Articolo 28 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
L'art. 28 Cost., pur concernendo anche i magistrati, ammette leggi ordinarie che disciplinino variamente la responsabilità per categorie e situazioni, alla sola condizione che essa non sia totalmente denegata. In tal caso, una legge ordinaria, recante la disciplina ad hoc della responsabilità civile del magistrato in attuazione dell'art. 28 Cost., è non soltanto costituzionalmente consentita, ma piuttosto costituzionalmente dovuta, al fine di preservare i disposti costituzionali appositamente dettati per la Magistratura (artt. 101 e 103 Cost.), a tutela della sua indipendenza e dell'autonomia delle sue funzioni. ( Precedenti: S. 164/2017 - mass. 41567; S. 38/2000 - mass. 25171; S. 34/1997 - mass. 23113; S. 385/1996 - mass. 22934; S. 468/1990 - mass. 16641 ; S. 2/1968 - mass. 2739 ). La responsabilità civile del magistrato, in quanto necessariamente subordinata all'introduzione legislativa di condizioni e limiti del tutto peculiari, non si presta alla piana applicazione della normativa comune vigente in tema di responsabilità dei funzionari dello Stato; sottraendosi, in caso di abrogazione referendaria, alla potenziale riespansione dei principi ai quali tale ultima normativa si conforma. ( Precedente: S. 468/1990 - mass. 16641 ).
Sono dichiarate inammissibili, per insufficiente motivazione in punto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal TAR Lazio in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 47, 97, 101, 102, 103, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonché agli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all'art. 34, par. l, lett. e ), della direttiva (UE) 2014/59 del 15 maggio 2014 e all'art. 47 CDFUE - dell'art. 72, comma 9, del d.lgs. n. 385 del 1993 (t.u. bancario), che subordina la proposizione delle azioni civili nei confronti dei commissari straordinari delle banche alla previa autorizzazione della Banca d'Italia. Il TAR rimettente - dinanzi al quale sono stati impugnati, in successione, due distinti provvedimenti della Banca d'Italia, aventi il medesimo oggetto - non si è confrontato con la complessa tematica attinente alla distinzione tra l'atto meramente confermativo e l'atto di conferma in senso proprio, omettendo di spiegare perché, anche dopo la pronuncia di merito da esso emessa nei confronti del secondo provvedimento, dovrebbe continuare ad occuparsi del ricorso contro il primo provvedimento, il solo a contenere un autonomo motivo volto a denunciare l'illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere. Infatti, nell'ipotesi di esaurimento del proprio potere decisorio, il rimettente, non avendo più alcunché su cui pronunciare, non potrebbe sollevare ormai le questioni di legittimità costituzionale neppure d'ufficio. ( Precedenti citati: S. 61/2021 - mass. 43765; S. 48/2021 - mass. 43719; S. 266/2019 - mass. 40922 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte dei conti, sez. di controllo per la reg. Siciliana in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 77, 81, 97, 100, 101, 103, 111, 113, 117, commi primo e terzo, 119, primo comma, e 120 Cost., nonché in relazione all'art. 243- quater , commi 5 e 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, all'art. 15 della legge n. 400 del 1988 e all'art. 6, par. 1, CEDU - dell'art. 5, comma 11- septies , del d.l. n. 244 del 2016, conv., con modif., nella legge n. 19 del 2017, in quanto prevede - per gli enti locali che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione, pur avviata la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, non abbiano rispettato il termine previsto, non conseguendo l'accoglimento del relativo piano - la proroga del termine per poter deliberare un nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale al 30 aprile 2017, a condizione dell'avvenuto conseguimento di un miglioramento di bilancio (inteso quale aumento dell'avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell'ultimo rendiconto approvato dall'ente locale). Il rimettente fornisce un'insufficiente descrizione della fattispecie, non avendo proposto alcun argomento in ordine alla esistenza del presupposto del miglioramento dei conti dell'ente locale, non essendo sufficiente a tal fine prospettare un vizio astratto della fattispecie legale, senza un aggancio eziologico al caso concreto da decidere. ( Precedenti citati: sentenze n. 49 del 2018 e n. 274 del 2017 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, l'insufficiente descrizione della fattispecie si traduce in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate, con conseguente inammissibilità delle stesse. ( Precedente citato: sentenza n. 224 del 2018 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lett. a), b) e c), 3, comma 2, e 4 della legge n. 18 del 2015, e dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato dall'art. 6 della legge n. 18 del 2015; degli artt. "4 e/o 7", 7 e 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 2015; degli artt. 4, comma 3, 7, 8, comma 3, e 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 2015, e dell'art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015; e dell'art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b) e c), della legge