Articolo 104 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
I singoli organi giurisdizionali - e quindi anche il giudice di pace - sono legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma tale legittimazione sussiste limitatamente all'esercizio dell'attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale. ( Precedenti: O. 35/2022 - mass. 44519; O. 19/2021 - mass. 43577; O. 148/2020 - mass. 43530; O. 84/2020 - mass. 43340; O. 82/2020 - mass. 43323; O. 69/2020 - mass. 43150; O. 139/2016 - mass. 38914; O. 296/2013 - mass. 37496; O. 151/2013 - mass. 37166; O. 25/2013 - mass. 36921; O. 366/2008 - mass. 32908; O. 338/2007 - mass. 31674; O. 22/2000 - mass. 25134; O. 340/1999 - mass. 24977; O. 244/1999 - mass. 24798; O. 87/1978 - mass. 12752 ). Presupposto per la sollevazione del conflitto di attribuzione da parte del singolo giudice è che questi sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano, dal momento che il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine a tale competenza, viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali. ( Precedenti: O. 285/2011 - mass. 35892; O. 127/2006 - mass. 30292; O. 144/2000 - mass. 25308 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione attiva, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Cristina Piazza, in qualità di Giudice di pace presso l'Ufficio del Giudice di pace di Bologna, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per violazione degli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 CDFUE; alle clausole 2, 4 e 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE; alla direttiva 2003/88/CE, in relazione ai commi da 629 a 633 dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021, che, nel modificare l'art. 29 del d.lgs. n. 116 del 2017, condizionano la conferma a tempo indeterminato, sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore di quest'ultimo al superamento di una procedura valutativa, con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico parametrato a quello di un funzionario amministrativo, anziché a quello dei magistrati professionali. L'atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale neppure motiva in ordine all'incidenza delle disposizioni censurate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più procedimenti; in tal modo il giudizio per conflitto tra poteri è utilizzato dalla stessa come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, in funzione di difesa di propri, asseriti, diritti tutelati dalla Costituzione). ( Precedenti: O. 32/2022 - mass. 44518; O. 254/2021 - mass. 44436; O. 279/2011 - mass. 35882 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Lanciano con riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 CDFUE, alle clausole 1, 4 e 5 dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP del 18 marzo 1999, recepito dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, nonché in relazione agli artt. 1, 2, 4, 12, 24 ed E della Carta sociale europea - degli artt. da 1 a 33 del d.lgs. n. 116 del 2017, nella parte in cui tali disposizioni sono estese ai giudici di pace già in servizio alla data di entrata in vigore del decreto, dell'art. 5 della legge n. 57 del 2016, laddove affida il coordinamento dell'ufficio del Giudice di pace al presidente del Tribunale, dell'art. 11, comma 4- ter , della legge n. 374 del 1991, nella parte in cui stabilisce che l'importo di euro 72.000 lordi annui costituisca il tetto massimo e non la retribuzione lorda annuale comunque spettante al giudice di pace in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 116 del 2017, dell'art. 119 del d.l. n. 18 del 2020, come conv., nella parte in cui riconosce ai magistrati onorari un contributo economico inadeguato per il periodo di sospensione dell'attività giudiziaria nei mesi di marzo-maggio 2020, dell'art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, laddove non estende anche ai Giudici di pace la procedura di stabilizzazione e di superamento del precariato prevista per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni in regime di rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, degli artt. 42, comma 2, e 83 del d.l. n. 18 del 2020, dell'art. 3 del d.l. n. 28 del 2020, dell'art. 14, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020, come convertiti, in combinato disposto, nella parte in cui «hanno paralizzato e paralizzano l'attività giurisdizionale di questo giudice di pace» nel periodo dal 9 marzo 2020 al 31 gennaio 2021. Le disposizioni censurate non hanno collegamento con l'oggetto del giudizio principale, costituito da una pretesa risarcitoria di un danno da circolazione stradale.
