Articolo 134 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Nel sistema delle fonti delineato dalla Costituzione il regolamento parlamentare è espressamente previsto dall'art. 64 come atto normativo dotato di una sfera di competenza riservata e distinta rispetto a quella della legge ordinaria, nella quale, pertanto, neppure questa è abilitata ad intervenire. La riserva di regolamento assume, nondimeno, carattere indefettibile soltanto in materia di procedimento legislativo, mentre, con riferimento ad altri settori del diritto parlamentare, resta demandata alla discrezionalità del Parlamento la scelta della fonte più congeniale alla materia da trattare. I regolamenti parlamentari "maggiori" vanno inscritti tra le fonti dell'ordinamento generale della Repubblica, produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi, alla luce dei principi e delle disposizioni costituzionali, che ne delimitano la sfera di competenza, ma non sono annoverabili tra gli atti aventi forza di legge sindacabili dalla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134, primo alinea, Cost. Allo stesso modo, e a maggior ragione, non sono assoggettabili al giudizio di legittimità costituzionale i regolamenti "minori", che trovano in quelli maggiori la propria fonte di legittimazione.
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per censura di normativa di rango non primario e difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Lanciano in riferimento agli artt. 32, 76, 77, 97, secondo e terzo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma, 117, terzo comma, 120 nonché all'art. 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 47 CDFUE, «e/o» all'art. 168 TFUE, in combinato disposto con l'art. 12, par. 1, lett. a ), della decisione 1082/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013 e con gli artt. 12 e 43 del Regolamento sanitario internazionale - della delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, e dell'ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, nonché dell'art. 122 del d.l. n. 18 del 2020, come conv., e dell'art. 14, commi 1 e 4, del d.l. n. 34 del 2020, come conv., nella parte in cui, con riferimento al periodo dal 1° febbraio 2020 al 31 gennaio 2021, prescrivono misure connesse alla dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 incidenti sull'esercizio della funzione giurisdizionale civile e penale e sull'organizzazione e l'attività degli uffici giudiziari. Le censurate disposizioni, ai sensi dell'art. 134 Cost., non rientrano tra gli atti sottoponibili al sindacato di legittimità costituzionale, mentre le censurate disposizioni con forza di legge sono prive di qualsivoglia collegamento con la decisione della controversia demandata al giudice a quo , il quale, peraltro, neppure argomenta in proposito.
Gli artt. 127, 134 e 136 Cost. delineano - dopo le modifiche dell'art. 127 Cost. operate dalla legge cost. n. 3 del 2001 - un modello di impugnativa delle leggi regionali basato su un loro controllo successivo, tale da non escluderne l'efficacia, e quindi l'applicazione, anche laddove esse vengano contestate e fintantoché la Corte costituzionale non ne abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale. Solo quest'ultima declaratoria comporta la cessazione dell'efficacia della norma impugnata, che di conseguenza non potrà avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. In questo quadro si inserisce la previsione dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953, che, richiamando il successivo art. 40, prevede la possibilità di sospendere l'efficacia della legge impugnata. (Nel caso di specie, è dichiarato che non spettava allo Stato e, per esso, alle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio per la Città metropolitana di Cagliari e le Province di Oristano e Sud Sardegna e per le Province di Sassari e Nuoro esprimere, rispettivamente, i pareri dell'8 aprile 2021, prot. 11997-P, del 15 aprile 2021, prot. 13167-P, e del 28 maggio 2021, prot. 19529, e dell'11 maggio 2021, prot. 6889-P, e del 19 maggio 2021, prot. 7466-P e prot. 7467-P, relativi a interventi da realizzare in zone paesaggisticamente vincolate, attuativi della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, oggetto di separato giudizio di costituzionalità, disapplicando la citata legge regionale. Dal complessivo contenuto dei pareri emerge con sufficiente chiarezza tale intenzione, per cui si è in presenza di una voluta disapplicazione, da parte di autorità amministrative statali, di una legge regionale della quale, riconosciuta la vigenza, viene contestata la legittimità e sottolineata l'intervenuta impugnazione davanti alla Corte costituzionale, come elemento legittimante la sua mancata applicazione). ( Precedente: S. 285/1990 - mass. 16040 ).
