Articolo 30 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di appello di Salerno in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 29, 30, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU, agli artt. 7 e 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, nonché all'art. 24, comma 2, CDFUE - dell'art. 269, primo comma, cod. civ., che esclude la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità in contrasto con lo status di figlio in cui la persona si trova e, in subordine, nella parte in cui esclude la possibilità di ottenere una pronuncia condizionata al successivo esercizio dell'azione di disconoscimento. Entrambe le questioni si risolvono nella richiesta di una pronuncia additiva di carattere eccessivamente manipolativo, poiché mirano da un lato alla rimozione della condizione del giudizio demolitivo del precedente status , per la quale sarebbe necessaria una riforma di sistema idonea a farsi carico di molteplici profili; dall'altro all'inversione dell'ordine di proposizione delle azioni fissato dal codice e all'introduzione nella materia processuale di un istituto che non trova una esplicita base normativa, quale la sentenza condizionata. Inoltre, la stessa formulazione del petitum principale è generica e ambigua, in quanto l'ordinanza non chiarisce, una volta superata la necessità del giudizio demolitivo, in conseguenza dell'accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, quale effetto avrebbe una sentenza di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità sul preesistente stato di filiazione, comprovato dal relativo titolo. Spetta, dunque, al legislatore, nella sua discrezionalità, valutare, alla luce dell'evoluzione delle tecniche di accertamento della filiazione, come un intervento di sistema possa tenere conto di tutti gli interessi coinvolti, senza comprimere in maniera sproporzionata diritti di rango costituzionale e assicurando una complessiva coerenza alla disciplina delle azioni di stato. ( Precedenti: S. 143/2022 - mass. 44998; S. 101/2022 - mass. 44890; S. 100/2022 - mass. 44722; S. 22/2022 - mass. 44588; S. 151/2021 - mass. 44081; S. 33/2021 - mass. 43636; S. 32/2021 - mass. 43621; S. 80/2020 - mass. 42556; S. 47/2020 - mass. 42301; S. 239/2019 - mass. 41414; S. 237/2019 - mass. 41255; S. 23/2013 - mass. 36919 ).
Sono dichiarate inammissibili, in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del legislatore circa l'individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13, secondo comma, lett. b ), del r.d.l. n. 636 del 1939, conv., con modif., nella legge n. 1272 del 1939, come sostituito dall'art. 2 della legge n. 218 del 1952, nel testo riformulato dall'art. 22 della legge n. 903 del 1965, sollevate dalla Corte dei conti, sez. giurisd. per il Lazio, in riferimento agli artt. 3 e 30, commi primo e terzo, Cost. La disposizione è censurata innanzitutto nella parte in cui - stabilendo le aliquote percentuali della pensione che spettano in favore dei superstiti - assegna al figlio minorenne nato da due persone non unite da vincolo coniugale l'attribuzione di una quota della pensione privilegiata indiretta identica a quella del figlio che riguardo a tale pensione concorra insieme all'altro suo genitore superstite, anziché della maggior quota del 70% spettante al minore che abbia perduto entrambi i suoi genitori. Essa, inoltre, è ulteriormente censurata perché, laddove la questione fosse accolta, non consente il riparto delle quote della pensione indiretta tra l'ex coniuge, che non è genitore del figlio superstite, e il minore stesso, pari al 70% e al 60%, in modo da ricondurle entro il complessivo limite del 100%, riducendole proporzionalmente. Se sussistono, in astratto, validi argomenti a sostegno della fondatezza della prima questione, vista l'apprezzabile discriminazione tra figli superstiti nati fuori dal matrimonio e figli nati nel matrimonio - perché i primi, oltre alla propria quota del 20%, possono sempre contare, indirettamente, anche su un plus di assistenza derivante dalla quota del 60% che per legge spetta al coniuge superstite suo genitore, cosa esclusa per i secondi - non è invece possibile risolvere mediante una sentenza additiva il problema posto dalla seconda questione. Pur a fronte dell'inadeguatezza del sistema attualmente vigente, infatti, non può chiedersi alla Corte costituzionale una diretta e autonoma rideterminazione delle quote, perché si tratterebbe di un intervento manipolativo. Né è ravvisabile una conclusione costituzionalmente obbligata, palesandosi, piuttosto, una pluralità di criteri risolutivi che, in astratto, si possono tutti prospettare come praticabili, per cui la scelta tra di essi, ovvero - in ipotesi - la scelta di un criterio ancora diverso, non può che spettare al legislatore. Tuttavia, va segnalata la necessità di un tempestivo intervento del legislatore, atto a colmare la lacuna che compromette i valori costituzionali sottesi all'istituto della reversibilità, impedendo la piena soddisfazione del diritto a veder salvaguardata la forza cogente del vincolo di solidarietà familiare. ( Precedenti: S. 151/2021 - mass. 44081; n. 152/2020 - mass. 42564; S. 248/2014 - mass. 38154; S. 23/2013 - mass. 36919; S. 86/2009 - mass. 33259 ).
