Articolo 107 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
I singoli organi giurisdizionali - e quindi anche il giudice di pace - sono legittimati ad essere parte nei conflitti di attribuzione, in relazione al carattere diffuso che connota il potere di cui sono espressione, e alla loro competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, ma tale legittimazione sussiste limitatamente all'esercizio dell'attività giurisdizionale assistita da garanzia costituzionale. ( Precedenti: O. 35/2022 - mass. 44519; O. 19/2021 - mass. 43577; O. 148/2020 - mass. 43530; O. 84/2020 - mass. 43340; O. 82/2020 - mass. 43323; O. 69/2020 - mass. 43150; O. 139/2016 - mass. 38914; O. 296/2013 - mass. 37496; O. 151/2013 - mass. 37166; O. 25/2013 - mass. 36921; O. 366/2008 - mass. 32908; O. 338/2007 - mass. 31674; O. 22/2000 - mass. 25134; O. 340/1999 - mass. 24977; O. 244/1999 - mass. 24798; O. 87/1978 - mass. 12752 ). Presupposto per la sollevazione del conflitto di attribuzione da parte del singolo giudice è che questi sia attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i singoli giudici si configurano come organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengano, dal momento che il carattere diffuso, che connota gli organi giurisdizionali in ordine a tale competenza, viene in rilievo solo con riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali. ( Precedenti: O. 285/2011 - mass. 35892; O. 127/2006 - mass. 30292; O. 144/2000 - mass. 25308 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione attiva, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato da Cristina Piazza, in qualità di Giudice di pace presso l'Ufficio del Giudice di pace di Bologna, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, per violazione degli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, secondo comma, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 104, primo comma, 105, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 CDFUE; alle clausole 2, 4 e 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE; alla direttiva 2003/88/CE, in relazione ai commi da 629 a 633 dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021, che, nel modificare l'art. 29 del d.lgs. n. 116 del 2017, condizionano la conferma a tempo indeterminato, sino al compimento dei settanta anni di età, dei magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore di quest'ultimo al superamento di una procedura valutativa, con attribuzione, in caso di esito positivo, di un trattamento economico parametrato a quello di un funzionario amministrativo, anziché a quello dei magistrati professionali. L'atto di promovimento non indica alcun processo in corso di svolgimento ed affidato per la trattazione e decisione alla ricorrente, la quale neppure motiva in ordine all'incidenza delle disposizioni censurate su attribuzioni costituzionali da esercitare in relazione a uno o più procedimenti; in tal modo il giudizio per conflitto tra poteri è utilizzato dalla stessa come una sorta di ricorso diretto, eccentrico rispetto ai mezzi di tutela offerti dall'ordinamento, in funzione di difesa di propri, asseriti, diritti tutelati dalla Costituzione). ( Precedenti: O. 32/2022 - mass. 44518; O. 254/2021 - mass. 44436; O. 279/2011 - mass. 35882 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Lanciano con riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 36, primo comma, 38, 97, secondo e quarto comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, 106, primo e secondo comma, 107, primo comma, 108, primo comma, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 15, 20, 21, 30, 31, 34 e 47 CDFUE, alle clausole 1, 4 e 5 dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP del 18 marzo 1999, recepito dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, nonché in relazione agli artt. 1, 2, 4, 12, 24 ed E della Carta sociale europea - degli artt. da 1 a 33 del d.lgs. n. 116 del 2017, nella parte in cui tali disposizioni sono estese ai giudici di pace già in servizio alla data di entrata in vigore del decreto, dell'art. 5 della legge n. 57 del 2016, laddove affida il coordinamento dell'ufficio del Giudice di pace al presidente del Tribunale, dell'art. 11, comma 4- ter , della legge n. 374 del 1991, nella parte in cui stabilisce che l'importo di euro 72.000 lordi annui costituisca il tetto massimo e non la retribuzione lorda annuale comunque spettante al giudice di pace in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 116 del 2017, dell'art. 119 del d.l. n. 18 del 2020, come conv., nella parte in cui riconosce ai magistrati onorari un contributo economico inadeguato per il periodo di sospensione dell'attività giudiziaria nei mesi di marzo-maggio 2020, dell'art. 20 del d.lgs. n. 75 del 2017, laddove non estende anche ai Giudici di pace la procedura di stabilizzazione e di superamento del precariato prevista per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni in regime di rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, degli artt. 42, comma 2, e 83 del d.l. n. 18 del 2020, dell'art. 3 del d.l. n. 28 del 2020, dell'art. 14, comma 4, del d.l. n. 34 del 2020, come convertiti, in combinato disposto, nella parte in cui «hanno paralizzato e paralizzano l'attività giurisdizionale di questo giudice di pace» nel periodo dal 9 marzo 2020 al 31 gennaio 2021. Le disposizioni censurate non hanno collegamento con l'oggetto del giudizio principale, costituito da una pretesa risarcitoria di un danno da circolazione stradale.