È dichiarato manifestamente inammissibile, per carenza dei requisiti soggettivo e oggettivo, il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti promosso dal Codacons nei confronti delle Regioni Lombardia e Veneto, in riferimento ai comportamenti formali posti in essere da queste nell'ambito della emergenza epidemiologica COVID-19, per violazione delle attribuzioni costituzionalmente riservate allo Stato dagli artt. 117, commi secondo, lett. d ), h ) e q ), e terzo, e 120, secondo comma, Cost. L'azione suppletiva dello Stato che il ricorrente dichiara di esercitare è del tutto estranea al nostro ordinamento e la sua prospettazione è quindi inidonea a superare la chiara e inequivoca limitazione soggettiva alla proposizione del conflitto tra enti che si ricava dagli artt. 134 Cost. e 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, che attribuisce la legittimazione a proporre ricorso per lo Stato al Presidente del Consiglio dei ministri o ad un Ministro da questi delegato e, per la Regione, al Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa. Sotto il profilo oggettivo, sono contestati comportamenti - ovverosia dichiarazioni riportate dagli organi di stampa e ritenute "imputabili" alla Regione Lombardia, peraltro non meglio specificate né rispetto ai contenuti né con riguardo ai soggetti istituzionali che le avrebbero poste in essere, e il "Progetto per la riapertura delle attività produttive" della Regione Veneto del 17 aprile 2020 - evidentemente sprovvisti dei requisiti di efficacia e rilevanza esterna e, comunque sia, intrinsecamente inidonei a esprimere in modo chiaro e inequivoco la pretesa di esercitare una competenza invasiva della sfera di attribuzioni costituzionali statali. Pertanto, la minaccia di lesione è puramente congetturale e il conflitto è promosso a fini meramente consultivi, configurandosi l'iniziativa del ricorrente come una forzatura dei meccanismi di instaurazione del conflitto tra enti. Secondo la giurisprudenza costituzionale, nessun elemento letterale o sistematico consente di superare la chiara limitazione soggettiva che si ricava dagli artt. 134 Cost. e 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953. ( Precedente citato: sentenza n. 130 del 2009 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, è ritenuto idoneo a innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione anche un comportamento, purché questo sia un comportamento significante, imputabile allo Stato o alla Regione, dotato di efficacia e rilevanza esterna e - anche se preparatorio o non definitivo - diretto, in ogni caso, ad esprimere in modo chiaro ed inequivoco la pretesa di esercitare una data competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione nella altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale delle possibilità di esercizio della medesima. ( Precedenti citati: sentenze n. 22 del 2020, n. 332 del 2011, n. 382 del 2006, n. 211 del 1994 e n. 771 del 1988 ).
È dichiarato ammissibile l'intervento dell'Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Bologna, nel giudizio per conflitto tra enti sorto a seguito del provvedimento disciplinare adottato dal medesimo Ordine, a conclusione del procedimento disciplinare prot. n. 2501/gp/pm a carico del dott. Sergio Venturi, assessore alle politiche della salute della Regione Emilia-Romagna. Nessun ostacolo si pone all'intervento in giudizio dell'Ordine, nonostante la mancata costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri quale parte resistente, considerato che esso è espressamente qualificato dall'art. 1, comma 3, del d.lgs. del C.p.S. n. 233 del 1946, come sostituito dall'art. 4, comma 1, della legge n. 3 del 2018, come ente pubblico non economico, dotato di ampia autonomia patrimoniale, finanziaria, regolamentare e disciplinare, che agisce quale organo sussidiario dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall'ordinamento, connessi all'esercizio professionale, e per ciò stesso sottoposto alla vigilanza del Ministero della salute. L'atto posto in essere dal citato Ordine provinciale è pertanto riferibile - ai soli fini del conflitto costituzionale di attribuzione - allo Stato, inteso non come persona giuridica, bensì come sistema ordinamentale complesso e articolato, costituito da organi, con o senza personalità giuridica, ed enti distinti dallo Stato in senso stretto, ma con esso posti in rapporto di strumentalità in vista dell'esercizio, in forme diverse, di tipiche funzioni statali. ( Precedenti citati: sentenze n. 31 del 2006 e n. 72 del 2005 ). Gli ordini professionali sono configurati come enti pubblici ad appartenenza necessaria, la cui istituzione e disciplina risponde all'esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico, la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso, affidando loro il compito di curare la tenuta degli albi, nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi, in vista dell'obiettivo di garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell'affidamento della collettività. Si tratta, in altri termini, di organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato, tutti preordinati alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale - quali, ad esempio, quelli inerenti alla tutela della salute - connessi all'esercizio di attività professionali, caratterizzati