Sono dichiarate inammissibili, per carente e contraddittoria descrizione del quadro normativo di riferimento, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Lanciano in riferimento agli artt. 77, 97, secondo e terzo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 47 CDFUE - degli artt. 42, comma 2, 83 e 87 del d.l. n. 18 del 2020, come conv., nonché degli artt. 1 e 4 del d.l. n. 19 del 2020, come conv., dell'art. 3 del d.l. n. 28 del 2020, come conv., e dell'art. 263 del d.l. n. 34 del 2020, come conv., nella parte in cui, con riferimento al periodo dal 9 marzo 2020 al 31 gennaio 2021, prescrivono misure limitative dello svolgimento delle udienze, anche nel settore civile, a seguito della diffusione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. Il rimettente non dà adeguatamente conto dell'evoluzione della disciplina dello svolgimento delle udienze civili tra la "prima" e la "seconda" fase dell'emergenza pandemica, limitandosi a riferire in maniera generica, nonostante gli articolati provvedimenti organizzativi del presidente del Tribunale, l'impossibilità di svolgere l'udienza istruttoria nel giudizio principale per la sola ragione della mancanza di appositi strumenti informatici nell'ufficio, senza tener conto del più articolato quadro normativo della disciplina emergenziale del processo civile e delle possibili opzioni. ( Precedenti: S. 114/2021 - mass. 43914; O. 59/2019 - mass. 40499; O. 136/2018 - mass. 41368; O. 88/2017 - mass. 39450; O. 92/2015 - mass. 38385 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dall'Arbitro unico di Roma in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, secondo comma, 77, secondo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonché all'art. 1 Prot. add. CEDU - dell'art. 25- undecies del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, e dell'art. 31, commi 49- bis , 49- ter e 49- quater , della legge n. 448 del 1998, come modificato dal citato art. 25- undecies del d.l. n. 119 del 2018, che modificano retroattivamente il regime della rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili di edilizia convenzionata. Non sussiste l'asserita lesione dell'art. 77 Cost., perché l'art. 25- undecies mostra attinenza con la materia finanziaria. Né sussiste un vulnus al principio della tutela dell'affidamento, attraverso un'indebita ingerenza del legislatore nell'esercizio della funzione giurisdizionale, perché la modifica normativa censurata è stata introdotta nel 2018, mentre risale al 2015 la pronuncia n. 18135 delle Sez. unite della Cassazione, intervenuta - in un quadro normativo eterogeno che rende evidente che non poteva essersi consolidato un affidamento particolarmente radicato sul tenore delle disposizioni previgenti. Né la soluzione normativa prescelta dal legislatore appare sproporzionata rispetto al fine di correggere la discrasia esistente. Infine, quanto alla asserita violazione del principio di ragionevolezza dell'affidamento sulla stabilità e coerenza della disciplina generale del contratto, del principio di intangibilità della sfera giuridica altrui e del diritto di proprietà, il venditore non modifica ex post il contenuto dispositivo del contratto di compravendita, ma incide sul solo regime eteronomo della circolazione del bene con esso trasferito. La ratio dell'estensione soggettiva del potere di affrancazione deve, dunque, essere individuata nella tutela dell'interesse dell'alienante ad assolvere, sia pure ex post , l'impegno, contrattualmente assunto, di trasferire il bene libero da pesi. Quanto all'entità del contributo di affrancazione, la determinazione dell'importo dovuto per la rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione scaturisce da una valutazione di politica economica che, se non travalica il normale ambito di discrezionalità, riservata al legislatore ordinario, che non è sindacabile dalla Corte costituzionale, nell'ottica del contemperamento tra le finalità di cura dei bisogni abitativi e di promozione della libertà di iniziativa economica nel mercato immobiliare.