Articolo 34 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate inammissibili, per l'estrema genericità con cui sono formulate, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Consiglio di Stato, sez. sesta, in riferimento agli artt. 2, 32, 34 e 113 Cost., dell'art 1, comma 18- ter , del d.l. n. 126 del 2019, come conv., che, aggiunta in sede di conversione, prevede l'ammissione, con riserva, alle procedure concorsuali per l'assunzione di docenti precari, anche dei soggetti iscritti ai tirocini formativi attivi (TFA), relativi all'insegnamento di sostegno didattico agli alunni con disabilità, avviati entro la data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia entro il 29 dicembre 2019, e che lo scioglimento positivo della riserva può aversi solo nel caso di conseguimento del relativo titolo di specializzazione entro il 15 luglio 2020. Il rimettente non fornisce argomenti a sostegno dell'esito asseritamente inefficace, a tutela dei diritti fondamentali invocati, della procedura concorsuale conseguente all'applicazione della disposizione censurata. Né il riferimento all'art. 113 Cost., per la sua apoditticità, spiega perché la norma censurata - da qualificare quale legge-provvedimento, in considerazione del suo contenuto particolare, nonché del suo limitato ambito soggettivo di applicazione - avrebbe sottratto all'amministrazione la scelta in ordine al momento entro il quale accertare il possesso del requisito derogatorio di ammissione al concorso. ( Precedenti: S. 181/2021 - mass. 44169; S. 49/2021 - mass. 43676; S. 116/2020 - mass. 43333; O. 224/2021 - mass. 44397 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili - per incompleta ricostruzione del quadro normativo, difetto di motivazione sulla rilevanza, richiesta di intervento additivo in malam partem precluso alla Corte costituzionale - le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice onorario di pace di Taranto, in riferimento agli artt. 3, 30 e 34, secondo comma, Cost. - dell'art. 731 cod. pen., nella parte in cui punisce l'inosservanza dell'obbligo di impartire o far impartire ai minori l'istruzione elementare e non anche l'analogo inadempimento riguardo alla scuola media inferiore ed al primo biennio della scuola secondaria superiore. Il rimettente nulla argomenta sulla specifica vicenda abrogativa della disposizione che aveva esteso la previsione sanzionatoria all'inadempimento degli obblighi di istruzione presso la scuola media inferiore e manca di descrivere adeguatamente le fattispecie per cui è giudizio, impedendo qualunque controllo sulla rilevanza delle questioni di legittimità sollevate. Il giudice a quo sollecita, inoltre, un intervento additivo in malam partem in materia penale, finalizzato ad estendere l'ambito di applicazione di una previsione incriminatrice, al quale osta il principio di riserva di legge posto nel secondo comma dell'art. 25 Cost., il quale nel caso di specie non subisce eccezioni, poiché la denunciata irrilevanza penalistica delle condotte sommariamente descritte non costituisce deroga a un regime generalizzato di penalizzazione delle omissioni concernenti gli obblighi di istruzione. ( Precedenti: S. 154/2021 - mass. 44063; O. 159/2021 - mass. 44115; O. 136/2021 - mass. 43947; O. 219/2020 - mass. 42827 ).
