Articolo 52 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Pronuncia 215/2017Depositata il 12/10/2017
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 226 cod. pen. mil. di pace, censurato dalla Corte militare d'appello di Roma - in riferimento agli artt. 3 e 52 (terzo comma) Cost. - nella parte in cui, punendo con la reclusione militare (non superiore a sei mesi) il militare che offende l'onore o il decoro di altro militare presente, salvo che il fatto costituisca un più grave reato, sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze armate dello Stato. Non può ritenersi irragionevole - in raffronto all'abrogazione dell'art. 594 cod. pen. e alla trasformazione dell'ingiuria "comune" da illecito penale a illecito civile, intervenute ad opera del d.lgs. n. 7 del 2016 - la discrezionale scelta legislativa di continuare a punire penalmente l'ingiuria tra militari, pur per fatti ingiuriosi non riconducibili al servizio e alla disciplina militare, come definiti nell'art. 199 cod. pen. mil. di pace. Infatti, imporre al militare una più rigorosa osservanza di regole di comportamento, anche relative al comune senso civico, nei confronti di altri soggetti inseriti nel medesimo ordinamento, risponde non soltanto all'esigenza di tutela delle persone in quanto tali, ma - proprio per la qualifica militare sia del soggetto attivo che della persona offesa - anche all'obiettivo di tutelare il rapporto di disciplina inteso come insieme di regole di comportamento, la cui osservanza è strumentale alle basilari esigenze di coesione e, dunque, di funzionalità delle Forze armate; a fronte delle quali neppure può dirsi che la soluzione censurata trasmodi in un contrasto con lo spirito democratico cui va uniformato l'ordinamento delle Forze armate. Al contrario, l'invocato assorbimento delle vicende ingiuriose tra militari nella sfera civilistica e "privata" impedirebbe al comandante di corpo - oltre che di richiedere il procedimento penale - persino di avere contezza dei fatti accaduti ed avviare l'azione disciplinare. ( Precedenti citati: sentenza n. 22 del 1991, dichiarativa della incostituzionalità dell'art. 199 cod. pen. mil. di pace, limitatamente alle parole "o in luoghi militari"; sentenze n. 286 del 2008, n. 272 del 1997, n. 448 del 1991 e n. 4 del 1974, relative a fattispecie in cui è militare uno solo dei soggetti del reato; sentenza n. 45 del 1992 e ordinanza n. 322 del 2013, sullo spirito democratico dell'ordinamento delle Forze armate ). Spetta al Parlamento una funzione centrale tanto nella individuazione dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, quanto nella selezione delle materie da depenalizzare. Tale principio vale a maggior ragione quando - come nel caso dell'ingiuria "comune" - l'illecito penale venga trasformato non già in illecito amministrativo, bensì in un illecito civile, per il quale, se commesso con dolo, sia prevista, in aggiunta alla tutela risarcitoria del danneggiato, una sanzione pecuniaria civile i cui proventi sono destinati al bilancio dello Stato. ( Precedenti citati: sentenze n. 127 del 2017, n. 5 del 2014 e n. 364 del 2004; ordinanza n. 212 del 2004 ). Ogni eventuale disparità di trattamento tra militari e civili va valutata alla luce della peculiare posizione del cittadino che entra (attualmente per propria scelta) nell'ordinamento militare, caratterizzato da specifiche regole ed esigenze. ( Precedenti citati: ordinanze n. 186 del 2001 e n. 562 del 2000 ). La punibilità su richiesta del comandante di corpo, anziché a querela, prevista dall'art. 260 cod. pen. mil. di pace per i reati sanzionati con la pena della reclusione militare non superiore nel massimo a sei mesi, trova la sua ratio nella opportunità di attribuire al comandante di corpo una facoltà di scelta tra l'adozione di provvedimenti di natura disciplinare e il ricorso all'ordinaria azione penale, sul presupposto che vi siano casi in cui, per la scarsa gravità del reato, l'esercizio incondizionato dell'azione penale può causare al decoro dell'istituzione militare un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso. ( Precedenti citati: sentenze n. 449 del 1991, n. 114 del 1982, n. 189 del 1976 e n. 42 del 1975; ordinanze n. 186 del 2001, n. 562 del 2000, n. 410 del 2000 e n. 396 del 1996 ).