n. 18 del 2015, censurati dai Tribunali di Verona, di Treviso, di Catania e di Enna - in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, 24, 25, 25, primo comma, 28, 81, terzo comma, 101, 101, secondo comma, "101 e seguenti", "101-113", 104, 104, primo comma, 107, terzo comma, 111, 111, secondo comma, 113 e 134 Cost. - nelle parti in cui, modificando la disciplina della responsabilità civile dei magistrati, includono tra le ipotesi di colpa grave il "travisamento del fatto o delle prove" e la "violazione manifesta" della legge nell'interpretazione di norme di diritto e nella valutazione del fatto e delle prove, introducono la "colpa grave" del magistrato che non si conformi a pronunce interpretative di rigetto rese dalla Corte costituzionale in un diverso procedimento, consentono di agire per il risarcimento quando il grado di giudizio in cui si è verificato il fatto dannoso non si sia concluso nel termine di tre anni, rendono obbligatorio l'esercizio dell'azione di rivalsa statuale, aboliscono la fase preliminare (c.d. "filtro di ammissibilità") dell'azione risarcitoria, comportano l'avvio immediato del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato, consentono - in esecuzione della rivalsa - la trattenuta sullo stipendio fino a un terzo, anziché fino a un quinto. A differenza degli incidenti scrutinati dalla sentenza n. 18 del 1989, le odierne questioni delineano la semplice e sola "potenzialità" dell'evenienza di una responsabilità civile dello Stato (e della successiva, eventuale, azione di rivalsa nei confronti del magistrato) connessa ai provvedimenti che i rimettenti sono chiamati ad adottare in giudizi aventi altro oggetto, risultando perciò prive della necessaria relazione di "dipendenza funzionale" con il giudizio a quo. Esse, inoltre, sono state delibate a prescindere da qualsiasi considerazione circa una loro diretta incidenza sullo statuto di autonomia e di indipendenza dei magistrati, tale da condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere, ma facendo esclusivo riferimento alle sue modalità di esercizio. Né rileva che tali modalità possano costituire elementi variamente perturbatori della condizione psicologica di questo o quel magistrato.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 28 e 52, terzo comma, Cost., del combinato disposto degli artt. 1363, comma 2, e 1352, comma 1, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), concernenti l'esperimento del ricorso gerarchico prima del ricorso giurisdizionale o del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e la nozione di illecito disciplinare. Infatti, il remittente non ha sufficientemente motivato la qualificazione in termini di illecito disciplinare dell'esperimento immediato del ricorso giurisdizionale senza il previo ricorso gerarchico, e, soprattutto, non ha dimostrato l'impossibilità di accedere a diversi significati delle disposizioni impugnate, tali da renderle compatibili coi parametri costituzionali invocati. Inoltre, la divergenza tra l'interpretazione delle disposizioni adottata nell'ordinanza di rimessione e l'applicazione concreta delle stesse nella fase cautelare del medesimo giudizio a quo induce a ritenere che la questione sia stata impropriamente sollevata al fine di ottenere un avallo interpretativo. - Sull'obbligo del personale militare di esperire previamente il ricorso gerarchico avverso le sanzioni disciplinari, v. la citata sentenza n. 113/1997. - Sull'ispirazione democratica dell'ordinamento militare e sull'attenuazione dei suoi caratteri di specialità, v. la citata sentenza n. 203/1991. - Sulla manifesta inammissibilità per il mancato esperimento di interpretazioni delle disposizioni impugnate conformi alla Costituzione, v. le citate ordinanze nn. 102/2012 e 212/2011. - Sull'uso improprio dell'incidente di costituzionalità per ottenere dalla Corte costituzionale un avallo interpretativo, v. le citate ordinanze nn. 126/2012, 26/2012 e 240/2012. - Sull'insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione, connessa al non adeguato esercizio dei poteri interpretativi del giudice, v. le citate ordinanze nn. 198/2013 e 240/2012.
È manifestamente inammissibile, per difetto di una adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.l. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189), impugnato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, 28, 32, 33 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che l'esercente la professione sanitaria, che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate da comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. Infatti, l'insufficiente descrizione della fattispecie concreta da parte del giudice a quo - che si limita a riferire di essere stato investito del processo penale nei confronti di alcuni operatori sanitari, imputati del reato di lesioni personali, senza peraltro specificare la natura dell'evento lesivo, le modalità con le quali esso sarebbe stato causato ed il grado della colpa ascrivibile agli imputati - impedisce la necessaria verifica della rilevanza della questione. - Sulla manifesta inammissibilità di questioni, per difetto di una adeguata motivazione in ordine alla rilevanza, si vedano le citate ordinanze nn. 99/2013, 314/2012 e 268/2012.
