Articolo 113 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost., dell'art. 133, comma 1, lett. p ), cod. proc. amm., che, nella lettura offerta dal diritto vivente, devolverebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie per i danni conseguenti a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, nella gestione del ciclo dei rifiuti. Le censure prospettate muovono da un presupposto interpretativo erroneo, in quanto l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, richiamato dal rimettente, si pone nell'alveo delle indicazioni della Corte costituzionale sui limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che può conoscere solo comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell'esercizio, anche in via mediata, di poteri pubblici. Restano quindi necessariamente fuori dall'ambito di applicazione della disposizione censurata le controversie risarcitorie per danni cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a detti poteri, che rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario. ( Precedenti: O. 167/2011 - mass. 35655; S. 35/2010 - mass. 34312; S. 191/2006 - mass. 30401; S. 204/2004 - mass. 28357 ).
Sono dichiarate inammissibili, per l'estrema genericità con cui sono formulate, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Consiglio di Stato, sez. sesta, in riferimento agli artt. 2, 32, 34 e 113 Cost., dell'art 1, comma 18- ter , del d.l. n. 126 del 2019, come conv., che, aggiunta in sede di conversione, prevede l'ammissione, con riserva, alle procedure concorsuali per l'assunzione di docenti precari, anche dei soggetti iscritti ai tirocini formativi attivi (TFA), relativi all'insegnamento di sostegno didattico agli alunni con disabilità, avviati entro la data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia entro il 29 dicembre 2019, e che lo scioglimento positivo della riserva può aversi solo nel caso di conseguimento del relativo titolo di specializzazione entro il 15 luglio 2020. Il rimettente non fornisce argomenti a sostegno dell'esito asseritamente inefficace, a tutela dei diritti fondamentali invocati, della procedura concorsuale conseguente all'applicazione della disposizione censurata. Né il riferimento all'art. 113 Cost., per la sua apoditticità, spiega perché la norma censurata - da qualificare quale legge-provvedimento, in considerazione del suo contenuto particolare, nonché del suo limitato ambito soggettivo di applicazione - avrebbe sottratto all'amministrazione la scelta in ordine al momento entro il quale accertare il possesso del requisito derogatorio di ammissione al concorso. ( Precedenti: S. 181/2021 - mass. 44169; S. 49/2021 - mass. 43676; S. 116/2020 - mass. 43333; O. 224/2021 - mass. 44397 ).
Sono dichiarate inammissibili, per insufficiente motivazione in punto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal TAR Lazio in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 47, 97, 101, 102, 103, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, nonché agli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all'art. 34, par. l, lett. e ), della direttiva (UE) 2014/59 del 15 maggio 2014 e all'art. 47 CDFUE - dell'art. 72, comma 9, del d.lgs. n. 385 del 1993 (t.u. bancario), che subordina la proposizione delle azioni civili nei confronti dei commissari straordinari delle banche alla previa autorizzazione della Banca d'Italia. Il TAR rimettente - dinanzi al quale sono stati impugnati, in successione, due distinti provvedimenti della Banca d'Italia, aventi il medesimo oggetto - non si è confrontato con la complessa tematica attinente alla distinzione tra l'atto meramente confermativo e l'atto di conferma in senso proprio, omettendo di spiegare perché, anche dopo la pronuncia di merito da esso emessa nei confronti del secondo provvedimento, dovrebbe continuare ad occuparsi del ricorso contro il primo provvedimento, il solo a contenere un autonomo motivo volto a denunciare l'illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere. Infatti, nell'ipotesi di esaurimento del proprio potere decisorio, il rimettente, non avendo più alcunché su cui pronunciare, non potrebbe sollevare ormai le questioni di legittimità costituzionale neppure d'ufficio. ( Precedenti citati: S. 61/2021 - mass. 43765; S. 48/2021 - mass. 43719; S. 266/2019 - mass. 40922 