Norme citate
- codice penale militare di pace-Art. 226
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 3
- Costituzione-Art. 52
Pronuncia 183/2017Depositata il 13/07/2017
È dichiarato inammissibile - per carenza dei requisiti soggettivo e oggettivo - il [ricorso per] conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio di Nicolò Pollari e Pio Pompa (l'uno ex direttore, l'altro ex collaboratore e poi dipendente del SISMI), formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia per il delitto di peculato continuato aggravato e ritenuta dal ricorrente lesiva delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di tutela del segreto di Stato (artt. 1, 5, 52, 94 e 95 Cost., in relazione agli artt. 1, comma 1, lett. b e c, 39, 40 e 41 della legge n. 124 del 2007). Pur riferendosi espressamente alla richiesta di rinvio a giudizio di quasi sei anni prima, il ricorso non è rivolto contro l'originario atto di esercizio dell'azione penale, bensì contro le conclusioni formulate dal pubblico ministero nell'udienza preliminare del 16 luglio 2015, ossia contro un atto successivo all'esercizio dell'azione penale e interno al processo con essa promosso, espressivo non dell'attribuzione costituzionale prevista dall'art. 112 Cost., ma delle tesi dell'organo dell'accusa in ordine alla regiudicanda (in specie, volte a confermare la sussistenza dei presupposti per il rinvio a giudizio). Rispetto a simili atti - non attinenti al momento iniziale dell'azione penale e dunque non riconducibili all'esercizio obbligatorio dell'azione penale - non solo difetta la legittimazione (passiva) del pubblico ministero a essere parte del conflitto, ma è anche carente il connotato dell'idoneità lesiva, che pure condiziona, sul piano oggettivo, l'ammissibilità del conflitto. ( Precedenti citati: sentenza n. 40 del 1992, sull'apposizione del segreto; sentenza n. 463 del 1993, ordinanze n. 121 del 2011, n. 120 del 2009 e n. 398 del 1999, sulla necessaria idoneità lesiva dell'atto impugnato per conflitto; sentenza n. 163 del 2001, sulla inidoneità lesiva dell'atto di appello del p.m. ). Al pubblico ministero va riconosciuta la natura di potere dello Stato - legittimato, come tale, ad essere parte (attiva o passiva) di un conflitto di attribuzione - in quanto (e solo in quanto) investito dell'attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarità diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate e rispetto alla quale il p.m., organo non giurisdizionale, deve ritenersi competente a dichiarare definitivamente, in posizione di piena indipendenza, la volontà del potere giudiziario cui appartiene. In quest'ottica, è senz'altro ammissibile il conflitto di attribuzione proposto contro il p.m. sia in relazione agli atti tipici di esercizio dell'azione penale (richiesta di rinvio a giudizio o di giudizio immediato) o alla decisione di non esercitarla (richiesta di archiviazione), sia in relazione alle attività investigative compiute dall'organo dell'accusa nella fase delle indagini preliminari; e ciò anche in rapporto ad esigenze di difesa del segreto di Stato. Al contrario, gli atti del pubblico ministero successivi all'esercizio dell'azione penale e interni al processo con essa promosso non ricadono sotto il cono della previsione dell'art. 112 Cost., non potendo essere configurati come proiezione necessaria del principio di obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. ( Precedenti citati: sentenze n. 1 del 2013, n. 88 del 2012, n. 87 del 2012, n. 242 del 2009, n. 106 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 163 del 2001, n. 487 del 2000, n. 410 del 1998, n. 110 del 1998, n. 460 del 1995, n. 420 del 1995, n. 280 del 1995, n. 464 del 1993, n. 463 del 1993, n. 462 del 1993 e n. 178 del 1991; ordinanze n. 218 del 2012, n. 241 del 2011, n. 104 del 2011, n. 276 del 2008, n. 124 del 2007, n. 232 del 2003 e n. 312 del 2000 ).
