Articolo 102 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost., dell'art. 133, comma 1, lett. p ), cod. proc. amm., che, nella lettura offerta dal diritto vivente, devolverebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie per i danni conseguenti a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, nella gestione del ciclo dei rifiuti. Le censure prospettate muovono da un presupposto interpretativo erroneo, in quanto l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, richiamato dal rimettente, si pone nell'alveo delle indicazioni della Corte costituzionale sui limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che può conoscere solo comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell'esercizio, anche in via mediata, di poteri pubblici. Restano quindi necessariamente fuori dall'ambito di applicazione della disposizione censurata le controversie risarcitorie per danni cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a detti poteri, che rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario. ( Precedenti: O. 167/2011 - mass. 35655; S. 35/2010 - mass. 34312; S. 191/2006 - mass. 30401; S. 204/2004 - mass. 28357 ).
I singoli organi giurisdizionali - e quindi anche il giudice di pace - sono legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma tale legittimazione sussiste limitatamente all'esercizio dell'attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale. ( Precedenti: O. 35/2022 - mass. 44519; O. 19/2021 - mass. 43577; O. 148/2020 - mass. 43530; O. 84/2020 - mass. 43340; O. 82/2020 - mass. 43323; O. 69/2020 - mass. 43150; O. 139/2016 - mass. 38914; O. 296/2013 - mass. 37496; O. 151/2013 - mass. 37166; O. 25/2013 - mass. 36921; O. 366/2008 - mass. 32908; O. 338/2007 - mass. 31674; O. 22/2000 - mass. 25134; O. 340/1999 - mass. 24977; O. 244/1999 - mass. 24798; O. 87/1978 - mass. 12752 ). Presupposto per la sollevazione del conflitto di attribuzione da parte del singolo giudice è che questi sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano, dal momento che il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine a tale competenza, viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali. ( Precedenti: O. 285/2011 - mass. 35892; O. 127/2006 - mass. 30292; O. 144/2000 - mass. 25308 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione attiva, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Cristina Piazza, in qualità di Giudice di pace presso l'Ufficio del Giudice di pace di Bologna, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per violazione degli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 CDFUE; alle clausole 2, 4 e 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE; alla direttiva 2003/88/CE, in relazione ai commi da 629 a 633 dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021, che, nel modificare l'art. 29 del d.lgs. n. 116 del 2017, condizionano la conferma a tempo indeterminato, sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore di quest'ultimo al superamento di una procedura valutativa, con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico parametrato a quello di un funzionario amministrativo, anziché a quello dei magistrati professionali. L'atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale neppure motiva in ordine all'incidenza delle disposizioni censurate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più procedimenti; in tal modo il giudizio per conflitto tra poteri è utilizzato dalla stessa come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, in funzione di difesa di propri, asseriti, diritti tutelati dalla Costituzione). ( Precedenti: O. 32/2022 - mass. 44518; O. 254/2021 - mass. 44436; O. 279/2011 - mass. 35882 ).
I limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, al di fuori della materia penale, vanno individuati nei principi della ragionevolezza, della tutela del legittimo affidamento, della coerenza e certezza dell'ordinamento e del rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla funzione giudiziaria. ( Precedenti: S. 210/2021 - mass. 44268; S. 78/2012 - mass. 36198; S. 209/2010 - mass. 34739 ). Lo scrutinio di ragionevolezza si fa ancor più rigoroso quando si incentra sul principio di non retroattività della legge, inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell'ordinamento. Pertanto, quando l'autoqualificazione della disposizione censurata quale norma di interpretazione autentica si rivela erronea, ciò costituisce sintomo di un uso improprio della funzione legislativa, e quindi di un intrinseco difetto di ragionevolezza quanto alla retroattività del novum da essa introdotto. ( Precedenti: S. 133/2020 - mass. 42559; S. 174/2019 - mass. 42433; S. 73/2017 - mass. 39503; S. 260/2015 - mass. 38662; S. 170/2013 - mass. 42263 ). In uno scrutinio stretto di costituzionalità, che si impone a fronte di norme che dispongono per il passato, occorre riscontrare non la mera assenza di scelte normative manifestamente irragionevoli, ma l'effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell'intervento legislativo, per verificare se le giustificazioni poste alla base dell'intervento legislativo a carattere retroattivo, prevalgano rispetto ai valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi da tale efficacia a ritroso. Tali valori sono individuati nel legittimo affidamento dei destinatari della regolazione originaria, nel principio di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, nel giusto processo e nelle attribuzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario. ( Precedenti: S. 104/2022 - mass. 44724, S. 61/2022- mass. 44609; S. 133/2020 - mass. 42559; S. 108/2019 - mass. 42262; S. 173/2016 - mass. 38978 ). L'efficacia retroattiva della legge deve trovare adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale, così come chiarito dalla Corte EDU in plurime occasioni. ( Precedenti: S. 156/2014 - mass. 37986; S. 78/2012 - mass. 36198 ). I soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso. In tal caso l'efficacia retroattiva della legge, finalizzata a preservare l'interesse economico dello Stato che sia parte di giudizi in corso, si pone in evidente e aperta frizione con il principio di parità delle armi nel processo e con le attribuzioni costituzionalmente riservate all'autorità giudiziaria. ( Precedente: S. 170/2013 - mass. 42264 ). Le leggi retroattive o di interpretazione autentica che intervengono in pendenza di giudizi di cui lo Stato è parte, in modo tale da influenzarne l'esito, comportano un'ingerenza nella garanzia del diritto a un processo equo e violano un principio dello stato di diritto garantito dall'art. 6 CEDU. Nel sindacato di costituzionalità sulle leggi retroattive sussiste una solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU, per cui i parametri interni si prestano a essere letti in stretto coordinamento con quelli convenzionali, al fine di massimizzarne l'espansione in un rapporto di integrazione reciproca. In particolare l'art. 24, primo comma, Cost., nel garantire il diritto inviolabile di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi, deve essere letto congiuntamente non solo con l'art. 102 Cost., che tutela le attribuzioni dell'autorità giudiziaria, ma anche con l'art. 111 Cost., posto a presidio del giusto processo. L'insieme dei parametri indicati converge nella tutela garantita dall'art. 6 CEDU. ( Precedenti: S. 46/2021 - mass. 43714; S. 12/2018 - mass. 39752; S. 191/2014 - mass. 38062 ). (Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 24, primo comma, 102, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, l'art. 1- bis del d.l. n. 138 del 2011, come conv., nella parte in cui dispone, per le fattispecie sorte prima della sua entrata in vigore - ossia ai fatti antecedenti al 17 settembre 2011-, che il trattamento economico complessivamente spettante al personale dell'Amministrazione affari esteri, nel periodo di servizio all'estero, anche con riferimento allo stipendio e agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti per l'interno, non include l'indennità di amministrazione. La disposizione censurata dalla Corte di cassazione, sez. lavoro, non è qualificabile come norma di interpretazione autentica perché, lungi dall'enucleare una possibile variante di senso della disposizione originaria, introduce una disciplina innovativa con effetti retroattivi; pertanto il divieto di cumulo che introduce produce una disciplina non coerente con il dato testuale e con la ratio della disposizione originaria. Essa ha lo scopo dichiarato di porre fine al contenzioso "seriale", che aveva visto l'Amministrazione soccombente, senza che ricorrano le condizioni che, in taluni casi, hanno indotto la Corte EDU a ritenere legittimi interventi legislativi retroattivi. Resta ferma l'applicabilità della disposizione a fatti successivi a tale data).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per censura di normativa di rango non primario e difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Lanciano in riferimento agli artt. 32, 76, 77, 97, secondo e terzo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111, primo e secondo comma, 117, terzo comma, 120 nonché all'art. 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 47 CDFUE, «e/o» all'art. 168 TFUE, in combinato disposto con l'art. 12, par. 1, lett. a ), della decisione 1082/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013 e con gli artt. 12 e 43 del Regolamento sanitario internazionale - della delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020, e dell'ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, nonché dell'art. 122 del d.l. n. 18 del 2020, come conv., e dell'art. 14, commi 1 e 4, del d.l. n. 34 del 2020, come conv., nella parte in cui, con riferimento al periodo dal 1° febbraio 2020 al 31 gennaio 2021, prescrivono misure connesse alla dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 incidenti sull'esercizio della funzione giurisdizionale civile e penale e sull'organizzazione e l'attività degli uffici giudiziari. Le censurate disposizioni, ai sensi dell'art. 134 Cost., non rientrano tra gli atti sottoponibili al sindacato di legittimità costituzionale, mentre le censurate disposizioni con forza di legge sono prive di qualsivoglia collegamento con la decisione della controversia demandata al giudice a quo , il quale, peraltro, neppure argomenta in proposito.