da una necessaria dimensione nazionale e pertanto dalla infrazionabilità. ( Precedenti citati: sentenze n. 173 del 2019, inerente all'Ordine forense, e n. 405 del 2005 ). Va ricondotta alla materia dell'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali la disciplina di organismi, ausiliari della pubblica amministrazione, perché chiamati a svolgere funzioni pubbliche di tutela di interessi pubblici unitari. Ciò serve a confermare inequivocabilmente l'appartenenza degli stessi al sistema ordinamentale dello Stato. ( Precedente citato: sentenza n. 405 del 2005 ). Nei giudizi per conflitto di attribuzione tra enti, promossi dalla Regione nei confronti dello Stato, l'art. 25, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, espressamente prevede che il ricorso debba essere notificato anche all'organo che ha emanato l'atto, quando si tratti di autorità diverse da quelle di Governo e da quelle dipendenti dal Governo, di organi dello Stato dotati di autonomia e di soggettività, sì da legittimarli passivamente nel processo. E ciò al fine di fare valere le ragioni della legittimità dell'atto impugnato, da essi adottato, in via autonoma dal resistente Presidente del Consiglio dei ministri. ( Precedenti citati: sentenze n. 43 del 2019 e n. 252 del 2013 ). Nella prospettiva dei rapporti con il sistema regionale, il termine Stato è impiegato dall'art. 134 Cost. in una accezione più ampia, quale conglomerato di enti, legati tra loro da precisi vincoli funzionali e di indirizzo, destinati ad esprimere, nel confronto dialettico con il sistema regionale, le esigenze unitarie imposte dai valori supremi tutelati dall'art. 5 Cost. ( Precedente citato: sentenza n. 31 del 2006 ).
È dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione tra enti - promosso dalla Regione Basilicata nei confronti dello Stato, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., al principio di leale collaborazione ex art. 120 Cost., nonché agli artt. 103, primo comma, e 134 Cost. - in relazione alla sentenza del Consiglio di Stato del 20 settembre 2018, n. 5471, che ha confermato la sentenza del TAR per la Basilicata, del 26 maggio 2017, n. 387, che ha annullato la deliberazione della Giunta regionale 29 dicembre 2016, n. 1528, con la quale la Regione Basilicata ha negato l'intesa - di cui all'art. 1, comma 7, lett. n ), della legge n. 239 del 2004, e all'art. 29, comma 2, lettera l ), del d.lgs. n. 112 del 1998 - per il rilascio di un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in un'area sita nei Comuni di Potenza e Brindisi di Montagna, convenzionalmente denominata "Masseria La Rocca". Pur non essendovi dubbio che gli atti d'intesa relativi ai permessi di prospezione e ricerca degli idrocarburi ricadano nella sfera applicativa del principio di leale collaborazione in materie di competenza concorrente Stato-Regione, quali la «produzione trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», nonché il «governo del territorio», ciò non basta, di per sé, a riconoscere un "tono costituzionale" alle censure. La ricorrente, lamentando l'erroneo esercizio della funzione giurisdizionale, utilizza il conflitto come un improprio mezzo di gravame avverso le sentenze del giudice amministrativo. ( Precedenti citati: sentenze n. 117 del 2018, n. 170 del 2017 n. 114 del 2017, n. 142 del 2016, n. 131 del 2016, n. 52 del 2016, n. 117 del 2013 e n. 103 del 1993 ). La natura costituzionale delle competenze, così come il potere discrezionale che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude la sindacabilità nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti, quando essi trovano un limite nei principi di natura giuridica posti dall'ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo. ( Precedente citato: sentenza n. 81 del 2012 ). Gli atti giurisdizionali possono essere posti alla base di un conflitto di attribuzione tra enti, purché, però, il conflitto non si risolva in un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo contro gli errori in iudicando i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni e non potendo il conflitto surrettiziamente trasformarsi in un ulteriore grado di giudizio avente portata generale. ( Precedenti citati: sentenze n. 107 del 2015, n. 252 del 2013, n. 81 del 2012, n. 72 del 2012, n. 130 del 2009, n. 195 del 2007, n. 150 del 2007, n. 2 del 2007, n. 326 del 2003, n. 276 del 2003, n. 27 del 1999, n. 175 del 1991, n. 99 del 1991, n. 285 del 1990, n. 70 del 1985, n. 183 del 1981, n. 289 del 1974 e n. 110 del 1970 ).
Per costante giurisprudenza costituzionale, nessun elemento letterale o sistematico consente di superare la chiara limitazione soggettiva che si ricava dagli artt. 134 Cost. e 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, che attribuisce la legittimazione a proporre ricorso per conflitto fra enti per la Regione al Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa. l'eventuale lesione dei poteri spettanti ai rappresentanti di un ente fornito di autonomia costituzionalmente protetta, infatti, non può, in tesi, non offendere anche l'autonomia dell'ente medesimo, facendo così insorgere per esso l'interesse a tutelare nell'appropriata sede le proprie attribuzioni. ( Precedenti citati: sentenze n. 107 del 2015, n. 130 del 2014, n. 130 del 2009, n. 303 del 2003, n. 163 del 1997 e n. 211 del 1972 ).