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Genova, in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., e dal Tribunale di Catania, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 27, secondo comma, 48, primo e secondo comma, 51, primo comma, e 97, secondo comma, Cost., dell'art. 11, commi 1, lett. a) , e 4, del d.lgs. n. 235 del 2012, che prevede la sospensione di diritto, nella misura fissa di 18 mesi, dalle cariche elettive presso gli enti locali per coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per taluni delitti. L'automatica sospensione dalle cariche elettive in caso di condanna non definitiva per determinati reati - che non ha natura sanzionatoria, essendo priva dei tratti funzionali tipici della pena - non preclude la possibilità di far valere in giudizio il diritto di difesa entro i limiti del diritto sostanziale. Né si può negare al legislatore, nell'esercizio di una non irragionevole discrezionalità, la facoltà di effettuare il necessario bilanciamento degli interessi coinvolti, identificando ipotesi circoscritte nelle quali sono apprezzati in via generale ed astratta l'esigenza cautelare su cui si basa la sospensione nonché l'ambito di applicazione della misura cautelare, in relazione ai soggetti e al nesso tra la citata condanna e le funzioni elettive svolte. ( Precedenti: S. 36/2019 - mass. 41664; S. 133/2019 - mass. 42494; S. 98/2019 - mass. 42561; S. 276/2016 - mass. 39482; S. 121/2016 - mass. 38884; S. 236/2015 - mass. 38615; S. 25/2002 - mass. 26763; S. 206/1999 - mass. 24923; S. 420/1998 - mass. 24301; S. 178/1975 - mass. 7944; O. 141/1990 - mass. 15203 ).
È dichiarata inammissibile, per l'assoluta carenza di motivazione delle censure, la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal TAR Lazio, sez. seconda- quater , in riferimento agli artt. 103 e 113 Cost. - dell'art. 3, comma 1, lett. b ), della legge reg. Lazio n. 12 del 2004, nella parte in cui non consente il condono delle opere abusive realizzate anche prima dell'apposizione di un vincolo imposto sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all'interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali. Il rimettente si limita a richiamare il principio di giustiziabilità degli atti della pubblica amministrazione senza offrire altre indicazioni sulle ragioni della lamentata lesione. Per costante giurisprudenza costituzionale, l'insufficiente motivazione in punto di non manifesta infondatezza determina l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 114 del 2021, n. 87 del 2021 e n. 39 del 2021 ).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., in coordinamento con gli artt. 24 e 113 Cost., l'art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea - che faccia richiesta di patrocinio a spese dello Stato -, in caso di impossibilità a presentare la documentazione richiesta, di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione. La norma censurata dal TAR Piemonte, in contrasto con i principi di ragionevolezza e di autoresponsabilità, inficia nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario la possibilità di un accesso effettivo alla tutela giurisdizionale, facendo gravare sullo straniero proveniente da un Paese non aderente all'UE il rischio del fatto del terzo (ossia l'autorità consolare), la cui eventuale inerzia o inadeguata collaborazione rendano impossibile produrre tempestivamente la sola documentazione ritenuta necessaria, a pena di inammissibilità, per comprovare i redditi prodotti all'estero. Essa può essere resa conforme alla disciplina generale che concretizza il principio di autoresponsabilità tramite l'aggiunta di una previsione che già trova riscontro nella disciplina dettata dall'art. 94, comma 2, t.u. spese di giustizia, per il processo penale, nonché dall'art. 16 del d.lgs. n. 25 del 2008, per l'impugnazione in sede giurisdizionale delle decisioni sullo status di rifugiato, che al medesimo art. 94 si richiama. ( Precedenti citati: sentenze n. 238 del 2014, n. 120 del 2014, n. 3 del 2010, n. 318 del 2009, n. 28 del 2004, n. 447 del 2002, n. 26 del 1999, n. 69 del 1994; ordinanze n. 154 del 2005, n. 118 del 2005, n. 386 del 2004, 153 del 2004, n. 132 del 2004 e n. 97 del 2004 ). L'istituto del patrocinio a spese dello Stato serve a rimuovere, in armonia con l'art. 3, secondo comma, Cost., le difficoltà di ordine economico che possono opporsi al concreto