In relazione al conflitto di attribuzione proposto - in riferimento all'articolo 79, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, all'articolo 6, comma 3- bis , del decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1988, e all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992 - va dichiarato che spettava allo Stato e, per esso, alla Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, adottare la deliberazione n. 4/2011/INPR, concernente l'approvazione del programma dei controlli e delle analisi della sezione di controllo di Bolzano per l'anno 2012. In relazione al primo argomento secondo cui lo Stato e, per esso, la Corte dei conti, sezione di controllo per la Regione Trentino-Alto Adige, sede di Bolzano, avrebbe avocato a sé funzioni di controllo ascrivibili in via esclusiva all'amministrazione provinciale, deve ritenersi che il controllo della Corte dei conti in relazione agli enti locali e agli enti del Servizio sanitario nazionale (art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005) si pone su un piano distinto da quello ascrivibile alle funzioni di controllo e vigilanza sulla gestione amministrativa spettanti alla Provincia autonoma di Bolzano, non potendosi desumere dalle norme statutarie e dalle relative norme di attuazione, invocate a parametro nel presente giudizio, alcun principio di esclusività in merito alla titolarità di funzioni di controllo e di vigilanza sul conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica degli enti locali e delle aziende sanitarie (né, in maniera speculare, il suddetto controllo della Corte dei conti sulla gestione economico-finanziaria preclude in alcun modo l'istituzione di ulteriori controlli riconducibili all'amministrazione provinciale ai sensi di quanto previsto dall'art. 79, terzo comma, del d.P.R. n. 670 del 1972 e dall'art. 6, comma 3- bis , del d.P.R. n. 305 del 1988). In relazione al secondo argomento secondo il quale l'impugnata delibera dell'organo di controllo sarebbe illegittima in quanto lesiva delle prerogative provinciali nella materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», garantite dagli invocati parametri statutari e dalle relative norme di attuazione, interpretate anche alla luce della "clausola di maggior favore" di cui all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la Corte ha già affermato che il controllo di legalità e regolarità della gestione economico-finanziaria attribuito alla Corte dei conti (in specie, art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005) risulta estensibile alle Regioni e alle Province dotate di autonomia differenziata, non potendo dubitarsi che anche la loro finanza sia parte della "finanza pubblica allargata" e che pertanto sono ad esse opponibili i principi di coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, alla luce del quadro normativo già delineato dall'art. 3, comma 4, della legge n. 20 de1 1994, la Corte ha invece chiarito che il controllo sulla gestione economico-finanziaria degli enti territoriali non si connota, in senso stretto, come controllo di secondo grado, intervenendo infatti anche in via preventiva e in corso di esercizio, ed essendo attribuito alla Corte dei conti in veste di organo terzo, al servizio dello Stato-ordinamento; sicché, esso risulta piuttosto collocabile nel quadro delle complessive relazioni sinergiche e funzionali con riguardo all'esercizio dell'attività di controllo esterno, finalizzate a garantire il rispetto dei richiamati parametri costituzionali e degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea; in particolare il controllo sull'equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche a tutela dell'unità economica della Repubblica, in riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.): equilibrio e vincoli che trovano generale presidio nel sindacato della Corte dei conti quale magistratura neutrale ed indipendente, garante imparziale dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico; alla Provincia autonoma spettano invece diverse forme di controllo interno sulla gestione delle risorse finanziarie, ancorché declinate in forma differenziata rispetto agli altri enti territoriali secondo quanto previsto dalle peculiari condizioni dello statuto di autonomia; né può trascurarsi che tale distinzione, su cui poggia l'estensione agli enti territoriali dotati di autonomia speciale del controllo sulla legalità e sulla regolarità della gestione economico-finanziaria, assuma ancora maggior rilievo nel quadro delineato dall'art. 2, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 2012, che, nel comma premesso all'art. 97 Cost., richiama il complesso delle pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, ad assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. - In tema di controlli della Corte dei conti, in specie in relazione a quelli previsti dall'art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005, v. citate sentenze n. 198 del 2012, n. 37 del 2011, n. 179 del 2007, n. 267 del 2006. - Sulla qualificazione della Corte dei conti quale organo terzo ed imparziale di garanzia dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta gestione delle risorse collettive, in quanto al servizio dello Stato-ordinamento, v. citate sentenze n. 198 del 2012, n. 37 del 2011, n. 179 del 2007 e n. 267 del 2006. - Sul controllo della Corte dei conti posto a garanzia del rispetto complessivo degli equilibri di bilancio, v. citate sentenze n. 198 