Articolo 27 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Il tendenziale collegamento della sospensione dell'ordine di esecuzione con i casi di accesso alle misure alternative costituisce un punto di equilibrio ottimale dal punto di vista del principio di eguaglianza-ragionevolezza. L'ingresso in carcere per condannati che si trovano nelle condizioni di poter chiedere una misura alternativa è problematico tanto dal punto di vista del principio di eguaglianza-ragionevolezza, quanto dal punto di vista della necessaria finalità rieducativa della pena. Infatti: a) l'ingresso in carcere determina sempre una brusca frattura dei legami del condannato con il proprio contesto familiare, sociale e - soprattutto - lavorativo, ostacolandone un percorso di risocializzazione che potrebbe essere già iniziato durante il processo, quando il condannato stesso si trovava in stato di libertà o era comunque sottoposto a misura cautelare non carceraria; b) quando la pena da scontare sia breve, è assai probabile che la decisione del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai interamente o quasi scontato la propria pena; c) ogni disallineamento tra i limiti temporali della pena ai fini della sospensione dell'ordine di esecuzione e quelli per l'accesso alle misure alternative concedibili sin dall'inizio dell'esecuzione della pena rende di fatto impossibile la concessione di misure alternative prima dell'ingresso in carcere, ogniqualvolta la condanna sia ancora contenuta nel limite che consentirebbe l'accesso alla misura ma sia superiore a quello fissato per la sospensione dell'ordine di esecuzione. Il che finisce per frustrare lo stesso intento perseguito dal legislatore nel dettare la disciplina della misura alternativa. ( Precedenti: S. 28/2022 - mass. 44619; S. 41/2018 - mass. 40066 ). (Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l'art. 656, comma 9, lett. a , cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all'art. 423- bis , secondo comma, cod. pen. Non sussistono sufficienti ragioni per non applicare anche nel caso in esame la regola generale della sospensione dell'ordine di esecuzione, che vige per tutti i condannati a una pena contenuta in limiti che consentano l'accesso immediato a misure alternative alla detenzione, i quali non si trovino in stato di custodia cautelare in carcere al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Particolarmente illogica appare, in questo contesto, la disparità di trattamento tra i condannati per il delitto in esame e i condannati per quello, strutturalmente affine, di incendio colposo, posto a tutela dell'incolumità pubblica - e cioè della vita e dell'incolumità di una pluralità indeterminata di persone, dunque di un bene ancor più importante rispetto al patrimonio boschivo -, comunque punito con il medesimo quadro edittale previsto per l'incendio boschivo colposo. L'impossibilità di presentare domanda di ammissione ai benefici penitenziari in stato di libertà determinata dalla disposizione censurata dal GIP del Tribunale di Savona comporta, infine, un ostacolo alla funzione rieducativa della pena, che ridonda in questo caso in una violazione anche dell'art. 27, terzo comma, Cost.). ( Precedenti: S. 238/2021 - mass. 44303; S. 216/2019 - mass. 41621; S. 125/2016 - mass. 38890 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Firenze in riferimento agli artt. 24 e 27, secondo comma, Cost. - dell'art. 176, comma 22, cod. strada che, con riguardo alla violazione del divieto di inversione di marcia nelle autostrade e alla connessa sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida a carico del trasgressore, ne prevede l'applicazione a qualsiasi tratto autostradale, compreso quello tra i caselli di entrata e di uscita e quello successivo al casello d'uscita. Il rimettente assume in modo stringato che il diritto di difesa sarebbe violato per il solo fatto che chi sia colpito da una sanzione amministrativa abbia l'onere di impugnarla e di chiederne al giudice la sospensione per evitarne l'immediata esecutività. Inoltre muove dal presupposto - mai affermato dalla Corte costituzionale e a supporto del quale sarebbe stato necessario un adeguato iter argomentativo - secondo cui il principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva sarebbe applicabile anche alle sanzioni amministrative.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27 Cost. - l'art. 167, primo comma, cod. pen. mil. pace, nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risulti, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità. La mancata previsione di una causa di attenuazione del trattamento sanzionatorio per i fatti lievi abbracciati dall'ampio perimetro applicativo della disposizione censurata viola il principio di proporzionalità della pena, in quanto comporta che, anche rispetto a condotte che non provochino alcun disservizio significativo, il tribunale militare sia vincolato ad applicare una pena - fissata nel minimo edittale, eccezionalmente elevato, di otto anni di reclusione - che può risultare manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla funzione rieducativa. Al riscontrato vulnus costituzionale non è tuttavia possibile porre rimedio, come richiesto dalla Cassazione rimettente, estendendo alla disposizione censurata - limitatamente alle condotte di sabotaggio temporaneo cui si riferiscono le censure - l'attenuante prevista dall'art. 311 cod. pen. per i delitti contro la personalità dello Stato ed applicabile anche al sabotaggio comune, considerato che, per gli specifici doveri di custodia che gravano sul militare, tale delitto non costituisce idoneo tertium comparationis . Si rivela invece adeguata, agli anzidetti fini, l'estensione della attenuante prevista dall'art. 171, n. 2), cod. pen. mil. pace per figure criminose contigue, consentendo così al giudice nei casi di lieve entità di diminuire la pena sino a un terzo, in applicazione della disposizione generale di cui all'art. 51, n. 4), del medesimo codice. ( Precedenti: S. 143/2021 - mass. 44024; S. 205/2017 - mass. 39668; S. 106/2014 - mass. 37900; S. 105/2014 - mass. 37899; S. 251/2012 - mass. 36711; S. 68/2012 - mass. 36174 ).