Non è accolta l'eccezione di tardività della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 8 del 2017, nella parte in cui utilizza la denominazione «Sèn Jan di Fassa-Sèn Jan» anziché quella di «San Giovanni di Fassa-Sèn Jan». L'intesa precedentemente raggiunta dal Commissario del Governo con la Giunta regionale sulla data d convocazione del referendum non influisce sulla tempestività dell'impugnazione davanti la Corte costituzionale della legge regionale adottata ex art. 133 Cost., in quanto non può considerarsi quale tacito assenso alla denominazione suddetta, a prescindere da ogni considerazione sulla effettiva possibilità, per il Commissario del Governo, di muovere rilievi alla predetta denominazione o di impugnare i relativi atti amministrativi. ( Precedente citato: sentenza n. 2 del 2018 ). Gli eventuali vizi del procedimento referendario ex art. 133 Cost. si traducono in vizio formale della legge, preservando, in tal modo, e senza ledere la giurisdizione del giudice amministrativo, la posizione della Corte costituzionale, alla quale l'art. 134 Cost. affida in via esclusiva il compito di garantire la legittimità costituzionale della legislazione anche regionale. ( Precedenti citati: sentenza n. 2 del 2018 ). L'impugnazione, da parte dello Stato, delle leggi regionali adottate ex art. 133 Cost., non è soggetta ad alcuna condizione di procedibilità, poiché la mancata soddisfazione finirebbe per determinare la decadenza dall'esercizio di un potere costituzionalmente sancito dall'art. 127 Cost.
Non spettava allo Stato, e, per esso, al Consiglio di Stato, annullare con sentenza non definitiva, dopo l'entrata in vigore della legge reg. Marche n. 15 del 2014, gli atti relativi al procedimento di consultazione referendaria, in riferimento al distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e alla sua incorporazione nel Comune di Mondolfo; ed è annullata, per l'effetto, la suddetta sentenza. A seguito dell'approvazione della legge regionale di variazione circoscrizionale, il giudice amministrativo non può più annullare un atto che si colloca nell'ambito del procedimento legislativo e ne costituisce una fase indispensabile, mentre gli compete, se ritiene che ne sussistano i presupposti, sollevare questione di legittimità costituzionale della medesima legge per vizio procedimentale, ex art. 133, secondo comma, Cost. Il giudice rimettente non solo ha esercitato un sindacato spettante alla Corte costituzionale (in lesione dell'art. 134 Cost.), ma ha altresì pregiudicato la sfera di attribuzioni costituzionali della Regione ricorrente, poiché l'esercizio di un controllo giurisdizionale sul procedimento di formazione della legge regionale finisce indirettamente per tradursi in un limite alla potestà legislativa regionale in materia di variazioni circoscrizionali. (artt. 117, quarto comma, 118, secondo comma, e 133, secondo comma, Cost.). ( Precedente citato: sentenza n. 39 del 2014 ).
Fermi restando i principi del primato e dell'effetto diretto del diritto dell'Unione europea come consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - cui il Trattato di Lisbona ha attribuito effetti giuridici vincolanti, equiparandola ai Trattati (art. 6, par. 1, TUE) - costituisce parte del diritto dell'Unione dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale, giacché i principi e i diritti in essa enunciati intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana (e dalle Costituzioni nazionali degli altri Stati membri), sicché può darsi il caso che la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione, sia quelle codificate dalla CDFUE. In tali casi, essendo una legge oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla CDFUE in un ambito di rilevanza comunitaria, deve essere sollevata la questione di legittimità costituzionale - salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell'Unione ai sensi dell'art. 267 TFUE - poiché le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento con effetti erga omnes della Corte costituzionale, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di legittimità costituzionale a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134 Cost.). La Corte costituzionale giudicherà alla luce dei parametri costituzionali interni, ed eventualmente anche di quelli europei (ex artt. 11 e 117, primo comma, Cost.), comunque secondo l'ordine che di volta in volta risulti maggiormente appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla CDFUE siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali (art. 6 TUE e art. 52, comma 4, della CDFUE), in un quadro di leale cooperazione fra i sistemi di garanzia e di valorizzazione del dialogo tra le Corti nazionali e la Corte di giustizia, così garantendo la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). ( Precedente citato: ordinanza n. 24 del 2017, sul dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia ).