Articolo 105 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
I singoli organi giurisdizionali - e quindi anche il giudice di pace - sono legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma tale legittimazione sussiste limitatamente all'esercizio dell'attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale. ( Precedenti: O. 35/2022 - mass. 44519; O. 19/2021 - mass. 43577; O. 148/2020 - mass. 43530; O. 84/2020 - mass. 43340; O. 82/2020 - mass. 43323; O. 69/2020 - mass. 43150; O. 139/2016 - mass. 38914; O. 296/2013 - mass. 37496; O. 151/2013 - mass. 37166; O. 25/2013 - mass. 36921; O. 366/2008 - mass. 32908; O. 338/2007 - mass. 31674; O. 22/2000 - mass. 25134; O. 340/1999 - mass. 24977; O. 244/1999 - mass. 24798; O. 87/1978 - mass. 12752 ). Presupposto per la sollevazione del conflitto di attribuzione da parte del singolo giudice è che questi sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano, dal momento che il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine a tale competenza, viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali. ( Precedenti: O. 285/2011 - mass. 35892; O. 127/2006 - mass. 30292; O. 144/2000 - mass. 25308 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione attiva, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Cristina Piazza, in qualità di Giudice di pace presso l'Ufficio del Giudice di pace di Bologna, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per violazione degli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 CDFUE; alle clausole 2, 4 e 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE; alla direttiva 2003/88/CE, in relazione ai commi da 629 a 633 dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021, che, nel modificare l'art. 29 del d.lgs. n. 116 del 2017, condizionano la conferma a tempo indeterminato, sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore di quest'ultimo al superamento di una procedura valutativa, con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico parametrato a quello di un funzionario amministrativo, anziché a quello dei magistrati professionali. L'atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale neppure motiva in ordine all'incidenza delle disposizioni censurate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più procedimenti; in tal modo il giudizio per conflitto tra poteri è utilizzato dalla stessa come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, in funzione di difesa di propri, asseriti, diritti tutelati dalla Costituzione). ( Precedenti: O. 32/2022 - mass. 44518; O. 254/2021 - mass. 44436; O. 279/2011 - mass. 35882 ).
Non può essere accolta, in quanto infondata, l'eccezione, formulata dalla difesa dello Stato, di inammissibilità per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 105 e 110 della Costituzione, dell'art. 2, comma 1, della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l'attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell'Unione europea, che istituisce l'Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), il quale, nel disciplinare la nomina del membro nazionale dell'Eurojust, prevede, tra l'altro, che esso « (...) è nominato con decreto del Ministro della giustizia tra i giudici o i magistrati del pubblico ministero, che esercitano funzioni giudiziarie, o fuori del ruolo organico della magistratura, con almeno venti anni di anzianità di servizio». Invero, Il giudice rimettente denuncia il comma 1 dell'art. 2 della legge n. 41 del 2005 in ragione non della forma del provvedimento previsto da tale disposizione («decreto del Ministro della giustizia»), ma della esclusiva attribuzione al Ministro - e non al Consiglio superiore della magistratura - del potere sostanziale di «nomina»; attribuzione stabilita, secondo l'interpretazione del medesimo rimettente, dal combinato disposto dei commi 1 e 2 del suddetto articolo. Ne deriva che la questione sollevata investe entrambi i commi denunciati e che, pertanto, l'ordinanza di rimessione risulta adeguatamente motivata anche in relazione al comma 1 del citato art. 2.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 105 e 110 della Costituzione, dei commi 1 e 2 dell'art. 2 della legge 14 marzo 2005, n. 41 (Disposizioni per l'attuazione della decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 del Consiglio dell'Unione europea, che istituisce l'Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità), i quali, nel disciplinare la nomina del membro nazionale dell'Eurojust, prevedono che esso «(...) è nominato con decreto del Ministro della giustizia tra i giudici o i magistrati del pubblico ministero, che esercitano funzioni giudiziarie, o fuori del ruolo organico della magistratura, con almeno venti anni di anzianità di servizio (...)» (comma 1) e che «ai fini della nomina, il Ministro della giustizia, acquisite le valutazioni del Consiglio superiore della magistratura in ordine ad una rosa di candidati nell'ambito della quale provvederà ad effettuare la nomina stessa, richiede al medesimo Consiglio il collocamento del magistrato designato fuori del ruolo organico della magistratura o, nel caso di magistrato già in posizione di fuori ruolo, comunica al Consiglio superiore della magistratura la propria designazione» (comma 2). Il rimettente, pur muovendo dal duplice corretto presupposto secondo cui, per un verso, gli art. 105 e 110 Cost. riservano al Consiglio superiore della magistratura, e non al Ministro della giustizia, l'effettiva decisione in ordine ai provvedimenti che, conferendo funzioni proprie della magistratura ordinaria a magistrati ordinari, incidono sul loro status e che, per altro verso, le disposizioni denunciate riservano invece al Ministro della giustizia l'effettiva decisione sulla nomina del membro italiano presso l'Eurojust, erra tuttavia nel ritenere, quale passaggio argomentativo finale, che le funzioni proprie del membro nazionale presso l'Eurojust possano essere ricondotte a quelle giudiziarie «sostanzialmente proprie del magistrato» del pubblico ministero, sì da integrare la violazione dei parametri evocati. Invero, le funzioni che la decisione istitutiva e la normativa di attuazione attribuiscono all'Eurojust ed ai suoi membri non sono riconducibili a quelle giudiziarie che il magistrato del pubblico ministero esercita nel nostro ordinamento e, conseguentemente, non sono applicabili le norme interne previste per l'assegnazione di dette funzioni e, neppure quelle che la Costituzione pone a garanzia dell'indipendenza della magistratura.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 10, lett. a ), della legge 25 luglio 2005, n. 150, recante delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario, di cui al r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, sollevata in riferimento agli artt. 3, 97 e 105 della Costituzione: e invero la disposizione denunciata, che ha un contenuto identico all'art. 3 del d.lgs. n. 20 del 2006, col quale la delega è stata esercitata, ha esaurito la propria funzione con lo spirare del termine di sei mesi in essa previsto per l'esercizio della delega legislativa da parte del Governo. Non potendo la norma delegante spiegare effetti nei giudizi a quibus , la prospettata questione di costituzionalità difetta del requisito della rilevanza.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 45, della legge 25 luglio 2005, n. 150, censurata in riferimento agli artt. 3, 97 e 105 Cost., va disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata sul rilievo dell'inapplicabilità della norma censurata, in quanto introduttiva di una disciplina transitoria che ha cessato di avere efficacia dal 28 gennaio 2006. Una delle ordinanze di rimessione chiarisce infatti con adeguati richiami all'epoca di adozione dei provvedimenti impugnati, la rilevanza dell'esito dell'incidente ai fini della definizione del procedimento principale, nel quale il Tribunale deve fare applicazione proprio della disposizione censurata.
Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, gli artt. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e 3 del d.lgs. n. 20 del 2006, nella parte in cui tali norme non prevedono che alle procedure di selezione per il conferimento degli incarichi direttivi di uffici giudiziari di primo e di secondo grado possano partecipare magistrati che, per avere esercitato il diritto al prolungamento del servizio oltre la data di ordinario collocamento a riposo, previsto dalle nome vigenti, assicurino comunque la permanenza nell'incarico per almeno quattro anni. L'individuazione del punto di riferimento, per il compimento dei quattro anni di servizio rimanenti, nella data di ordinario collocamento a riposo era ragionevole in un contesto normativo ove si prevedeva che comunque, dopo sei anni al massimo, l'incarico stesso dovesse essere affidato ad altri, ma cessa di esserlo in un assetto in cui, venuto meno tale limite, coloro che hanno ottenuto un incarico direttivo prima del compimento dei sessantasei anni, possono continuare a mantenerlo fino a settantacinque anni, mentre restano irragionevolmente esclusi per sempre coloro che non lo hanno ottenuto, ancorché, avvalendosi del diritto a prolungare la propria permanenza nei ruoli della magistratura, sancito dall'art. 16, comma 1- bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, siano ugualmente in grado di assicurare almeno quattro anni di servizio. Peraltro, vanificato lo scopo di riservare gli incarichi direttivi a magistrati relativamente meno anziani e di garantirne la rotazione, risulta altresì frustrata la ratio legis sottesa alla disciplina «a regime» prevista dalla legge di delega. L'irragionevolezza della disposizione si è inevitabilmente trasmessa all'art. 3 del d.lgs. n. 20 del 2006, attuativo di una delega che riproduce integralmente detta disciplina transitoria.
E? inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e, «ove occorra», del Governo, avverso le disposizioni di cui all'art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e all'art. 2, comma 3, del decreto legge 16 marzo 2004, n. 66, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 11 maggio 2004, n. 126, «nella parte in cui prevedono che il CSM debba, senza procedere ad alcuna valutazione, riammettere in servizio il magistrato prosciolto in sede penale con una formula piena dopo che questi sia volontariamente cessato, a causa di tale pendenza, dall'ordine giudiziario, e laddove stabiliscono che a questi venga conferita, in casi di anzianità non inferiore a dodici anni nell'ultima funzione esercitata, una funzione di livello immediatamente superiore, previa valutazione della sola anzianità di ruolo e delle attitudini desunte dalle ultime funzioni esercitate, e, nel caso di anzianità inferiore, una funzione, anche in soprannumero, dello stesso livello», per la dedotta lesione delle attribuzioni costituzionali del ricorrente CSM in relazione agli artt. 77, 97, 105 Cost., nonché al principio di leale collaborazione. Se, infatti, l?ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato non può essere negata sulla sola base della natura legislativa degli atti ai quali venga ascritta, dal ricorrente, la lesione delle attribuzioni costituzionali in gioco, deve nondimeno «escludersi, nella normalità dei casi, l'esperibilità del conflitto tutte le volte che la legge, dalla quale, in ipotesi, deriva la lesione delle competenze, sia denunciabile dal soggetto interessato nel giudizio incidentale». Questi principi hanno trovato ulteriore conferma là dove si è riconosciuto che il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato è configurabile anche in relazione ad atti di rango legislativo «ove da essi possano derivare lesioni dirette all'ordine costituzionale delle competenze, ma solo nel caso in cui non esista un giudizio nel quale questi debbano trovare applicazione e quindi possa essere sollevata la questione di legittimità costituzionale in via incidentale». Il conflitto avverso atto legislativo è pertanto sollevabile, di norma, da un potere dello Stato solo a condizione che non sussista la possibilità, almeno in astratto, di attivare il rimedio della proposizione della questione di legittimità costituzionale nell'ambito di un giudizio comune, come, appunto, nel caso di specie, dove il ricorrente, nel corso del giudizio che possa essere attivato da un interessato a seguito dell'adozione, da parte dello stesso CSM, dei provvedimenti regolati dalle norme 'de quibus', o comunque a seguito dell'inerzia serbata su istanze tendenti alla emanazione di tali provvedimenti, dispone della possibilità di eccepire l'illegittimità costituzionale delle norme legislative denunciate nella presente sede come asseritamente lesive delle proprie attribuzioni, con la conseguente possibilità che le disposizioni contestate siano scrutinate in via incidentale. - Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l?ordinanza n. 116/2005, che ha disposto la notifica del ricorso anche al Presidente del Consiglio dei ministri. - Sull?ammissibilità del conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato anche nei confronti di atti di rango legislativo, cfr. sentenze n. 457/1999, n. 221/2002 e ordinanza n. 343/2003.
E? ammissibile il conflitto di attribuzione proposto dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Governo, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in relazione alle disposizioni di cui all?art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, quale modificato dall?art. 1 del decreto-legge 16 marzo 2004, n. 66, convertito in legge, con modificazioni, dall?art. 1 della legge 11 maggio 2004, n. 126, e all?art. 2, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 66 del 2004, che introducono una tutela risarcitoria in forma specifica per i pubblici dipendenti sospesi o dimessisi a causa di procedimento penale, successivamente conclusosi con il proscioglimento, per la asserita lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita e del principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato determinata dalla adozione, in una materia riguardante i magistrati ordinari, di un decreto-legge, che non ha consentito la richiesta del preventivo parere del CSM. Sussistono, invero, i requisiti soggettivo ed oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Dal punto di vista soggettivo, in particolare, deve riconoscersi la legittimazione del Consiglio superiore della magistratura a sollevare il conflitto, in quanto organo direttamente investito delle funzioni previste dall?art. 105 della Costituzione, mentre nessun dubbio può sussistere sulla legittimazione del Governo nel suo complesso e delle due Camere a resistere al conflitto. Sotto il profilo oggettivo, il ricorso è indirizzato alla garanzia della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali, mentre non possono escludersi, in sede di valutazione preliminare, le condizioni per riconoscere l?idoneità di atti aventi natura legislativa a determinare il conflitto.
Non spetta al Ministro della giustizia non dar corso alla controfirma del decreto del Presidente della Repubblica di conferimento dell'ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo sulla base di deliberazione del Consiglio superiore della magistratura; conseguentemente deve essere annullata la determinazione del Ministro della giustizia, contenuta nella nota del 25 ottobre 2002, di rifiuto di dar corso alla controfirma del decreto del Presidente della Repubblica di conferimento del predetto ufficio direttivo. Infatti, in conseguenza di tale rifiuto, nonostante sia stata svolta, da parte del Consiglio superiore, una adeguata attività di concertazione, ispirata al principio di leale collaborazione, con approfondimenti e verifiche, completa attività istruttoria e valutazioni motivate in ordine alle ragioni addotte dal Ministro ? cui non spettano nella procedura in questione particolari poteri di rinvio o di riesame ricadendo sullo stesso il dovere di adottare l'atto di propria competenza ?, non si è potuto convenire sulla proposta tra Consiglio superiore e Ministro essendo trascorso un periodo di tempo di gran lunga superiore ad ogni ragionevole aspettativa tenuto conto della durata della vacanza del posto direttivo da coprire. ? Sulla partecipazione e sui poteri del Ministro della giustizia nella procedura di conferimento degli uffici direttivi, e sul metodo basato sulla leale collaborazione, v. richiamo specifico alle sentenze n. 379/1992; n. 142/1973; n. 168/1968.
E' ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Ministro della giustizia, in relazione al rifiuto dello stesso Ministro di dar corso alla delberazione consiliare che conferisce l'ufficio direttivo di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo. In sede di mera delibazione, senza contraddittorio, possono, infatti, ritenersi sussistenti i requisiti prescritti dalla legge n. 87 del 1953 ai fini della configurabilità di un conflitto tra poteri dello Stato risolvibile dalla Corte costituzionale, dal momento che: a) ciascuno degli organi confliggenti è abilitato ad esercitare, nella materia, attribuzioni proprie conferite dalla Costituzione; b) si lamenta la lesione di una attribuzione costituzionalmente garantita al ricorrente Consiglio superiore.