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
- Costituzione-Art. 112
Pronuncia 217/2016Depositata il 07/10/2016
È ammissibile, a norma dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio degli imputati Nicolò Pollari e Pio Pompa ritenuta lesiva delle prerogative costituzionali del ricorrente in tema di esercizio delle attribuzioni relative al segreto di Stato. Esiste, infatti, la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza della Corte costituzionale, sussistendone tanto il requisito soggettivo quanto quello oggettivo. Sotto il profilo del requisito soggettivo, va riconosciuta la legittimazione del ricorrente a promuovere conflitto, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri è l'organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni; parimenti, deve essere riconosciuta la legittimazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia - nella persona del Procuratore della Repubblica, titolare dell'ufficio - ad essere parte del conflitto in quanto investita dell'attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarità diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate. Quanto al profilo oggettivo, il ricorrente lamenta la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, la tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato medesimo. Sul Presidente del Consiglio dei ministri quale organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge n. 124 del 2007, ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 244/2013, 69/2013, 376/2010 e 230/2008. Sulla legittimazione della Procura della Repubblica - nella persona del Procuratore della Repubblica, titolare dell'ufficio - a resistere in un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, v. la citata sentenza n. 1/2013. Sulla legittimazione della Procura della Repubblica a resistere nel conflitto, in quanto investita dell'attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarità diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 218/2012, 241/2011 e 124/2007. Sulla devoluzione alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, della tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato, v. le citate ordinanze nn. 244/2013, 69/2013 e 230/2008.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 24/2014Depositata il 13/02/2014
Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte di Cassazione in relazione alla sentenza del 19 settembre 2012, n. 46340, non spettava a quest'ultima annullare il proscioglimento degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e Mancini Marco. Altresì, non spettava alla Corte l'annullamento delle ordinanze emesse il 22 ed il 26 ottobre 2010, con le quali la Corte d'Appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il segreto di Stato apposto in relazione alla vicenda del sequestro Abu Omar concernerebbe solo i rapporti tra il Servizio italiano e la CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad operazione autorizzate dal Servizio e non anche al fatto storico del sequestro in questione. Va, pertanto, annullata, nelle corrispondenti parti, la sentenza della Corte di Cassazione. È stata, infatti, confermata la perdurante attualità dei principi tradizionalmente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di segreto di Stato, secondo cui la disciplina del segreto involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria integrità ed alla propria indipendenza. In tale ambito, l'apposizione del segreto spetta in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 della l. n. 124 del 2007, in quanto afferente alla tutela della salus rei publicae e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, perché riguardante l'esistenza stessa dello Stato. Quanto affermato non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato, ma può inibire all'autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. Peraltro, il potere del Presidente del Consiglio dei Ministri è connotato da ampia discrezionalità, cosicché è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni in quanto il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica. - Sul segreto di Stato v. le citate sentenza nn. 86/1977, 106/2009 e 40/2012.