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice istruttore del Tribunale di Salerno in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 108 Cost. - dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 18 del 2015, nella parte in cui - secondo l'unica interpretazione che il rimettente ricava non implausibilmente dal disposto della norma censurata - impone al tribunale investito dell'azione contro lo Stato per il risarcimento dei danni conseguenti a condotte o provvedimenti di un magistrato di trasmettere immediatamente copia degli atti al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al fine dell'obbligatorio esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa alla domanda risarcitoria. L'obbligo di trasmissione degli atti non lede i valori costituzionali evocati, giacché - alla luce di una interpretazione sistematica che tenga conto della ratio della riforma di cui alla legge n. 18 del 2015, che ha abolito il c.d. "filtro di ammissibilità" e della disciplina di riferimento - la norma censurata non impone al Procuratore generale presso la Corte di cassazione l'indefettibile esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato per la mera proposizione della domanda risarcitoria. Poiché i presupposti per l'esercizio, sia pure obbligatorio, dell'azione disciplinare non sono stati rivisitati dalla modifica della legge n. 117 del 1988, da un lato il suo promovimento richiede l'acquisizione della notizia circostanziata di un fatto riconducibile ad una delle ipotesi tipiche previste dalla legge, e non può fondarsi sulla semplice notizia della pendenza di una causa risarcitoria; dall'altro lato, ove pure la domanda risarcitoria presenti le caratteristiche di una notizia circostanziata di illecito disciplinare, ciò non esclude la necessità di svolgere accertamenti predisciplinari, intesi a verificare che quella notizia abbia una qualche consistenza e non attenga, altresì, a un fatto di scarsa rilevanza, ai sensi dell'art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006.
È dichiarato estinto, per rinuncia al ricorso accettata dalla controparte costituita in giudizio, il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale - promosse dal Governo in riferimento agli artt. 3, 97 e 104 Cost. - della legge reg. Molise n. 15 del 2018, e, in particolare, dell'art. 1. (Nella specie, la rinuncia fa seguito all'abrogazione della legge regionale impugnata ad opera dell'art. 3 della legge reg. Molise n. 10 del 2019). Ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la rinuncia al ricorso, seguita dall'accettazione della controparte costituita, comporta l'estinzione del processo. ( Precedenti citati: ordinanze n. 266 del 2020, n. 232 del 2020 e n. 221 del 2020 ).
È dichiarato inammissibile, per carenza dei requisiti soggettivi e oggettivi, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso - in riferimento agli artt. 25, 32, 36, 97, 101, 104, 108 e 111 Cost. - da N. R., Giudice di pace di Taranto, nei confronti del Tribunale di Taranto, in persona del già Presidente facente funzioni, in qualità di organo amministrativo, e, ove occorra, in persona del Presidente in carica, in relazione al decreto del 4 maggio 2020, n. 36, con il quale è stata disposta la sospensione delle udienze a causa dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, e al decreto del 13 maggio 2020, n. 38, adottato dal Presidente del Tribunale di Taranto insieme al magistrato collaboratore al coordinamento dei giudici di pace di Taranto, recante diffida al Giudice di pace ricorrente dall'adottare provvedimenti organizzativi dell'attività giurisdizionale di sua competenza in violazione delle disposizioni adottate con il decreto n. 36 del 2020. Il conflitto sorge dall'esercizio di funzioni non giurisdizionali tra organi appartenenti, entrambi, al potere giudiziario. La doglianza del giudice di pace si risolve pertanto nella contestazione dell'illegittimità degli atti amministrativi adottati, per la sua mancata partecipazione al relativo procedimento. ( Precedenti citati: sentenze n. 255 del 2019, n. 10 del 2017, n. 260 del 2016 e n. 104 del 2016; ordinanza n. 84 del 2020 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, i singoli organi giurisdizionali sono legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma tale legittimazione sussiste limitatamente all'esercizio dell'attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale. ( Precedenti citati: ordinanze n. 366 del 2008, n. 338 del 2007, n. 340 del 1999, n. 244 del 1999 e n. 87 del 1978 ). È esclusa l'ammissibilità di conflitti che coinvolgano organi appartenenti, entrambi, al potere giudiziario. ( Precedente citato: ordinanza n. 296 del 2013 ).