È ordinata la restituzione degli atti alla Corte di cassazione, prima sez. pen., per la valutazione, alla luce dello ius superveniens , della perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost. - degli artt. 4- bis , comma 1, e 58- ter della legge n. 354 del 1975, nonché dell'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991, conv., con modif., nella legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416- bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia. Le disposizioni introdotte con il d.l. n. 162 del 2022 - adottato per dare seguito ai moniti contenuti nell'ord. n. 97 del 2021 - incidono immediatamente e direttamente sulle norme oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità del condannato all'ergastolo per reati ostativi non collaborante, cui è ora concessa - sia pur in presenza di stringenti requisiti - la possibilità di domandare la liberazione condizionale e, così, di vedere vagliata nel merito la propria istanza. Spetta, pertanto, al rimettente valutare la portata applicativa delle nuove norme, anche all'esito del procedimento di conversione del decreto-legge. ( Precedenti: O. 122/2022 - mass. 44818; O. 97/2021 - mass. 43874 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per sopravvenuta carenza di oggetto, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal GIP del Tribunale di Piacenza in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. - dell'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non prevede che, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice individui il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato in quello di cui all'art. 459, comma 1- bis , cod. proc. pen. (75 euro) ovvero possa fare applicazione dei meccanismi di adeguamento di cui all'art. 133- bis cod. pen. in luogo di quello di cui all'art. 135 del medesimo codice (250 euro). La sentenza n. 28 del 2022 ha già dichiarato, in senso conforme al petitum del rimettente, l'illegittimità costituzionale in parte qua della disposizione censurata, ora peraltro integralmente sostituita dal d.lgs. n. 150 del 2022, che ha previsto una disciplina del tasso di ragguaglio ancora più favorevole. ( Precedenti: O. 206/2022 - mass. 45101; O. 204/2022 - mass. 45076; O. 172/2022 - mass. 45006; O. 116/2022 - mass. 44763; O. 102/2022 - mass. 44906; S. 28/2022 - mass. 44623; O. 206/2021 - mass. 44207; O. 192/2021 - mass. 44208; O. 184/2021 - mass. 44051; O. 93/2021 - mass. 43872 ).
Il rispetto del principio di offensività ( nullum crimen sine iniuria ), desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost., comporta che il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, può reprimere sul piano penale, come fattispecie di reato, soltanto condotte che, nella loro descrizione tipica comunque rispettosa del principio di legalità, consistano in comportamenti dal contenuto offensivo di beni meritevoli di protezione, anche sotto il profilo della loro mera esposizione a pericolo. ( Precedente: S. 354/2002 - mass. 27220 ). Il principio di offensività opera su due piani distinti: da un lato, come precetto rivolto al legislatore, diretto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (offensività «in astratto»); dall'altro, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest'ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (offensività «in concreto»). ( Precedenti: S. 225/2008 - mass. 32613, mass. 32614; S. 265/2005 - mass. 29512; S. 519/2000 - mass. 25908; S. 263/2000 - mass. 25484 ). Il principio di offensività «in astratto» non implica che l'unico modello, costituzionalmente legittimo, sia quello del reato di danno, rientrando nella discrezionalità legislativa la scelta per forme di tutela anticipata, che colpiscano l'aggressione ai beni giuridici protetti nello stadio della semplice esposizione a pericolo, nonché, correlativamente, l'individuazione della soglia di pericolosità alla quale riconnettere la risposta punitiva; prospettiva questa nella quale non è precluso, di norma, il ricorso al modello del reato di pericolo presunto sempre che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all' id quod plerumque accidit . ( Precedenti: S. 278/2019 - mass. 41830; S. 141/2019 - mass. 41823, mass. 41824; S. 109/2016 - mass. 38865; S. 225/2008 - mass. 32613; S. 360/1995 - mass. 22565; S. 133/1992; S. 333/1991 - mass. 17541, mass. 17546; S. 62/1986 - mass. 12302 ). Il principio di offensività, anche nella sua configurazione come fattispecie di pericolo, postula che le qualità personali dei soggetti o i comportamenti pregressi degli stessi non possono giustificare disposizioni che attribuiscano rilevanza penale a condizioni soggettive, salvo che tale trattamento specifico e differenziato rispetto ad altre