È dichiarata inammissibile, per palese inconferenza del parametro evocato, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Genova in riferimento all'art. 107, terzo comma, Cost., dell'art. 3- bis , comma 1, lett. a ), del d.l. n. 151 del 2008, come conv., nella parte in cui sostituisce il comma 1 e aggiunge il comma 1- bis all'art. 4 del d.lgs. n. 273 del 1989, prevedendo ai giudici onorari di tribunale (GOT) spettino un'indennità di euro 98 per le attività di udienza svolte nello stesso giorno, e un'ulteriore indennità di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo per le suddette attività superi le cinque ore, così da impedire di corrispondere un compenso anche per il disbrigo fuori udienza delle indicate incombenze. Il tema del trattamento economico dei magistrati, infatti, non interseca affatto l'ambito di applicazione della disposizione costituzionale in parola, volta a vietare che tra i magistrati si stabiliscano rapporti di supremazia gerarchica. ( Precedenti citati: sentenze n. 310 del 1992, n. 18 del 1989 e n. 133 del 1985 ). Il terzo comma dell'art. 107 non ha altro significato se non quello, chiaramente risultante dalla dizione letterale della disposizione e sistematicamente argomentabile altresì dalla collocazione di essa nel contesto di un articolo rivolto in tutte le sue parti a disciplinare lo status dei magistrati dell'ordine giudiziario, che consiste nell'escludere - con particolare riguardo ai magistrati giudicanti - rapporti di subordinazione gerarchica nell'esercizio della funzione giurisdizionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 86 del 1982 e n. 123 del 1970; ordinanze n. 523 del 1995 e n. 275 del 1994 ).
Accolta parzialmente, per violazione dell'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, come conv., restano assorbite le ulteriori questioni relative agli artt. 97, 104, primo comma, 107 e 108, secondo comma, Cost.
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lett. a), b) e c), 3, comma 2, e 4 della legge n. 18 del 2015, e dell'art. 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificato dall'art. 6 della legge n. 18 del 2015; degli artt. "4 e/o 7", 7 e 8, comma 3, della legge n. 117 del 1988, come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 2015; degli artt. 4, comma 3, 7, 8, comma 3, e 9, comma 1, della legge n. 117 del 1988, come modificati o sostituiti dalla legge n. 18 del 2015, e dell'art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 2015; e dell'art. 2, commi 2 e 3, della legge n. 117 del 1988, come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b) e c), della legge n. 18 del 2015, censurati dai Tribunali di Verona, di Treviso, di Catania e di Enna - in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, 24, 25, 25, primo comma, 28, 81, terzo comma, 101, 101, secondo comma, "101 e seguenti", "101-113", 104, 104, primo comma, 107, terzo comma, 111, 111, secondo comma, 113 e 134 Cost. - nelle parti in cui, modificando la disciplina della responsabilità civile dei magistrati, includono tra le ipotesi di colpa grave il "travisamento del fatto o delle prove" e la "violazione manifesta" della legge nell'interpretazione di norme di diritto e nella valutazione del fatto e delle prove, introducono la "colpa grave" del magistrato che non si conformi a pronunce interpretative di rigetto rese dalla Corte costituzionale in un diverso procedimento, consentono di agire per il risarcimento quando il grado di giudizio in cui si è verificato il fatto dannoso non si sia concluso nel termine di tre anni, rendono obbligatorio l'esercizio dell'azione di rivalsa statuale, aboliscono la fase preliminare (c.d. "filtro di ammissibilità") dell'azione risarcitoria, comportano l'avvio immediato del procedimento disciplinare nei confronti del magistrato, consentono - in esecuzione della rivalsa - la trattenuta sullo stipendio fino a un terzo, anziché fino a un quinto. A differenza degli incidenti scrutinati dalla sentenza n. 18 del 1989, le odierne questioni delineano la semplice e sola "potenzialità" dell'evenienza di una responsabilità civile dello Stato (e della successiva, eventuale, azione di rivalsa nei confronti del magistrato) connessa ai provvedimenti che i rimettenti sono chiamati ad adottare in giudizi aventi altro oggetto, risultando perciò prive della necessaria relazione di "dipendenza funzionale" con il giudizio a quo. Esse, inoltre, sono state delibate a prescindere da qualsiasi considerazione circa una loro diretta incidenza sullo statuto di autonomia e di indipendenza dei magistrati, tale da condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere, ma facendo esclusivo riferimento alle sue modalità di esercizio. Né rileva che tali modalità possano costituire elementi variamente perturbatori della condizione psicologica di questo o quel magistrato.