esercizio del diritto di difesa, assicurando l'effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che il secondo comma del medesimo art. 24 Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile. ( Precedenti citati: sentenze n. 80 del 2020, n. 35 del 2019, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012, n. 139 del 2010, n. 175 del 1996, n. 149 del 1983, n. 127 del 1979 e n. 46 del 1957; ordinanza n. 458 del 2002 ). In tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l'individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia. In tale prospettiva si spiega che per tutti i processi diversi da quello penale (civile, amministrativo, contabile, tributario e di volontaria giurisdizione) per il riconoscimento del beneficio è richiesto che le ragioni di chi agisce o resiste risultino non manifestamente infondate, onde evitare che i non abbienti siano indotti a intentare cause palesemente infondate senza dover tener conto del loro peso economico. Diversamente, appare giustificato che, nel caso del processo penale, in cui l'azione viene subita da chi aspira al patrocinio a spese dello Stato, venga assicurata una più intensa protezione, sganciando l'ammissione al beneficio de quo da qualsiasi filtro di non manifesta infondatezza delle ragioni del soggetto interessato. ( Precedenti citati: sentenze n. 47 del 2020, n. 16 del 2018 e n. 237 del 2015; ordinanze n. 270 del 2012, n. 201 del 2006 e 350 del 2005 ). Il principio di autoresponsabilità implica quale corollario quello secondo cui ad impossibilia nemo tenetur , che sposta la categoria dell'impossibilità verso una accezione relativa, che si desume in controluce rispetto al comportamento esigibile, suscettibile cioè di essere preteso in base alla regola di correttezza, nella misura dell'impegno derivante dal canone di diligenza: l'impossibilità relativa inizia (ed è implicitamente dimostrata) là dove finisce il comportamento esigibile ( ex fide bona e) secondo diligenza. ( Precedente citato: sentenza n. 9 del 2021 ).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 24 e 113 Cost., l'art. 44, comma 4, cod. proc. amm., limitatamente alle parole «, se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante,». La norma censurata dal Consiglio di Stato, limitando la facoltà del giudice amministrativo di ordinare la rinnovazione della notificazione nulla del ricorso - nel caso in cui il destinatario non si sia costituito nel giudizio - alle sole ipotesi in cui l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, sacrifica in modo irragionevole l'esigenza di preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda e conduce ad esiti sproporzionati rispetto al fine cui la norma stessa tende. Se, infatti, nel processo amministrativo la sottoposizione del diritto di azione al termine di sessanta giorni di cui all'art. 29 cod. proc. amm. (ma anche nel caso delle altre azioni per le quali è previsto un termine decadenziale) assolve all'essenziale funzione di garanzia della stabilità degli effetti giuridici, in conformità con l'interesse pubblico di pervenire in tempi brevi alla definitiva certezza del rapporto giuridico amministrativo, tale indefettibile esigenza risulta travalicata dalla norma censurata nella parte in cui essa fa discendere da un vizio esterno all'atto di esercizio dell'azione stessa la definitiva impossibilità di far valere nel giudizio la situazione sostanziale sottostante. L'effetto di impedimento della decadenza, pur ricollegato all'esercizio dell'azione entro il termine perentorio, non può essere escluso dalla nullità della notificazione, non integrando quest'ultima un elemento costitutivo dell'atto che ne forma oggetto, bensì assolvendo ad una funzione strumentale e servente di conoscenza legale e di instaurazione del contraddittorio. Inoltre, tale limitazione, ogni volta che l'accertamento della nullità interviene dopo lo spirare di detto termine - e, quindi, particolarmente nell'azione di annullamento, data la brevità dello stesso - comporta la perdita definitiva della possibilità di ottenere una pronuncia giurisdizionale di merito, con grave compromissione del diritto di agire in giudizio. ( Precedente citato: sentenza n. 94 del 2017 ). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore dispone di un'ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene superato qualora emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio. ( Precedenti citati: sentenze n. 102 del 2021, n. 253, n. 95 del 2020, n. 80 del 2020, n. 79 del 2020 e n. 271 del 2019 ). L'art. 24 Cost. non comporta che il cittadino debba conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti, purché non vengano imposti oneri o prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell'attività processuale. ( Precedenti citati: sentenze n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121 del 2016 e n. 44 del 2016 ). Le forme degli atti processuali non sono fine a sé stesse, ma sono funzionali alla migliore qualità della decisione di merito, essendo deputate al conseguimento di un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto è destinato ad assolvere nell'ambito del processo. ( Precedente citato: sentenza n. 77 del 2007 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 - sollevate dal Consiglio di Stato, con le ordinanze iscritte ai numeri 58 e 59 del r.o. 2020, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali sanciti artt. 6 CEDU, 1 Prot. add. CEDU e 2 del Protocollo di Kyoto. Nei due giudizi indicati la norma censurata - la quale, al fine di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale alle linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il successivo 3 ottobre, dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle stesse - è sopravvenuta nel corso del giudizio d'appello avverso pronunce del TAR favorevoli agli operatori resistenti. Pertanto l'onere motivazionale, quanto alla rilevanza della questione, era maggiore per il rimettente, il quale avrebbe dovuto argomentare in ordine alla ritenuta applicabilità, nel caso di specie, dello ius superveniens ; al contrario, esso non ha motivato in ordine alla ritenuta sussistenza, in concreto, dei presupposti che avrebbero reso applicabile nel giudizio d'appello la norma censurata, non conosciuta, né tanto meno applicata, dal TAR.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 953, della legge n. 145 del 2018 - sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 97, 101, 102, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione ai principi generali della materia della produzione energetica da fonti rinnovabili sanciti dagli artt. 6 della direttiva 2001/77/CE e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e agli obblighi internazionali sanciti dagli artt. 6 CEDU, 1 Prot. addiz. CEDU, e 2 del Protocollo di Kyoto - il quale, al fine di adeguare per il futuro gli accordi contenenti misure compensative di carattere meramente patrimoniale alle Linee guida approvate con d.m. del 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il successivo 3 ottobre, dispone per il passato la sanatoria generalizzata di accordi contrari alle stesse. Il fulcro della norma censurata - costituito dall'obbligo a contrattare per la revisione degli accordi stipulati prima del 3 ottobre 2010, per renderli conformi alle indicate Linee guida, sentita la conferenza dei servizi - è inserito in una regolamentazione più ampia, secondo un bilanciamento ponderato e ragionevole, al fine di garantire la concorrenza e promuovere la tutela dell'ambiente e del paesaggio. Tale ragionevolezza conduce, a cascata, alla non fondatezza di tutte le altre censure. La conferma di quanto previsto dalla fonte regolamentare non frustra infatti il diritto di azione dell'operatore per promuovere l'azione di nullità delle clausole di "vecchi" accordi, né sono violati i principi della separazione dei poteri e del giusto processo, perché nel caso in esame il mantenimento dell'efficacia dei "vecchi accordi" non ha alcuna portata sanante di una asserita invalidità sopravvenuta. Non è fondata neanche la censura riferita alla violazione della libertà di iniziativa economica, atteso che l'efficacia della norma censurata è espressamente limitata alle convenzioni che sono state liberamente stipulate tra le parti; e neppure sono violati i principi di legalità e proporzionalità riferiti al diritto di proprietà degli operatori economici, data l'incertezza del quadro normativo di riferimento e l'insussistenza di un diritto vivente al riguardo. Non è fondata, infine, nemmeno la censura riferita agli obblighi assunti sul piano internazionale ed europeo, in quanto i Comuni - pur partecipando alla suddetta conferenza di servizi - non hanno alcuna