Il diritto di petizione, previsto dall'art. 50 Cost., si configura quale diritto individuale, sebbene esercitabile collettivamente, regolato nella Parte I della Costituzione tra i rapporti politici, e non quale attribuzione costituzionale; non ci si trova, infatti, innanzi a una funzione attribuita dalla Costituzione a un determinato numero di cittadini o elettori, ma a un diritto del singolo, che mai potrebbe trovare tutela, quand'anche impedito, in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. ( Precedente: O. 85/2009 - mass. 33258 ). Le attribuzioni suscettibili di generare un conflitto non possono che essere quelle previste nella Parte II della Costituzione, dedicata all'ordinamento della Repubblica. ( Precedenti: O. 39/2019 - mass. 42191; O. 164/2018 - mass. 40096; O. 277/2017 - mass. 39733; O. 256/2016 - mass. 39171; O. 121/2011 - mass. 35556 ). La natura, il contenuto e gli effetti giuridici del diritto di petizione lo differenziano dagli istituti dell'iniziativa legislativa e del referendum abrogativo dal momento che siffatti istituti, facenti parte dell'ordinamento della Repubblica, sono espressione della volontà popolare, esercitata da quorum di elettori predefiniti dalla stessa Costituzione, mentre la petizione, proprio perché mero diritto individuale, può essere presentata da qualsiasi cittadino e la sua natura non cambia ove sottoscritta da più cittadini. La presentazione di una petizione non determina un obbligo per le Camere di deliberare sulla stessa, né tantomeno di recepirne i contenuti, bensì un mero dovere di acquisirne il testo e assegnarlo alle commissioni competenti, come conferma la disciplina prevista nei regolamenti parlamentari. (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dall'avvocato Daniele Gradara, in proprio e come rappresentante dei firmatari della petizione relativa al procedimento di conversione del d.l. n. 111 del 2021, avente ad oggetto l'obbligo di certificazione verde COVID-19, c.d. Green Pass, nei confronti di entrambe le Camere, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Consiglio dei ministri e del Presidente della Repubblica, in seguito all'omesso esame da parte delle Camere della detta petizione. La mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto preclude l'esame della richiesta di autorimessione della questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 111 del 2021, come convertito, tra l'altro manifestamente irrilevante, per la carenza del necessario nesso di pregiudizialità tra la risoluzione della questione medesima e la definizione del giudizio. ( Precedenti: S. 313/2013 - mass. 37925; O. 101/2000 - mass. 25217 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili - per incompleta ricostruzione del quadro normativo, difetto di motivazione sulla rilevanza, richiesta di intervento additivo in malam partem precluso alla Corte costituzionale - le questioni di legittimità costituzionale - sollevate, in riferimento agli artt. 3, 30 e 34, secondo comma, Cost., dal Giudice di pace di Taranto - dell'art. 731 cod. pen., nella parte in cui sanziona l'inosservanza dell'obbligo di impartire o far impartire la «istruzione elementare» e non anche l'analogo inadempimento riguardo alla «scuola media inferiore di 1° grado» ed ai «primi due anni dell'istruzione secondaria superiore». Il rimettente non argomenta sulla specifica vicenda abrogativa della disposizione che - limitatamente all'inadempimento degli obblighi di istruzione presso la scuola media inferiore - aveva esteso l'applicazione della previsione incriminatrice e riassume assai succintamente gli elementi della fattispecie per cui è giudizio, impedendo qualunque controllo sulla rilevanza delle questioni di legittimità sollevate. La richiesta, inoltre, di estendere l'ambito di applicazione di una norma incriminatrice, richiede un intervento additivo in malam partem al quale osta il principio di riserva di legge in materia penale posto nel secondo comma dell'art. 25 Cost., principio che nella specie non subisce eccezioni, poiché la lamentata irrilevanza penalistica delle condotte sommariamente descritte non costituisce deroga a un regime generalizzato di penalizzazione delle omissioni concernenti gli obblighi di istruzione. Secondo la giurisprudenza costituzionale, alla luce della riserva di legge posta nel secondo comma dell'art. 25 Cost., non sono consentite, in materia penale, pronunce che estendano il novero delle condotte punibili. Il controllo di legittimità costituzionale con potenziali effetti in malam partem è ammissibile nelle specifiche ipotesi dell'introduzione di norme penali di ingiustificato favore riguardo a determinati soggetti o di comportamenti sottratti a una previsione incriminatrice di carattere generale, oppure di fenomeni di scorretto esercizio del potere legislativo, o ancora di violazione di obblighi di matrice sovranazionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 155 del 2019, n. 37 del 2019, n. 236 del 2018 e n. 143 del 2018 ).