Il primario interesse del minore è principio riconducibile agli artt. 2, 30 e 31 Cost., e viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento (quali la Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989; la Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini del 1986; il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966; la Convenzione di Strasburgo in materia di adozione del 1968); nonché da fonti europee (artt. 24, comma 2, CDFUE, e 8 e 14 CEDU), come rispettivamente interpretate dalla Corte GUE e dalla Corte EDU. ( Precedenti: S. 102/2020 - mass. 43100; S. 272/2017 - mass. 41151; S. 76/2017 - mass. 39544; S. 17/2017 - mass. 39537; S. 205/2015 - mass. 38568; S. 239/2014 - mass. 38138; S.11/1981 - mass. 10022 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili - per incompleta ricostruzione del quadro normativo, difetto di motivazione sulla rilevanza, richiesta di intervento additivo in malam partem precluso alla Corte costituzionale - le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice onorario di pace di Taranto, in riferimento agli artt. 3, 30 e 34, secondo comma, Cost. - dell'art. 731 cod. pen., nella parte in cui punisce l'inosservanza dell'obbligo di impartire o far impartire ai minori l'istruzione elementare e non anche l'analogo inadempimento riguardo alla scuola media inferiore ed al primo biennio della scuola secondaria superiore. Il rimettente nulla argomenta sulla specifica vicenda abrogativa della disposizione che aveva esteso la previsione sanzionatoria all'inadempimento degli obblighi di istruzione presso la scuola media inferiore e manca di descrivere adeguatamente le fattispecie per cui è giudizio, impedendo qualunque controllo sulla rilevanza delle questioni di legittimità sollevate. Il giudice a quo sollecita, inoltre, un intervento additivo in malam partem in materia penale, finalizzato ad estendere l'ambito di applicazione di una previsione incriminatrice, al quale osta il principio di riserva di legge posto nel secondo comma dell'art. 25 Cost., il quale nel caso di specie non subisce eccezioni, poiché la denunciata irrilevanza penalistica delle condotte sommariamente descritte non costituisce deroga a un regime generalizzato di penalizzazione delle omissioni concernenti gli obblighi di istruzione. ( Precedenti: S. 154/2021 - mass. 44063; O. 159/2021 - mass. 44115; O. 136/2021 - mass. 43947; O. 219/2020 - mass. 42827 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per sopravvenuta carenza di oggetto, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Catania, sez. prima civile, in riferimento agli artt. 1, 3, secondo comma, 4, 30, 31, 35 e 36 Cost. - dell'art. 120, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a ), della legge n. 94 del 2009, e come modificato dell'art. 19, comma 2, lett. a ) e b ), della legge n. 120 del 2010, e dall'art. 8, comma 1, lett. b ), del d.lgs. n. 59 del 2011, nella parte in cui dispone che il prefetto «provvede» - invece che «può provvedere» - alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di prevenzione. La sentenza n. 99 del 2020 ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata in senso conforme al petitum del rimettente.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal GIP del Tribunale di Palermo in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 27, primo e secondo comma, 29, 30 e 31 Cost. e al principio di ragionevolezza, nonché all'art. 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, par. 2, CEDU, e all'art. 48 CDFUE - dell'art. 7- ter , comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, conv. con modif. in legge n. 26 del 2019, che impone di sospendere l'erogazione del reddito di cittadinanza nei confronti del beneficiario o del richiedente a cui è applicata una misura cautelare personale. La norma è espressione della discrezionalità attribuita al legislatore, che non si presenta affetta da irrazionalità manifesta e irrefutabile, in quanto il provvedimento di sospensione, in caso di misure cautelari sopravvenute, è la conseguenza del venir meno di un requisito necessario alla concessione di un beneficio che non ha natura meramente assistenziale, bensì è finalizzato al reinserimento nel mondo lavorativo, attraverso un percorso che il soggetto percettore deve essere in grado di seguire, non essendo destinatario di misure le quali possano risultare a tal fine impeditive. Né vengono in gioco profili attinenti alla responsabilità penale, poiché la ratio della sospensione in esame è conseguenza del venir meno di un peculiare requisito morale, che trova la sua giustificazione non nella presunzione di colpevolezza, bensì nella valutazione d'incompatibilità tra la richiesta del beneficio economico e la soggezione a detta misura cautelare. Non è, infine, irragionevole che il reddito di cittadinanza, sospeso in caso di misura cautelare personale, possa tornare a essere erogato in seguito alla condanna definitiva, salvo che per determinati reati. Tale conseguenza, sebbene opinabile, appare coerente con il contesto normativo disegnato dal legislatore, poiché con la cessazione della misura cautelare cessa anche quel pericolo concreto e attuale che legittima la sospensione. ( Precedenti citati: sentenze n. 152 del 2020, n. 122 del 2020, n. 248 del 2019, n. 113 del 2019, n. 222 del 2018, n. 161 del 2018, n. 194 del 2017, n. 86 del 2017, n. 276 del 2016, n. 223 del 2015, n. 214 del 2014, n. 81 del 2014, n. 134 del 2012, n. 120 del 2012, n. 36 del 2012, n. 2 del 1999, n. 226 del 1997, n. 297 del 1993 e n. 46 del 1993 ).