del 2012, n. 179 del 2007 e n. 267 del 2006. - Sulla compatibilità di funzioni statali di controllo e sanzionatorie con le norme di attuazione statutaria della Regione Trentino-Alto Adige o delle Province autonome, v. citate sentenze n. 159 del 2008 e n. 97 del 2001. - Sugli effetti non preclusivi della normativa di attuazione statutaria (art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992) della Regione Trentino-Alto Adige o delle Province autonome rispetto all'esercizio della funzione di controllo sulla gestione economico-finanziaria in riferimento ai parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e comunitari, v. citate sentenze n. 161 e n. 63 del 2012, n. 153 e n. 78 del 2011. - Sulla libertà del legislatore di assegnare alla Corte dei conti qualsiasi altra forma di controllo, purché questo abbia un suo fondamento costituzionale, v. citate sentenze n. 179 del 2007, n. 267 del 2006 e n. 29 del 1995. - Sull'estensibilità del controllo di legalità e regolarità della gestione economico-finanziaria alle Regioni e alle Province dotate di autonomia differenziata, v. citate sentenze n. 198 del 2012, n. 179 del 2007 e n. 267 del 2006. - Sulla riconducibilità delle Regioni e alle Province dotate di autonomia differenziata nell'ambito della "finanza pubblica allargata", v. citata sentenza n. 425 del 2004. - Sulla opponibilità alle Regioni e alle Province dotate di autonomia differenziata dei principi di coordinamento della finanza pubblica, v. citate sentenze n. 229 del 2011, n. 289 e n. 120 del 2008. - Sulla applicabilità alle Regioni e alle Province dotate di autonomia differenziata dei controlli della Corte dei conti, concorrendo detti soggetti «alla formazione di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela dell'equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno», v. citate sentenze n. 198 del 2012 e n. 179 del 2007. - Sul controllo della Corte dei conti sulla gestione economico-finanziaria degli enti territoriali esercitato in veste di organo terzo, v. citate sentenze n. 267 del 2006 e n. 64 del 2005, al servizio dello Stato-ordinamento, v. citate sentenze n. 267 del 2006, n. 470 del 1997 e n. 29 del 1995, finalizzato a garantire il rispetto dei richiamati parametri costituzionali e degli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea, v. citate sentenze n. 267 del 2006, n. 181 del 1999, n. 470 del 1997, n. 29 del 1995.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 36, comma 4- ter , del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 28, 97, 113, 134 e 136 Cost., nella parte in cui prevede che le disposizioni sui pagamenti delle cartelle esattoriali si applicano solo ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008. Con riferimento a tutti i parametri invocati, il giudice rimettente da un lato individua in modo impreciso l'oggetto delle censure sollevate, in tal modo non consentendo alla Corte di valutare la rilevanza della questione, dall'altro non fornisce una specifica ed adeguata motivazione a sostegno di dette censure poiché formulate in modo generico ed apodittico. Su identica questione v. citata sent. n. 58 del 2009, ordd. nn. 221 e 291 del 2009, 13 e 349 del 2010.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 e degli artt. 25, 26 e 30 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332, nonché degli artt. 8 ed 11 della legge della Regione Basilicata 12 settembre 2000, n. 57, censurati, in riferimento al «principio-valore della certezza del diritto» e agli artt. 2, 3, 24, 28, 42, 97 e 111 della Costituzione, nella parte in cui disciplinano il procedimento amministrativo di legittimazione delle terre di uso civico senza prevedere né termini per la conclusione della procedura, né conseguenze «di definizione» nel caso in cui il procedimento si protragga oltre un certo termine. Infatti, il giudice a quo , nel richiedere una pronuncia manipolativa in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore, prospetta un petitum generico perché non individua il termine di durata massima del procedimento che sarebbe costituzionalmente imposto, né specifica quali dovrebbero essere le conseguenze della mancata tempestiva adozione del provvedimento conclusivo della procedura da parte dell'amministrazione e, dunque, non precisa quale intervento della Corte, tra i molti astrattamente concepibili, potrebbe assicurare la compatibilità di tale disciplina con le norme costituzionali evocate.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, censurato, in riferimento agli artt. 3, 28 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente al giudice della liquidazione la revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in presenza di una causa di inammissibilità della domanda. Invero, il rimettente - non tenendo in alcuna considerazione il disposto del comma 1, lettera d ), del censurato art. 112 (come sostituito dall'art. 9- bis del decreto legge 30 giugno 2005, n. 115, nel testo integrato dalla legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), secondo il quale il magistrato revoca anche d'ufficio, con decreto motivato, l'ammissione al gratuito patrocinio, «se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e 92», del medesimo d.P.R. n. 115 del 2002 - nel motivare in ordine alla non manifesta infondatezza ha omesso di esplorare la possibilità di praticare una lettura alternativa della norma censurata, eventualmente idonea a dirimere il dubbio di legittimità costituzionale prospettato.