È dichiarata inammissibile, per difetto di motivazione sulla ridondanza del vizio sulle proprie attribuzioni, la questione di legittimità costituzionale - promossa dalle Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 31, 32, 34, 35 e 117, primo comma, Cost., e conseguente violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. - dell'art. 1 del d.l. n. 133 del 2018, conv. con modif. in legge n. 132 del 2018, che ha espunto dall'ordinamento ogni riferimento al permesso di soggiorno "per motivi umanitari", contestualmente delineando una serie di casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario. Il legislatore nazionale è intervenuto nell'esercizio di competenze esclusive, in particolare nella materia dell'immigrazione e in quella del diritto di asilo, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. b ) e a ), Cost., senza comportare di per sé una restrizione della protezione umanitaria contraria a Costituzione, perché l'effettiva portata dei nuovi permessi speciali potrà essere valutata solo in fase applicativa, nell'ambito della prassi amministrativa e giurisprudenziale - entrambe tenute al rigoroso rispetto della Costituzione e dei vincoli internazionali - che andrà formandosi. Diversamente, la Corte costituzionale potrà essere adita in via incidentale, restando impregiudicata ogni ulteriore valutazione di legittimità costituzionale della disposizione in esame. Infine, anche qualora le norme statali impugnate producessero l'effetto di escludere una parte delle persone che in precedenza avrebbe avuto diritto al permesso umanitario dal godimento dei nuovi permessi speciali, non sarebbe comunque impedito alle Regioni di continuare a offrire loro le prestazioni in precedenza loro assicurate nell'esercizio delle proprie competenze legislative concorrenti o residuali. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, lo scrutinio delle censure prospettate impone l'individuazione dell'ambito materiale al quale vanno ascritte le disposizioni impugnate, tenendo conto della loro ratio, della finalità, del contenuto e dell'oggetto della disciplina. ( Precedenti citati: sentenze n. 116 del 2019, n. 100 del 2019, n. 246 del 2018 e n. 148 del 2018 ). Lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, specificazione della medesima voce «protezione internazionale», sono accordati in osservanza di obblighi europei e internazionali: il primo per proteggere la persona da atti di persecuzione; la seconda per evitare che questa possa subire un grave danno. Viceversa, la protezione umanitaria è rimessa in larga misura alla discrezionalità dei singoli Stati, per rispondere a esigenze umanitarie, caritatevoli o di altra natura. La materia dell'immigrazione, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. b), comprende non solo gli aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, ma le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno. Nella sua disciplina, il legislatore statale gode di ampia discrezionalità, dato che essa è collegata al bilanciamento di molteplici interessi pubblici e che comunque resta sempre tenuto al rispetto degli obblighi internazionali, sulla base dell'art. 117, primo comma, Cost., e costituzionali, compreso il criterio di ragionevolezza intrinseca. ( Precedenti citati: sentenze n. 277 del 2014, n. 202 del 2013, n. 2 del 2013, n. 172 del 2012, n. 245 del 2011, n. 61 del 2011, n. 299 del 2010, n. 250 del 2010, n. 134 del 2010 e n. 156 del 2006 ). La circostanza che lo Stato adotti disposizioni nell'esercizio di proprie competenze legislative esclusive fa sì che non siano configurabili violazioni dirette del riparto di competenze disegnato dal Titolo V, Parte II, della Costituzione; tuttavia ciò non implica che le Regioni non possano denunciare la violazione di parametri costituzionali diversi da quelli relativi al riparto, assumendo la lesione indiretta di proprie attribuzioni costituzionalmente garantite. In tali casi, le questioni sono ammissibili quando la disposizione statale, pur conforme al riparto costituzionale delle competenze, obbligherebbe le Regioni - nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative o finanziarie - a conformarsi a una disciplina legislativa asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto, estranei a tale riparto. Tuttavia, in presenza di un intervento normativo ascrivibile all'esercizio di potestà legislativa esclusiva spettante allo Stato, affinché una censura basata sulla violazione indiretta delle competenze regionali sia ammissibile, occorre che essa sia adeguatamente argomentata. ( Precedenti citati: sentenze n. 139 del 2018, n. 73 del 2018, n. 17 del 2018, n. 5 del 2018, n. 287 del 2016, n. 244 del 2016 e n. 412 del 2001 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, le Regioni possono erogare prestazioni anche agli stranieri in posizione di irregolarità e possono farlo senza che ciò interferisca in alcun modo con le regole per il rilascio del permesso di soggiorno, che restano riservate alla legge statale sulla base della competenza esclusiva in materia di immigrazione e di diritto di asilo. ( Precedenti citati: sentenze n. 79 del 2018, n. 61 e del 2011 e n. 269 del 2010 ).