persone non risponda alla necessità di preservare altri interessi meritevoli di tutela. ( Precedenti: S. 249/2010; S. 225/2008; n. 354/2002; S. 14/1971; S. 110/1968; S. 370/1996 ). Non è compatibile con il principio di offensività l'incriminazione di un mero status , anziché di una condotta, pur potendo rilevare, nei reati propri, la condizione soggettiva dell'autore. (Nel caso di specie, sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di cassazione, sez. sesta pen., e dal Tribunale di Ravenna, sez. pen., in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. - dell'art. 73 cod. antimafia che punisce con la pena dell'arresto da sei mesi a tre anni la guida di un autoveicolo o motoveicolo, senza patente, o dopo che la patente sia stata negata, sospesa o revocata, commessa da persona già sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale. La fattispecie censurata è finalizzata a tutelare l'ordine pubblico rispetto a situazioni di pericolo derivanti dalla violazione di una regola - quella posta dall'art. 120 cod. strada - collegata alla necessità di limitare gli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole il sottrarsi ai controlli dell'autorità di soggetti pericolosi. Non è pertanto violato il principio di offensività, perché l'essere sottoposto a misura di prevenzione personale non si pone come evenienza del tutto estranea al reato e non configura una "responsabilità penale d'autore", ma identifica una pericolosità specifica della condotta sanzionata, tenuto conto che la revoca della patente non consegue più automaticamente all'assoggettamento a misure di prevenzione personale e che queste devono comunque essere calibrate sulla pericolosità in concreto. La pericolosità rappresenta anche la ragione giustificatrice della diversità di disciplina rispetto all'ipotesi di guida senza patente di soggetti non colpiti da misure di prevenzione prevista dall'art. 116, comma 15, cod. strada; la scelta legislativa di sanzionare l'ipotesi meno grave sul piano amministrativo, allo scopo di assicurare il bene della sicurezza della circolazione stradale e, al contempo, di punire più severamente la stessa condotta, se realizzata da soggetti dalla accertata pericolosità è infatti coerente ad un legittimo inasprimento della risposta punitiva in relazione al differente disvalore della condotta e alla diversa intensità dell'offesa ai beni protetti. Il che esclude, sotto il profilo della finalità rieducativa, anche il carattere sproporzionato del relativo trattamento sanzionatorio. Precedenti: S. 99/2020 - mass. 42519; S. 25/2019 - mass. 41556; S. 24/2019 - mass. 42485, mass. 42486, mass. 42487, mass. 42490, mass. 42490, mass. 42491; S. 354/2002 - mass. 27220; O. 257/1985 - mass. 11132; S. 66/1984 - mass. 13325; O. 66/1971 - mass. 5511 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte d'assise di Bologna in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 Cost. - dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., come inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a ), della legge n. 33 del 2019, nella parte in cui non prevede che l'imputato seminfermo di mente per delitti puniti con l'ergastolo, riconosciuto parzialmente incapace di intendere o di volere al momento del fatto con perizia svolta in incidente probatorio, sia ammesso al rito abbreviato. Il divieto di giudizio abbreviato previsto dalla disposizione censurata è collegato alla comminatoria astratta della pena dell'ergastolo, mentre nessuna incidenza determina la circostanza che il giudice ritenga concretamente inapplicabile tale pena in seguito al giudizio di bilanciamento. Non sussiste pertanto la denunciata disparità di trattamento, perché l'elemento che vale ad impedire all'imputato seminfermo di mente, e non anche all'imputato minorenne, l'accesso al rito abbreviato non è da rinvenirsi nelle diverse conseguenze che discendono dalle rispettive attenuanti, quanto nella diversa regola di sistema - scaturente dalla sentenza n. 168 del 1994 - che impedisce di infliggere la pena perpetua al solo imputato minorenne. Non fondate sono anche le censure di violazione della finalità rieducativa della pena e della tutela della salute dell'imputato affetto da vizio parziale di mente, le quali si apprezzano non nell'ottica dell'accesso più o meno ampio al rito speciale, ma alla luce delle modalità di esecuzione della pena, posto che la misura di sicurezza deve essere conformata in modo da assicurare adeguati trattamenti e fattivo sostegno al riadattamento sociale del soggetto. ( Precedenti: O. 214/2021 - mass. 44330; S. 260/2020 - mass. 43104 - mass. 43106 - mass. 43107 - mass. 43108 - mass. 43109 - mass. 43110; S. 73/2020 - mass. 43274; S. 168/1994 - mass. 20541 - mass. 20542 ).
