe al debito oggetto del giudizio civile pendente. Al contrario, il decreto-legge censurato consentiva ai commissari liquidatori di cedere al soggetto individuato l'azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi, per l'effetto obbligando il cessionario a rispondere solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione concretamente attuata dalle parti del contratto. Né l'ordinanza di rimessione spiega se il debito, rispetto al quale la convenuta Intesa Sanpaolo spa si dichiara estranea, ovvero priva di titolarità del rapporto o carente di legittimazione passiva, rientri fra quelli restitutori nei confronti degli azionisti e obbligazionisti subordinati della ceduta Banca Popolare di Vicenza spa, i quali, in quanto passività consolidate anteriori al trasferimento, rimangono esclusi dalla cessione per l'operatività della regola del burden sharing . Le questioni, peraltro, sono inammissibili anche con riguardo alla lacunosa e contraddittoria prospettazione del rimettente quanto al tipo di intervento richiesto onde porre rimedio alla dedotta illegittimità costituzionale, non desumendosi in maniera univoca, né dal dispositivo, né dalla motivazione dell'ordinanza di rimessione, se il giudice a quo invochi una generale ablazione di tutti i casi esclusi dalla cessione, o, piuttosto, un intervento manipolativo-additivo che estenda la responsabilità della cessionaria rispetto alle pretese risarcitorie o restitutorie degli acquirenti di azioni emesse dalle due Banche venete).
L'istituzione dei fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, ad opera della legge n. 59 del 1992, è ispirata alla mutualità di sistema o esterna, volta a incentivare la cooperazione nella sua globalità. Il legislatore gode di ampia discrezionalità nella scelta dei mezzi più idonei ad incrementare la cooperazione. ( Precedenti: S. 334/1995 - mass. 22252; O. 19/1988 - mass. 10186; O. 371/1987 - mass. 3619 ). Non è configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica privata allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda, oltre che alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, all'utilità sociale, purché l'individuazione di quest'ultima, che spetta al legislatore, non appaia arbitraria e non venga perseguita mediante misure palesemente incongrue. ( Precedenti: S. 151/2018 - mass. 40000: S. 47/ 2018 - mass. 39973; S. 16/2017 - mass. 39249; S. 56/2015 - mass. 38312 ). (Nel caso di specie, è dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 41 e 45 Cost., dal Consiglio di Stato, sez. terza, dell'art. 5, comma 2, lett. e , del d.lgs. n. 276 del 2003, laddove prescrive, per le cooperative di produzione e lavoro che intendano svolgere attività di somministrazione di lavoro, oltre ai requisiti giuridici e finanziari prescritti per tutte le agenzie, lo specifico requisito della presenza, come socio sovventore, di un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Nel bilanciamento di interessi realizzato dal legislatore, detto obbligo non sacrifica irragionevolmente la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità, mirando a realizzare un obiettivo generale di tutela dei lavoratori ed essendo volto alla garanzia dei crediti del lavoratore nei confronti dell'agenzia e a superare la difficoltà di provvista dei mezzi finanziari; inoltre, il fondo mutualistico, socio sovventore, partecipa anch'esso del carattere di mutualità. Il legislatore ha anche compiuto un ragionevole bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica delle citate agenzie e le utilità sociali, limiti di ordine generale ad essa, essendo ricomprese in quest'ultime la tutela del lavoratore e il buon funzionamento del mercato del lavoro; è, infine, escluso che per soddisfare il requisito in parola le società cooperative debbano aderire ad un'associazione nazionale riconosciuta per la rappresentanza del movimento cooperativo). ( Precedenti: S. 250/ 2021 - mass. 44430; S. 170/2008 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Udine, sezione seconda civile, in riferimento agli artt. 3 e 45 Cost. - dell'art. 202, primo comma, della legge fallimentare (r.d. n. 267 del 1942) -, nella parte in cui prevede che il tribunale deve pronunciare sentenza di accertamento dello stato di insolvenza della società cooperativa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa anche in assenza dei requisiti soggettivi richiesti per la dichiarazione del fallimento di un imprenditore costituito in altra forma giuridica e, in particolare, di una società lucrativa. La società cooperativa, quand'anche esercente un'attività commerciale, non è perfettamente assimilabile a una società lucrativa, ma conserva rispetto ad essa profili di specificità, che non possono essere superati in forza di un generico richiamo alla parità di trattamento tra operatori economici, pena una visione "atomistica" della realtà giuridica della società cooperativa, all'interno della quale è spezzato il nesso tra benefici e controlli. L'impegno della Repubblica in favore della cooperazione deve inoltre essere inteso in senso complessivo e non particellare, potendo ricondursi la tutela rafforzata del ceto creditorio e dell'ordine pubblico economico connessa all'accertamento giudiziario dello stato di insolvenza della società cooperativa agli «opportuni controlli» raccomandati dall'art. 45 Cost. ( Precedente: S. 149/2021 - mass. 