È dichiarata inammissibile, per difetto di motivazione della ridondanza sulle competenze regionali e degli enti locali, la questione di legittimità costituzionale - promossa complessivamente Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche Toscana e Calabria in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 10, terzo comma, 32, 34, 35, 97 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in riferimento agli artt. 2, 3, 8 e 14 della CEDU, all'art. 2, comma 1, del Prot. n. 4 alla CEDU, agli artt. 6, 10, comma 1, 12, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, all'art. 26 della Convenzione di Ginevra, all'art. 5, comma 1, lett. b), del reg. (UE) n. 516/2014, agli artt. 15, lett. c ), e 18 della dir. 2011/95 UE, e alla dir. 2013/33 UE - dell'art. 13 del d.l. n. 133 del 2018, conv. con modif. in legge n. 132 del 2018. La norma impugnata - che modifica, tra gli altri, gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 142 del 2015, prevedendo che il permesso di soggiorno non costituisca più titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del d.P.R. n. 223 del 1989, e che l'accesso ai servizi previsti dal medesimo d.l. impugnato e a quelli comunque erogati sul territorio sia assicurato nel luogo di domicilio, anziché in quello di residenza, e abroga l'art. 5- bis , che disciplinava le modalità di iscrizione anagrafica del richiedente protezione internazionale - va ricondotta agli ambiti di competenza legislativa esclusiva dello Stato relativi al diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea e alle anagrafi, di cui all'art. 117, secondo comma, lett. a) e i), Cost. Non è invece rinvenibile una sua incidenza sulle competenze amministrative proprie dei Comuni, posto che i servizi da loro gestiti in materia di anagrafe restano pur sempre servizi di competenza statale e le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di Governo. I ricorsi si limitano invece a postulare un'astratta attitudine delle norme contestate a incidere su ambiti assegnati alla Regione e agli enti locali, ma di tale incidenza non danno conto in maniera che essa possa essere valutata. Né, infine, risulta dimostrata la ridondanza sulle attribuzioni legislative regionali in materia di sanità, istruzione, formazione professionale e politiche sociali delle questioni promosse. Se, in astratto, non può escludersi che, nei casi in cui sussista una lesione ancorché mediata delle loro attribuzioni costituzionali, le Regioni siano legittimate a contestare norme statali per violazione di parametri costituzionali diversi da quelli attinenti al riparto di competenze, tuttavia, grava sulla Regione ricorrente un onere motivazionale particolare, ossia quello di dimostrare, in concreto, ragioni e consistenza della lesione indiretta delle proprie competenze, non essendo sufficiente l'indicazione in termini meramente generici o congetturali di conseguenze negative per l'esercizio delle attribuzioni regionali. ( Precedenti citati: sentenze n. 139 del 2018, n. 73 del 2018, n. 17 del 2018 e n. 170 del 2017 ).
Nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale promossi dalla Regione Veneto nei confronti del d.l. n. 73 del 2017, per intero e con riguardo agli artt. 1, commi da 1 a 5, e agli artt. 3, 4, 5 e 7, sono dichiarati inammissibili - con ordinanza letta in udienza -, gli interventi ad adiuvandum di «Aggregazione Veneta - Aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti ed associazioni di tutela della identità, cultura e lingua venete» e L. P., di «Associazione per Malati Emotrasfusi e Vaccinati» (AMEV), nonché di CODACONS e «Articolo 32 - Associazione italiana per i diritti del malato» (AIDMA); e del «Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino» (CONDAV), di AMEV, e di L. B. e C. C., in qualità di genitori di L. C. Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l'intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili, non valendo in contrario, - in quanto non pertinenti - le opposte decisioni assunte in giudizi sull'ammissibilità di referendum abrogativi, in giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale e in giudizi relativi a conflitti di attribuzione tra poteri. ( Precedenti citati: sentenze n. 242 del 2016, n. 110 del 2016, n. 63 del 2016, n. 118 del 2015, n. 172 del 2006, n. 345 del 2005, n. 25 del 2000, n. 171 del 1996, n. 456 del 1993 e n. 314 del 1992; ordinanze n. 49 del 2005, n. 48 del 2005, n. 47 del 2005, n. 46 del 2005, n. 45 del 2005250 del 2007, n. 389 del 2004, n. 50 del 2004e n. 76 del 2001; ordinanza dibattimentale allegata alla sentenza n. 228 del 2016 ).
Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6- ter , del d.l. n. 73 del 2017, conv., con mod., in legge n. 119 del 2017, promosse dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 31, 32, 34, 77, secondo comma, 81, terzo comma, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, Cost. La disposizione censurata, relativa ai compiti della Commissione per il monitoraggio dell'attuazione del d.P.C.m. di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), è considerata nella premessa in fatto del ricorso, nonché nell'epigrafe dei singoli motivi, mentre è completamente ignorata nell'esposizione delle censure, non rilevandosi alcuna argomentazione in merito ai profili di contrasto tra i contenuti specifici di questo comma e i parametri costituzionali invocati. ( Precedenti citati: sentenze n. 197 del 2017, n. 107 del 2017, n. 105 del 2017, n. 273 del 2016, n. 265 del 2016, n. 249 del 2016, n. 239 del 2016, n. 141 del 2016, n. 63 del 2016, n. 251 del 2015, n. 233 del 2015, n. 218 del 2015, n. 153 del 2015 e n. 142 del 2015 ).
È dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale - promosse dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 2, 3, 31, 32, 34, 77, secondo comma, 81, terzo comma, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, Cost. - dell'art. 1, commi 1, lett. g) e h), 4 e 5 del d.l. n. 73 del 2017, in materia di obblighi di vaccinazione per i minori fino ad anni 16 e sanzioni amministrative pecuniarie e del divieto di accesso ai servizi educativi per l'infanzia in caso di mancato adempimento. Per effetto della legge di conversione n. 119 del 2017, l'art. 1, commi 1, è stato oggetto di modifiche non solo radicali, ma anche satisfattive delle doglianze della Regione; il comma 4 ha subito modifiche incisive, equivalenti a una mancata conversione parziale delle previsioni originarie con effetto ex tunc. Infine, il comma 5 è stato puramente e semplicemente soppresso ed è ragionevole ritenere che ne sia mancata l'applicazione medio tempore. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la materia del contendere cessa solo se lo ius superveniens ha carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso e se le disposizioni censurate non hanno avuto medio tempore applicazione. Con specifico riguardo ai ricorsi aventi ad oggetto un d.l., possono considerarsi satisfattive anche la pura e semplice soppressione delle disposizioni censurate, quando non è prevista alcuna salvezza degli effetti eventualmente prodottisi; nonché le modifiche che, per il loro contenuto, equivalgano a un rifiuto parziale di conversione e, pertanto, travolgano con effetto ex tunc la norma emendata per la parte non convertita (stabilendo contestualmente una nuova norma, valida solo per il futuro). In tutti questi casi, occorre comunque verificare che la norma censurata originariamente non abbia avuto applicazione nel frattempo. ( Precedenti citati: sentenze n. 33 del 2017, n. 8 del 2017, n. 263 del 2016, n. 147 del 2016, n. 311 del 2012, n. 153 del 2011, n. 367 del 2010, e n. 200 del 2009 ).
Sono dichiarate inammissibili, per carenza assoluta di motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - promosse dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 31, 32, 34 e 97 Cost. - degli artt. 1, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4 e 6- ter ; 3; 3-bis; 4; 5; 5-quater e 7 del d.l. n. 73 del 2017, come conv. dalla legge n. 119 del 2017, che prevedono l'obbligo di vaccinazione per i minori fino ad anni 16, nonché sanzioni amministrative pecuniarie e il divieto di accesso ai servizi educativi per l'infanzia in caso di mancato adempimento. La ricorrente non adduce argomenti sufficienti a illustrare perché gli eventuali processi di riorganizzazione (oltre che imposti alla Regione, e non da questa autonomamente determinati) sarebbero tali da compromettere il buon andamento dei servizi sanitari e la loro capacità di tutelare la salute, nonché da interferire con le funzioni amministrative regionali attinenti alla scuola e ai servizi per l'infanzia: mentre è chiaro che la Regione dovrà cambiare un punto nodale delle proprie politiche vaccinali, non è affatto spiegato come e in quale misura il cambiamento dovrebbe compromettere l'efficienza dei servizi sanitari, scolastici ed educativi, come apoditticamente affermato nei ricorsi. ( Precedente citato: sentenza n. 192 del 2017 ).