È rinviata all'udienza pubblica dell'8 novembre 2022 - su istanza del Presidente del Consiglio dei ministri intervenuto in giudizio - la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di cassazione, prima sez. penale, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 3 CEDU, degli artt. 4- bis , comma 1, 58- ter della legge n. 354 del 1975 e dell'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991, come conv., nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all'ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416- bis cod. pen., ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia. Permanendo inalterate le ragioni che hanno indotto a sollecitare, con l'ord. n. 97 del 2021, l'intervento del legislatore, al quale compete, in prima battuta, una complessiva e ponderata disciplina della materia, e in considerazione dello stato di avanzamento dell'iter di formazione della legge, appare necessario un ulteriore rinvio - in tempi contenuti, anche alla luce delle osservazioni della parte costituita - per consentire al Parlamento di completare i propri lavori. ( Precedente: O. 97/2021 - mass. 43874 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal TAR Piemonte in riferimento agli artt. 3, 25, 27, 38 e 41 Cost. - dell'art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, «come richiamato dal secondo comma dell'art. 84» del medesimo d.lgs., nella parte in cui, rinviando all'art. 51, comma 3- bis , cod. proc. pen., impone l'emissione della comunicazione antimafia interdittiva in caso di condanna definitiva, o confermata in appello, per il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, anche nella sua forma non associativa. La censura riferita all'art. 38 Cost. non è sorretta da alcuna argomentazione che consenta di apprezzarne la pertinenza, mentre quelle relative agli artt. 25 e 27 Cost. sono prospettate per un asserito aggravio del trattamento sanzionatorio, ma senza un'analisi critica dell'ampia giurisprudenza amministrativa che ha qualificato quelle in esame come misure anticipatorie cui conseguono forme di incapacità giuridica, prive di carattere sanzionatorio. Contraddittoria e ambigua è invece la motivazione delle censure riferite agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto l'ordinanza di rimessione si snoda secondo due distinte e irrisolte prospettive argomentative, chiedendo, in un caso, la rimozione del reato di attività organizzate per il traffico di rifiuti, se realizzato in forma non associativa, da quelli richiamati dalla disposizione censurata, con l'effetto di inibire automaticamente la comunicazione antimafia, e, nell'altro, l'introduzione della possibilità di valutare in concreto la sussistenza di elementi di connessione con il fenomeno associativo. ( Precedenti: S. 213/2021 - mass. 44351; S. 197/2021 - mass. 44224; S. 178/2021 - mass. 44156; S. 123/2021 - mass. 43987; S. 254/2020 - mass. 43014; S. 153/2020 - mass. 43408; S. 222/2019 - mass. 40891; S. 175/2018 - mass. 40389; S. 126/2018 - mass. 41339; S. 247/2015 - mass. 38635; O. 224/2021 - mass. 44397; O. 159/2021 - mass. 44115 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Messina in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU - del combinato disposto degli artt. 667, comma 4, e 678, comma 1- bis , cod. proc. pen., secondo cui il giudizio sulle richieste di riabilitazione del condannato e quello di valutazione sull'esito dell'affidamento in prova, anche in casi particolari, si svolgono obbligatoriamente nelle forme del rito camerale c.d. " de plano ", a contraddittorio eventuale e differito. La disciplina censurata - bilanciando l'esercizio del diritto di difesa e il principio della ragionevole durata di processi in cui non sono necessari, di regola, accertamenti complessi - è conforme ai parametri costituzionali e convenzionali in materia di giusto processo. Il procedimento è caratterizzato infatti dal "recupero" delle garanzie difensive e del contraddittorio nella fase eventuale di opposizione al provvedimento pronunciato senza formalità dal giudice, introdotta dalla parte che vi abbia interesse. ( Precedenti: S. 245/2020 - mass. 42678; S. 279/2019 - mass. 42714; S. 97/2015 - mass. 38391; O. 255/2009 - mass. 33876; O. 291/2005 - mass. 29653; O. 352/2003 - 28165; O. 8/2003 - 27504 ).