Norme citate
- sentenza della Corte di cassazione - sez. V pen.-Art.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 24/2014Depositata il 13/02/2014
Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d'Appello di Milano, quale giudice di rinvio - in relazione all'ordinanza del 28 gennaio 2013 con la quale è stata ammessa la produzione, da parte della Procura Generale della Repubblica presso la medesima Corte, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso delle indagini dagli imputati Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori - non spettava alla Corte d'Appello l'adozione del provvedimento giurisdizionale impugnato che va, pertanto, annullato nelle parti corrispondenti. Infatti, tale organo giurisdizionale ha disposto l'acquisizione di interrogatori resi dagli imputati in relazione a fatti in ordine ai quali è riscontrabile la sussistenza del segreto di Stato. Quest'ultimo può essere apposto esclusivamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 della L. n. 124/2007, in quanto afferente alla tutela della salus rei publicae e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, perché riguardante l'esistenza stessa dello Stato. Quanto affermato non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato, ma può inibire all'autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. Anche qualora la fonte di prova segretata risultasse essenziale e mancassero altre fonti di prova - con la conseguente applicabilità delle disposizioni che impongono la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato a norma degli artt. 202, comma terzo, c.p.p. e 41, comma terzo, Cost. - non sarebbe ravvisabile alcuna antinomia con i concorrenti principi costituzionali, in considerazione della preminenza dell'interesse alla sicurezza nazionale alla cui salvaguardia il segreto di Stato è preordinato. - Sul segreto di Stato v. le citate sentenza nn. 86/1977, 106/2009 e 40/2012.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 24/2014Depositata il 13/02/2014
Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d'Appello di Milano, quale giudice di rinvio nel procedimento penale a carico degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e Mancini Marco, in relazione all'ordinanza del 4 febbraio 2013 con la quale la Corte ha omesso di procedere all'interpello del Presidente del Consiglio dei Ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati a norma dell'art. 41 della L. n. 124/2007, non spettava alla Corte d'Appello l'adozione del provvedimento giurisdizionale impugnato che va, pertanto, annullato nelle parti corrispondenti. Infatti, l'apposizione del segreto spetta in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 della L. n. 124/2007, in quanto afferente alla tutela della salus rei publicae e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro perché riguardante l'esistenza stessa dello Stato. Sono, pertanto, esclusi sia l'acquisizione e l'utilizzazione da parte dell'autorità giudiziaria di elementi di conoscenza coperti dal segreto di Stato sia il sindacato dei giudici comuni sull'apposizione del segreto, in quanto il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica. - Sul segreto di Stato v. le citate sentenza nn. 86/1977, 106/2009 e 40/2012.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 24/2014Depositata il 13/02/2014
Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d'Appello di Milano, quale giudice di rinvio, in relazione alla sentenza che ha affermato la responsabilità penale degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e Mancini Marco, non spettava alla Corte di Appello di Milano l'adozione del provvedimento giurisdizionale impugnato. Di conseguenza, deve essere annullata nelle corrispondenti parti la sentenza della Corte di Appello di Milano giacché fondata sull'erroneo presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri concernerebbe solo i rapporti tra il servizio italiano e la CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal servizio e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione. Posto che l'apposizione del segreto spetta in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 della L. n. 124/2007, in quanto afferente alla tutela della salus rei publicae e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, anche fatti di reato commessi dagli appartenenti ai Servizi possono essere ricondotti all'alveo del segreto nei limiti dell'immunità funzionale tracciata dall'art. 204, comma 1- bis , del c.p.p. Tale norma statuisce che non possono formare oggetto del segreto i fatti, le notizie o i documenti relativi alle condotte poste in essere da appartenenti ai Servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per l'attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. In quest'ultima ipotesi, il Presidente del Consiglio dei Ministri adotta le misure necessarie ed informa l'autorità giudiziaria senza ritardo. Quindi, la copertura del segreto - il cui effettivo ambito non può che essere tracciato dalla stessa autorità che lo ha apposto e confermato e che è titolare del relativo munus - si proietta su tutti i fatti, notizie e documenti concernenti le eventuali direttive operative, gli interna corporis di carattere organizzativo ed operativo, nonché i rapporti con i servizi stranieri, anche se riguardanti le renditions e, nel caso di specie, il sequestro di Abu Omar, a condizione però che gli atti ed i comportamenti degli agenti siano oggettivamente orientati alla tutela della sicurezza dello Stato. - Sul segreto di Stato v. le citate sentenza nn. 86/1977, 106/2009 e 40/2012.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 24/2014Depositata il 13/02/2014
Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d'Appello di Milano, quale giudice di rinvio, in relazione alla sentenza che ha affermato la responsabilità penale degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e Mancini Marco, non spettava alla Corte di Appello di Milano l'adozione del provvedimento giurisdizionale impugnato. Di conseguenza, deve essere annullata nelle corrispondenti parti la sentenza della Corte di Appello di Milano giacché emessa sulla base dell'utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi dagli imputati nel corso delle indagini preliminari, senza che fosse dato corso all'interpello del Presidente del Consiglio dei Ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati all'udienza del 4 febbraio 2013, ed essendosi invitato il Procuratore Generale a concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte da segreto di Stato. L'apposizione del segreto di Stato e la determinazione del reale ambito dei fatti e delle notizie coperte dal summenzionato segreto, infatti, spettano in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 della L. n. 124/2007, in quanto afferenti alla tutela della salus rei publicae . Per tale ragione, l'autorità giudiziaria non può acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. Ugualmente è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni in ordine all'apposizione del segreto in quanto il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica. - Sul segreto di Stato v. le citate sentenza nn. 86/1977, 106/2009 e 40/2012.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 24/2014Depositata il 13/02/2014
Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d'Appello di Milano, quale giudice di rinvio, per violazione del principio di leale collaborazione in relazione alla omessa sospensione del procedimento penale a carico degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e Mancini Marco in attesa della decisione della Corte Costituzionale sul conflitto già proposto in riferimento alla sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di Cassazione, spettava alla Corte d'Appello di Milano non sospendere il procedimento penale in questione. Da un lato, infatti, il principio di leale collaborazione non impone, di per sé, la paralisi nell'esercizio delle attribuzioni contestate; dall'altro lato, la sospensione del processo da parte dell'autorità giudiziaria procedente non è prevista per la pendenza di conflitto di attribuzione, con la conseguenza che tale sospensione si sarebbe tradotta in un provvedimento praeter legem , se non addirittura contra legem , avuto riguardo al regime tassativo che disciplina i casi di sospensione del processo e che automaticamente coinvolge la disciplina di diritto sostanziale della prescrizione del reato.
Parametri costituzionali
- Costituzione-Art. 1
- Costituzione-Art. 5
- Costituzione-Art. 52
- Costituzione-Art. 94
- Costituzione-Art. 95
- legge-Art. 1
- legge-Art. 1
- legge-Art. 39
- legge-Art. 40
- legge-Art. 41
Pronuncia 322/2013Depositata il 19/12/2013
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 28 e 52, terzo comma, Cost., del combinato disposto degli artt. 1363, comma 2, e 1352, comma 1, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), concernenti l'esperimento del ricorso gerarchico prima del ricorso giurisdizionale o del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e la nozione di illecito disciplinare. Infatti, il remittente non ha sufficientemente motivato la qualificazione in termini di illecito disciplinare dell'esperimento immediato del ricorso giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico, e, soprattutto, non ha dimostrato l'impossibilità di accedere a diversi significati delle disposizioni impugnate, tali da renderle compatibili coi parametri costituzionali invocati. Inoltre, la divergenza tra l'interpretazione delle disposizioni adottata nell'ordinanza di rimessione e l'applicazione concreta delle stesse nella fase cautelare del medesimo giudizio a quo induce a ritenere che la questione sia stata impropriamente sollevata al fine di ottenere un avallo interpretativo. - Sull'obbligo del personale militare di esperire previamente il ricorso gerarchico avverso le sanzioni disciplinari, v. la citata sentenza n. 113/1997. - Sull'ispirazione democratica dell'ordinamento militare e sull'attenuazione dei suoi caratteri di specialità, v. la citata sentenza n. 203/1991. - Sulla manifesta inammissibilità per il mancato esperimento di interpretazioni delle disposizioni impugnate conformi alla Costituzione, v. le citate ordinanze nn. 102/2012 e 212/2011. - Sull'uso improprio dell'incidente di costituzionalità per ottenere dalla Corte costituzionale un avallo interpretativo, v. le citate ordinanze nn. 126/2012, 26/2012 e 240/2012. - Sull'insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione, connessa al non adeguato esercizio dei poteri interpretativi del giudice, v. le citate ordinanze nn. 198/2013 e 240/2012.
Norme citate
- decreto legislativo-Art. 1352, comma 1
- decreto legislativo-Art. 1363, comma 2
Parametri costituzionali
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.