Accolta parzialmente, per violazione dell'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come conv., restano assorbite le ulteriori questioni relative agli artt. 97, 104, primo comma, 107 e 108, secondo comma, Cost.
Sono dichiarate manifestamente infondate, per inconferenza dei parametri evocati, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari in riferimento agli artt. 27, terzo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost., degli artt. 2 e 5 del d.l. n. 29 del 2020 - così come trasfusi nell'art. 2-bis del d.l. n. 28 del 2020, come convertito, che intervengono nell'ambito dei procedimenti di concessione della detenzione domiciliare c.d. in surroga, (art. 47- ter , comma 1- ter , ordin. penit.), per ragioni sanitarie legate all'emergenza da COVID-19, a favore dei condannati e gli internati per una serie di gravi reati di criminalità organizzata o comunque sottoposti al regime penitenziario di cui all'art. 41- bis ordin. penit., e dispongono che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all'emergenza sia effettuata entro il termine di quindici giorni dall'adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile, o immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta; che proceda a rivalutazione del provvedimento il magistrato di sorveglianza che lo ha emesso; e che tale procedura si applichi ai provvedimenti adottati successivamente al 23 febbraio 2020. Le norme censurate non sono funzionali alla rieducazione del condannato, bensì in via esclusiva alla tutela della sua salute; né interferiscono con le prerogative del potere giudiziario, in quanto non hanno effetto retroattivo, applicandosi bensì alle misure extramurarie concesse a partire da una data antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 28 del 2020, ma con effetto esclusivamente pro futuro, imponendo al giudice, da quel momento in poi, un obbligo di periodica rivalutazione delle condizioni che giustificano un provvedimento attualmente in essere, che eccezionalmente consente a condannati il cui percorso rieducativo ancora imporrebbe una permanenza intramuraria di scontare parte della propria pena all'esterno, in ragione della tutela della loro salute in un contesto di emergenza epidemiologica. Né la legge pretende - ciò che le sarebbe evidentemente precluso - di travolgere ipso iure i provvedimenti già adottati, bensì soltanto di imporre al giudice di effettuare ulteriori adempimenti istruttori, suscettibili di sfociare in un distinto provvedimento di revoca, che, peraltro, il giudice non è in alcun modo tenuto ad adottare, laddove ritenga che la salute del detenuto non sia ragionevolmente tutelabile anche in ambito intramurario, ovvero mediante il suo ricovero in appositi reparti di medicina protetti. Neppure, infine, l'indicata interferenza può essere riscontrata in ragione dell'asserita vanificazione del termine contenuto nell'originario provvedimento di concessione della misura, termine che potrà continuare ad operare laddove il giudice ritenga, pur in esito alle periodiche rivalutazioni, di non disporre la revoca della misura stessa. ( Precedente citato: sentenza n. 85 del 2013 ).
Sono dichiarate inammissibili, per grave carenza del percorso argomentativo, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Calabria, in riferimento agli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla CDFUE, all'art. 3 TUE, all'art. 6 CEDU - nonché all'art. 119, sesto comma, in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost., dell'art. 38, commi 1- terdecies , 2- bis e 2- ter del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, che consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 18 del 2019, di riproporre i piani per adeguarli alla normativa vigente, anche quando gli stessi siano stati già oggetto di pronuncia della Corte dei conti. Il giudice a quo - nell'evocare cumulativamente una pluralità di parametri, alcuni dei quali interposti, e di princìpi di ampio respiro, e ciò anche in riferimento a norme che hanno un diverso contenuto precettivo - non motiva adeguatamente in ordine all'asserito contrasto e non specifica quali dei differenti precetti espressi dai parametri evocati sarebbero stati in concreto lesi dalle disposizioni censurate; né, inoltre, dà conto delle ragioni per cui le disposizioni censurate sarebbero ascrivibili alla categoria della legge-provvedimento, affermandolo in maniera meramente assertiva, senza alcun elemento concreto utile a darne riscontro. Per consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, non basta l'indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. ( Precedente citato: sentenza n. 212 del 2018 ).