Sono dichiarate inammissibili, per insufficiente motivazione in punto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal TAR Lazio in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 47, 97, 101, 102, 103, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonché agli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all'art. 34, par. l, lett. e ), della direttiva (UE) 2014/59 del 15 maggio 2014 e all'art. 47 CDFUE - dell'art. 72, comma 9, del d.lgs. n. 385 del 1993 (t.u. bancario), che subordina la proposizione delle azioni civili nei confronti dei commissari straordinari delle banche alla previa autorizzazione della Banca d'Italia. Il TAR rimettente - dinanzi al quale sono stati impugnati, in successione, due distinti provvedimenti della Banca d'Italia, aventi il medesimo oggetto - non si è confrontato con la complessa tematica attinente alla distinzione tra l'atto meramente confermativo e l'atto di conferma in senso proprio, omettendo di spiegare perché, anche dopo la pronuncia di merito da esso emessa nei confronti del secondo provvedimento, dovrebbe continuare ad occuparsi del ricorso contro il primo provvedimento, il solo a contenere un autonomo motivo volto a denunciare l'illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere. Infatti, nell'ipotesi di esaurimento del proprio potere decisorio, il rimettente, non avendo più alcunché su cui pronunciare, non potrebbe sollevare ormai le questioni di legittimità costituzionale neppure d'ufficio. ( Precedenti citati: S. 61/2021 - mass. 43765; S. 48/2021 - mass. 43719; S. 266/2019 - mass. 40922 ).
La deduzione di censure generiche e meramente assertive, senza specificare i motivi della ritenuta violazione di ciascuno dei parametri costituzionali, determina la manifesta inammissibilità delle questioni proposte. ( Precedenti: O. 159/2021 - mass. 44115; O. 250/2019 - mass. 40860 ). (Nel caso di specie, sono dichiarate manifestamente inammissibili, per motivazione lacunosa in punto di non manifesta infondatezza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Giudice di pace di Lecce in riferimento agli artt. 2, 24, 102 e 111 Cost., dell'art. 131- bis cod. pen., il quale prevede una generale causa di esclusione della punibilità per i reati al di sotto di una soglia massima di gravità, nella parte in cui non lo rende applicabile anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace. Da un lato, il rimettente si è limitato a dedurre censure generiche e meramente assertive, senza specificare i motivi della ritenuta violazione di ciascuno dei parametri costituzionali; dall'altro, in riferimento all'art. 24 Cost., la violazione è soltanto indicata).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dall'Arbitro unico di Roma in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonché all'art. 1 Prot. add. CEDU - dell'art. 25- undecies del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, e dell'art. 31, commi 49- bis , 49- ter e 49- quater , della legge n. 448 del 1998, come modificato dal citato art. 25- undecies del d.l. n. 119 del 2018, che modificano retroattivamente il regime della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili di edilizia convenzionata. Non sussiste l'asserita lesione dell'art. 77 Cost., perché l'art. 25- undecies mostra attinenza con la materia finanziaria. Né sussiste un vulnus al principio della tutela dell'affidamento, attraverso un'indebita ingerenza del legislatore nell'esercizio della funzione giurisdizionale, perché la modifica normativa censurata è stata introdotta nel 2018, mentre risale al 2015 la pronuncia n. 18135 delle Sez. unite della Cassazione, intervenuta - in un quadro normativo eterogeno che rende evidente che non poteva essersi consolidato un affidamento particolarmente radicato sul tenore delle disposizioni previgenti. Né la soluzione normativa prescelta dal legislatore appare sproporzionata rispetto al fine di correggere la discrasia esistente. Infine, quanto alla asserita violazione del principio di ragionevolezza dell'affidamento sulla stabilità e coerenza della disciplina generale del contratto, del principio di intangibilità della sfera giuridica altrui e del diritto di proprietà, il venditore non modifica ex post il contenuto dispositivo del contratto di compravendita, ma incide sul solo regime eteronomo della circolazione del bene con esso trasferito. La ratio dell'estensione soggettiva del potere di affrancazione deve, dunque, essere individuata nella tutela dell'interesse dell'alienante ad assolvere, sia pure ex post , l'impegno, contrattualmente assunto, di trasferire il bene libero da pesi. Quanto all'entità del contributo di affrancazione, la determinazione dell'importo dovuto per la rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione scaturisce da una valutazione di politica economica che, se non travalica il normale ambito di discrezionalità, riservata al legislatore ordinario, che non è sindacabile dalla Corte costituzionale, nell'ottica del contemperamento tra le finalità di cura dei bisogni abitativi e di promozione della libertà di iniziativa economica nel mercato immobiliare.