44031 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, promosse dalla Corte di cassazione, sez. tributaria civile, in riferimento agli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 Cost., dell'art. 2, commi 3- ter e 3- quater , quest'ultimo limitatamente alle parole «al netto del versamento di cui al comma 3-ter», di cui al primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui al terzo periodo, del d.l. n. 18 del 2016, conv. con modif., che prevedono che la banca di credito cooperativo (BCC) con patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro al 31 dicembre 2015, qualora opti per conferire l'azienda bancaria a una società per azioni autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria anziché aderire a un gruppo bancario cooperativo (c.d. way out), deve versare al bilancio dello Stato, all'atto del conferimento, un importo pari al 20 per cento del suo patrimonio netto, per cui in caso di inosservanza è previsto che il patrimonio stesso sia devoluto ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione ( ex art. 17 della legge n. 388 del 2000). La disciplina censurata - che esclude dall'indicato adempimento, in sede di prima applicazione, le BCC già operanti nel settore con patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro al 31 dicembre 2015, a cui è offerta la scelta di uscire dal settore del credito cooperativo nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione - si colloca nel solco della salvaguardia e promozione del credito cooperativo, contribuendo per la sua parte, attraverso la forza disincentivante dell'obbligo di versamento, alla realizzazione dell'obiettivo generale di garantire la solidità patrimoniale delle BCC e di superarne il deficit competitivo, mediante la loro aggregazione nei gruppi bancari cooperativi, senza impedire a quelle con maggiori livelli patrimoniali di scegliere, nella fase transitoria, una formula alternativa che consenta comunque la prosecuzione dell'attività bancaria. Né vi è alcun vulnus al principio della concorrenza, in relazione alla capacità di erogare credito da parte della spa conferitaria, per il fatto che, pur a fronte del versamento richiesto, le riserve resterebbero indivisibili. Il paventato pregiudizio - a prescindere dalla sua sussistenza - deriva infatti dall'art. 2, comma 3- quater , del d.l. n. 18 del 2016, come conv., nella parte non contestata dal rimettente. Neppure è fondata la violazione degli artt. 3 e 53 Cost., poiché alla prestazione in esame va negata la qualifica di tributo, mancando il requisito della natura coattiva del prelievo, che si esprime in primo luogo nel diritto alla sua riscossione forzosa. Non è fondata infine nemmeno la violazione del principio di tutela del risparmio, perché il versamento non interferisce con il possesso in capo alla banca spa conferitaria degli inderogabili requisiti patrimoniali per lo svolgimento dell'attività bancaria, pena il mancato rilascio dell'autorizzazione al conferimento d'azienda da parte della Banca d'Italia. Per costante giurisprudenza costituzionale, ai fini dell'individuazione di un tributo, è irrilevante il nomen iuris usato dal legislatore, occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo. ( Precedenti citati: sentenze n. 58 del 2015, n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005 ). Secondo il costante orientamento costituzionale, gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono individuabili in una disciplina legale diretta, in via prevalente, a determinare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo, che non integri una modifica di un rapporto sinallagmatico, e nella destinazione delle risorse, connesse a un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, a sovvenire a pubbliche spese. Si deve comunque trattare di un prelievo coattivo, finalizzato al concorso alle pubbliche spese e posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva; tale indice, inoltre, deve esprimere l'idoneità di ciascun soggetto all'obbligazione tributaria. ( Precedenti citati: sentenze n. 263 del 2020, n. 240 del 2019, n. 89 del 2018, n. 269 del 2017, n. 70 del 2015, n. 219 del 2014, n. 154 del 2014, n. 102 del 2008, n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965 e n. 45 del 1964 ). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, un prelievo del quale si è esclusa la natura tributaria resta sottratto al principio di capacità contributiva, con la conseguenza che l'invocato parametro di cui all'art. 53 Cost. deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la materia della imposizione tributaria in senso stretto. ( Precedenti citati: sentenze n. 263 del 2020, n. 234 del 2020, n. 173 del 2016; ordinanza n. 22 del 2003 ). L'art. 47 Cost. enuncia un principio programmatico, al quale il legislatore ordinario deve ispirarsi, bilanciandolo con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti, nell'esercizio di un potere discrezionale che incontra il solo limite della contraddizione del principio stesso. ( Precedenti citati: sentenze n. 29 del 2002, n. 143 del 1995 e n. 19 del 1994 ). L'art. 53 Cost. costituisce, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, espressione specifica in materia tributaria del principio di uguaglianza e di ragionevolezza. ( Precedenti citati: sentenze n. 142 del 2014, n. 116 del 2013 e n. 111 del 1997; ordinanza n. 341 del 2000 ).
È dichiarata inammissibile - per genericità e inadeguatezza delle argomentazioni svolte e per difetto di motivazione - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.l. n. 3 del 2015 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 33 del 2015), promossa dalla Regione Lombardia in riferimento agli artt. 118, quarto comma, 45, 47, 2, 18 e 41 Cost. Le generiche ragioni addotte dalla ricorrente a sostegno dell'asserita lesione dell'art. 118, quarto comma, Cost. in collegamento con le previsioni costituzionali che tutelano la cooperazione, il risparmio, la libertà di associazione e di iniziativa economica, non integrano argomenti idonei a dare conto dell'attitudine del suddetto parametro a fondare una regola attributiva di specifiche competenze regionali; parimenti inadeguati risultano gli argomenti spesi per dimostrare il legame tra il principio di sussidiarietà e i molteplici ed eterogenei valori costituzionali evocati; a ciò si aggiunge il difetto di motivazione sugli ambiti di competenza regionale che, in asserita violazione dello stesso art. 118, quarto comma, Cost., sarebbero incisi dalla disposizione censurata.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, commi 1, 2, 7, 9, 19, 20, 21, 27 e 32, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, va rigettato l'assunto in virtù del quale le disposizioni impugnate troverebbero giustificazione, ai sensi dei principi fondamentali della solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), dell'uguaglianza economica e sociale (art. 3, secondo comma, Cost.), dell'unitarietà della Repubblica (art. 5 Cost.), della responsabilità internazionale dello Stato (art. 10 Cost.) dell'appartenenza all'Unione europea (art. 11 Cost.), nonché i principi del concorso di tutti alle spese pubbliche (art. 53 Cost.), di sussidiarietà (art. 118 Cost.), della responsabilità finanziaria (art. 119 Cost.), della tutela dell'unità giuridica ed economica (art. 120 Cost.) e gli «altri doveri espressi dalla Costituzione (artt. 41-47, 52, 54)», nella necessità di far fronte a difficoltà economiche del nostro Paese di tale gravità da mettere a repentaglio la stessa salus rei publicae e da consentire, perciò, una deroga temporanea alle regole costituzionali di distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni. Deve essere dunque ribadita l'inderogabilità dell'ordine costituzionale delle competenze legislative, anche nel caso in cui ricorrano situazioni eccezionali.
E? manifestamente inammissibile, in riferimento agli articoli 3, secondo comma, 45 e 53 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 67 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, nella parte in cui non determina obiettivamente i criteri sulla base dei quali gli enti comunali possano avvalersi della facoltà di prevedere nei propri regolamenti agevolazioni o esenzioni relative alla tassa sui rifiuti solidi urbani. Infatti il rimettente omette di descrivere compiutamente la fattispecie sottoposta al suo giudizio e non fornisce un'adeguata motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione; resta perciò assorbita ogni altra ragione di inammissibilità e conseguentemente precluso l'esame del merito. - In tema di insufficiente motivazione sulla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione, v. le citate ordinanze n. 51, n. 291 e n. 309/2004.
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell?art. 126, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, censurato, in riferimento agli artt. 3 e 45 della Costituzione, in quanto estenderebbe il beneficio di cui all?art. 1, comma 1-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 237, in favore dei soci di società cooperative poste in liquidazione o dichiarate insolventi in epoca successiva al termine per la presentazione della domanda, quale fissato nella circolare n. 17 del 1994 del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, ma non anche in favore dei soci di società cooperative già dichiarate insolventi a quella data, i quali tuttavia non avevano presentato tempestiva istanza. La questione risulta infatti sollevata sulla base di un erroneo presupposto interpretativo - e cioè quello secondo il quale la norma impugnata non richiederebbe che la dichiarazione di insolvenza o la messa di liquidazione siano intervenute entro il termine di presentazione della domanda - che conduce a risultati contrastanti con il principio di ragionevolezza, essendo invece evidente che la 'ratio' della norma censurata è solo quella di ammettere a godere del beneficio (sia pure in via subordinata) i soci delle cooperative e dei consorzi tra cooperative sempre che la dichiarazione di insolvenza di tali enti sia intervenuta dopo la data stabilita dal d.m. 2 febbraio 1994, poi annullato, ma pur sempre prima della presentazione della domanda, e ciò al fine di evitare possibili disparità di trattamento tra i soggetti che avevano presentato tempestiva istanza, derivanti esclusivamente dagli effetti temporaneamente spiegati dal provvedimento illegittimo.