competenza in ordine al rilascio dell'autorizzazione unica all'esercizio di impianti di produzione di energia rinnovabile. ( Precedenti citati: sentenze n. 276 del 2020, n. 237 del 2020, n. 235 del 2020, n. 167 del 2020, n. 177 del 2018, n. 148 del 2019, n. 275 del 2012, n. 119 del 2010, n. 124 del 2010, n. 282 del 2009, e n. 383 del 2005 ). Le fonti energetiche rinnovabili (FER), definite talvolta alternative, sono quelle forme di energia che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono esauribili nella scala dei tempi "umani" e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future, e verso le quali sia la normativa internazionale (Protocollo di Kyoto e Statuto dell'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili IRENA) che quella comunitaria manifestano un deciso favor, al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili, con conseguente esigenza di semplificazione dei relativi procedimenti autorizzatori. ( Precedenti citati: sentenze n. 237 del 2020, n. 148 del 2019, n. 177 del 2018, n. 275 del 2012 e n. 85 del 2012 ). I regimi abilitativi degli impianti per la produzione di energia rinnovabile, sono regolati dalle linee guida di cui al d.m. 10 settembre 2010, atti di normazione secondaria, che costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria. Pertanto essi rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale ed hanno carattere vincolante. ( Precedenti citati: sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012 ). La garanzia del diritto di azione in giudizio costituisce un posterius rispetto alla sussistenza del diritto sul piano sostanziale e non può dirsi violato in ragione della portata, più o meno favorevole, della disciplina sostanziale. ( Precedenti citati: sentenze n. 15 del 2012, n. 303 del 2011, n. 401 del 2008, n. 29 del 2002 e n. 419 del 2000 ). Non è consentito risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie, violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi. ( Precedenti citati sentenze n. 12 del 2018, n. 85 del 2013, n. 94 del 2009 e n. 374 del 2000 ). In generale è violato il principio costituzionale della parità delle parti quando il legislatore statale immette nell'ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco. ( Precedenti citati sentenze n. 12 del 2018, n. 191 del 2014 e n. 186 del 2013 ). Fare salvi i «motivi imperativi d'interesse generale», che suggeriscono al legislatore nazionale interventi interpretativi dei principi convenzionali, non può non lasciare ai singoli Stati contraenti quantomeno una parte del compito e dell'onere di identificarli. ( Precedenti citati: sentenze n. 156 del 2014, n. 78 del 2012, n. 15 del 2012, n. 1 del 2011 e n. 311 del 2009 ). Il legislatore, nel rispetto del limite posto per la materia penale dall'art. 25 Cost., può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti "motivi imperativi di interesse generale", ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. ( Precedente citato: sentenza n. 78 del 2012 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Genova in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 53, primo comma, e 113, secondo comma, Cost. - dell'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Nell'attuale sistema di imposizione sui redditi, non arbitrariamente il legislatore tributario ha individuato come indice di capacità contributiva la relazione tra il presupposto e il soggetto passivo attraverso la diretta imputazione al socio ("per trasparenza") del reddito prodotto in forma associata, indipendentemente dalla percezione. Di conseguenza non vi è disparità di trattamento tra i soci di società di persone e altri soggetti egualmente privi di reddito, poiché il socio non può considerarsi un soggetto "privo di reddito" in caso di imputazione "per trasparenza" del reddito prodotto in forma associata. La disciplina censurata non viola nemmeno il diritto di difesa e non esclude la tutela giurisdizionale del contribuente poiché, nello stabilire che l'imputazione avviene "indipendentemente dalla percezione", individua un meccanismo d'imputazione di ciò che è stato assunto dal legislatore come reddito prodotto, senza, invece, "presumere" la distribuzione dello stesso. ( Precedenti citati: sentenze n. 181 del 2017, n. 111 del 1997 e n. 410 del 1995, n. 131 del 1991; ordinanze n. 53 del 2001 e n. 5 del 1998 ).