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 - sollevate dal Consiglio di Stato, con le ordinanze iscritte ai numeri 58 e 59 del r.o. 2020, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali sanciti artt. 6 CEDU, 1 Prot. add. CEDU e 2 del Protocollo di Kyoto. Nei due giudizi indicati la norma censurata - la quale, al fine di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale alle linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il successivo 3 ottobre, dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle stesse - è sopravvenuta nel corso del giudizio d'appello avverso pronunce del TAR favorevoli agli operatori resistenti. Pertanto l'onere motivazionale, quanto alla rilevanza della questione, era maggiore per il rimettente, il quale avrebbe dovuto argomentare in ordine alla ritenuta applicabilità, nel caso di specie, dello ius superveniens ; al contrario, esso non ha motivato in ordine alla ritenuta sussistenza, in concreto, dei presupposti che avrebbero reso applicabile nel giudizio d'appello la norma censurata, non conosciuta, né tanto meno applicata, dal TAR.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 - sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali sanciti dagli artt. 6 CEDU, 1 Prot. addiz. CEDU, e 2 del Protocollo di Kyoto - il quale, al fine di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale alle Linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il successivo 3 ottobre, dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle stesse. Il fulcro della norma censurata - costituito dall'obbligo a contrattare per la revisione degli accordi stipulati prima del 3 ottobre 2010, per renderli conformi alle indicate Linee guida, sentita la conferenza dei servizi - è inserito in una regolamentazione più ampia, secondo un bilanciamento ponderato e ragionevole, al fine di garantire la concorrenza e promuovere la tutela dell'ambiente e del paesaggio. Tale ragionevolezza conduce, a cascata, alla non fondatezza di tutte le altre censure. La conferma di quanto previsto dalla fonte regolamentare non frustra infatti il diritto di azione dell'operatore per promuovere l'azione di nullità delle clausole di "vecchi" accordi, né sono violati i principi della separazione dei poteri e del giusto processo, perché nel caso in esame il mantenimento dell'efficacia dei "vecchi accordi" non ha alcuna portata sanante di una asserita invalidità sopravvenuta. Non è fondata neanche la censura riferita alla violazione della libertà di iniziativa economica, atteso che l'efficacia della norma censurata è espressamente limitata alle convenzioni che sono state liberamente stipulate tra le parti; e neppure sono violati i principi di legalità e proporzionalità riferiti al diritto di proprietà degli operatori economici, data l'incertezza del quadro normativo di riferimento e l'insussistenza di un diritto vivente al riguardo. Non è fondata, infine, nemmeno la censura riferita agli obblighi assunti sul piano internazionale ed europeo, in quanto i Comuni - pur partecipando alla suddetta conferenza di servizi - non hanno alcuna competenza in ordine al rilascio dell'autorizzazione unica all'esercizio di impianti di produzione di energia rinnovabile. ( Precedenti citati: sentenze n. 276 del 2020, n. 237 del 2020, n. 235 del 2020, n. 167 del 2020, n. 177 del 2018, n. 148 del 2019, n. 275 del 2012, n. 119 del 2010, n. 124 del 2010, n. 282 del 2009, e n. 383 del 2005 ). Le fonti energetiche rinnovabili (FER), definite talvolta alternative, sono quelle forme di energia che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono esauribili nella scala dei tempi "umani" e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future, e verso le quali sia la normativa internazionale (Protocollo di Kyoto e Statuto dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili IRENA) che quella comunitaria manifestano un deciso favor, al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili, con conseguente esigenza di semplificazione dei relativi procedimenti autorizzatori. ( Precedenti citati: sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019, n. 177 del 2018, n. 275 del 2012 e n. 85 del 2012 ). I regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile, sono regolati dalle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, atti di normazione secondaria, che costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria. Pertanto essi rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale ed hanno carattere vincolante. ( Precedenti citati: sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012 ). La garanzia del diritto di azione in giudizio costituisce un posterius rispetto alla sussistenza del diritto sul piano sostanziale e non può dirsi violato in ragione della portata, più o meno favorevole, della disciplina sostanziale. ( Precedenti citati: sentenze n. 15 del 2012, n. 303 del 2011, n. 401 del 2008, n. 29 del 2002 e n. 419 del 2000 ). Non è consentito risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie, violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi. ( Precedenti citati sentenze n. 12 del 2018, n. 85 del 2013, n. 94 del 2009 e n. 374 del 2000 ). In generale è violato il principio costituzionale della parità delle parti quando il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco. ( Precedenti citati sentenze n. 12 del 2018, n. 191 del 2014 e n. 186 del 2013 ). Fare salvi i «motivi imperativi d'interesse generale», che suggeriscono al legislatore nazionale interventi interpretativi dei principi convenzionali, non può non lasciare ai singoli Stati contraenti quantomeno una parte del compito e dell'onere di identificarli. ( Precedenti citati: sentenze n. 156 del 2014, n. 78 del 2012, n. 15 del 2012, n. 1 del 2011 e n. 311 del 2009 ). Il legislatore, nel rispetto del limite posto per la materia penale dall'art. 25 Cost., può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. ( Precedente citato: sentenza n. 78 del 2012 ).
Accolta, per violazione dell'art. 106, primo e secondo comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del d.l. n. 69 del 2013, sono assorbite quelle relative alla violazione dell'art. 102, primo comma, Cost.