E' manifestamente inammissibile, in quanto divenuta priva di oggetto, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 2, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), nella parte in cui prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013, i trattamenti economici complessivi dei dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, e del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro e dell'art. 2, comma 1, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148), nella parte in cui stabilisce che la predetta disposizione continua ad applicarsi nei termini ivi previsti dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013, impugnato in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36, 53, 97, 101, 102, 104, 107 e 108 della Cost. Infatti, successivamente all'ordinanza di rimessione è intervenuta la sentenza n. 223 del 2012 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, in parte qua , dell'art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010; tale norma dichiarata illegittima costituisce l'indefettibile presupposto per l'applicazione della prima parte del comma 1 dell'art. 2 del d.l. n. 138 del 2011 - il quale reca una disposizione a carattere meramente ricognitivo o confermativo, e dunque priva di autonomia - e quindi l'illegittimità citata rende inoperante anche quest'ultima disposizione sottoposta a scrutinio. - Sulla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 9, comma 2, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, v. la citata sentenza n. 223/2012. - Sulla manifesta inammissibilità delle questioni per sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, v. ex plurimis , le citate ordinanze n. 125/2012, n. 303/2013.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 e 22 del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, impugnati, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 103, 104 e 107 Cost., nella parte in cui la formulazione di tali previsioni è suscettibile di essere interpretata nel senso che l'individuazione della sede di trasferimento del magistrato sia rimessa alla Sezione Disciplinare del C.S.M., con rinveniente reclamabilità delle relative decisioni dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Nel quesito sono coinvolte, in forma paritetica e cumulativa, due disposizioni fra loro eterogenee quanto a struttura e dinamica procedimentale. Infatti, mentre l'art. 13 (al comma 2) prevede che, nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall'ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del C.S.M., in via cautelare e provvisoria, può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato, l'art. 22 (al comma 1, ultimo periodo) stabilisce, nell'ipotesi di sottoposizione del magistrato a procedimento penale ovvero a procedimento disciplinare per fatti incompatibili con l'esercizio delle funzioni, che nei casi di minore gravità il Ministro della giustizia o il Procuratore generale possono chiedere alla Sezione Disciplinare, in luogo della sospensione cautelare e del collocamento fuori ruolo, il trasferimento provvisorio dell'incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, ma diverso da quello indicato nell'art. 11 cod. proc. pen. A fronte delle due diverse ipotesi normative, accomunate soltanto dal profilo inerente al trasferimento provvisorio dell'incolpato, il rimettente non concentra le proprie censure né sull'una né sull'altra delle alternative, formulando dunque un quesito in forma ambigua, se non ancìpite. D'altra parte, omettendo di fornire precise indicazioni in tal senso, il giudice a quo viene meno anche all'obbligo di esauriente descrizione della fattispecie sottoposta a giudizio, necessaria ai fini dello scrutinio in punto di rilevanza della questione. Inoltre, l'affermazione contenuta nell'atto di promovimento, secondo cui il dubbio di costituzionalità trarrebbe alimento non già da un difetto intrinseco delle norme censurate, ma soltanto da una possibile loro interpretazione, denota come la questione miri, nella sostanza, a sollecitare un mero avallo interpretativo rispetto alla scelta tra una pluralità di opzioni che spetta al giudice a quo effettuare, attraverso, se del caso, la sperimentazione di soluzioni che pongano la normativa coinvolta al riparo dalle censure di illegittimità costituzionale. - Sull'inammissibilità, anche manifesta, di questioni tese ad ottenere impropriamente un mero avallo interpretativo, v. le seguenti citate decisioni: sentenza n. 21/2013 e ordinanza n. 198/2013.
È manifestamente inammissibile, per difetto di motivazione sulla rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, terzo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dall'art.1, comma 1 della legge 24 marzo 2012, n. 27), impugnato, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104 197, 111 e 117 Cost., nella parte in cui dispone l'ultrattiva applicabilità delle tariffe professionali abrogate dal medesimo decreto. Infatti, identiche questioni di legittimità costituzionale sono già state dichiarate manifestamente inammissibili per la medesima ragione. - Sulla manifesta inammissibilità di questioni identiche, per difetto di motivazione sulla rilevanza, si vedano le citate ordinanze nn. 261/2013, 217/2013 e 115/2013.
Sono manifestamente inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 3, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), recante la disciplina transitoria in materia liquidazione di spese processuali da parte del giudice, impugnato in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 107, 111 e 117 Cost. Si tratta, infatti, di questioni testualmente uguali a quelle sollevate dal medesimo giudice a quo con altre numerose ordinanze, già dichiarate manifestamente inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza. - Sulla manifesta inammissibilità delle questioni uguali a quelle esaminate dall'ordinanza di cui alla massima sollevate dallo stesso remittente: ordinanze n. 115 e n. 213 del 2013.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 3, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, avente ad oggetto la disciplina delle spese processuali liquidate dal giudice, censurate, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 107, 111 e 117 Cost. Questioni identiche a quelle sollevate, infatti, sono state dichiarate manifestamente inammissibili con ordinanza n. 115 del 2013 per difetto di motivazione sulla rilevanza, «del tutto incomprensibilmente legata soltanto all'obiettivo del rimettente di poter liquidare le spese processuali attraverso l'auspicata caducazione proprio di quella disposizione intertemporale che tale liquidazione gli consentiva», e perché, «in relazione ai numerosi parametri invocati (per altro in modo disarmonico tra motivazione e dispositivo), manca una pertinente e coerente motivazione delle ragioni che ne determinerebbero, nella specie, la violazione da parte della norma denunciata». Pertanto - stante l'assoluta identità di contenuto tra le ordinanze di rinvio oggetto della richiamata pronuncia e quelle odierne - le questioni riproposte vanno conseguentemente dichiarate manifestamente inammissibili per le stesse ragioni.