Sono dichiarate inammissibili, per irrilevanza derivante dal difetto di competenza del giudice a quo , le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30, 31, secondo comma, 32 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 CEDU - dell'art. 4 del d.l. n. 29 del 2020, (adottato per fronteggiare l'emergenza da COVID-19) nella parte in cui, nell'interpretazione del rimettente, non consente che si svolgano tramite collegamento audiovisivo a distanza i colloqui con i figli minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti al regime speciale di cui all'art. 41- bis , comma 2, ordin. penit., e dell'art. 41- bis , comma 2- quater , lett. b ), terzo periodo, ordin. penit., nella parte in cui non prevede, a regime, che i colloqui sostitutivi di quelli visivi con i figli minorenni, cui in base ad esso hanno diritto i detenuti in regime speciale, possano essere svolti - in alternativa alla corrispondenza telefonica - con modalità audiovisive a distanza. A prescindere da ogni altro possibile rilievo - anche quanto alle premesse ermeneutiche che fondano i dubbi di costituzionalità - il rimettente appare palesemente privo di qualsiasi competenza in materia di autorizzazione dei colloqui dei detenuti, che spetta esclusivamente alla magistratura di sorveglianza. Per costante giurisprudenza costituzionale, stante l'autonomia del giudizio di costituzionalità rispetto a quello dal quale la questione proviene, il difetto di competenza del giudice a quo - al pari del difetto di giurisdizione - determina l'inammissibilità della questione, per irrilevanza, solo quando sia palese, ossia riscontrabile ictu oculi . ( Precedenti citati: sentenze n. 136 del 2008 e n. 349 del 1993; ordinanze n. 144 del 2011, n. 318 del 2010, n. 252 del 2010 e n. 82 del 2005 ).
Sono dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte di cassazione, sezione prima civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU e agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione sui diritti del fanciullo - del combinato disposto degli artt. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, 64, comma 1, lett. g ), della legge n. 218 del 1995 e 18 del d.P.R. n. 396 del 2000 che, secondo l'interpretazione del diritto vivente, precludono, per contrasto con l'ordine pubblico, il riconoscimento dell'efficacia nell'ordinamento italiano del provvedimento giurisdizionale straniero di accertamento del rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla c.d. maternità surrogata e il genitore c.d. "d'intenzione". L'interesse del minore deve essere bilanciato, alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall'ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore. Al riguardo, il punto di equilibrio raggiunto dalla Corte EDU è corrispondente all'insieme degli evocati principi della Costituzione italiana, i quali per un verso non ostano alla non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale od omosessuale) che abbia fatto ricorso all'estero alla maternità surrogata; per l'altro, impongono che, in tali casi, sia comunque assicurata tutela all'interesse del minore al riconoscimento giuridico del legame con coloro che esercitano di fatto la responsabilità genitoriale. Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata non può che spettare, in prima battuta, al legislatore. A tal fine, quest'ultimo - quale titolare di un significativo margine di manovra, a fronte di un ventaglio di opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica - deve farsi carico di una disciplina che assicuri una piena tutela degli interessi del minore, in modo più aderente alle peculiarità della situazione, che sono assai diverse da quelle dell'adozione in casi particolari (c.d. "non legittimante"), prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d ), della legge n. 184 del 1983. ( Precedenti citati: sentenze n. 102 del 2020, n. 221 del 2019, n. 272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017, n. 239 del 2014, n. 85 del 2013, n. 494 del 2002, n. 347 del 1998 e n. 11 del 1981 ).
Sono dichiarate inammissibili, perché protese a colmare un vuoto di tutela in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità del legislatore, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Padova in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo e agli artt. 8 e 14 CEDU - degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ., che non consentono al nato nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all'adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l'interesse del minore. La recisione, nel caso di specie, del legame tra la madre biologica e la madre intenzionale, pur in presenza di un rapporto di filiazione effettivo tra questa e il minore, ha reso evidente un vuoto di tutela dell'ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi, intesa, come affermato in forte sintonia dalla giurisprudenza delle due corti europee, oltre che da quella costituzionale, come necessaria permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non biologici, e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire certezza nella costruzione dell'identità personale. Le questioni sollevate confermano, pertanto, l'impellenza di un intervento del legislatore in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del rapporto del minore con la "madre intenzionale", vista l'insufficienza del ricorso all'adozione in casi particolari, per come attualmente regolata. Risulta pertanto evidente che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, quando destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall'altra persona che ha costruito il menzionato progetto, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi, in contrasto con il principio di eguaglianza. Riscontrato il suddetto vuoto di tutela, una pronuncia della Corte costituzionale rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato. Serve, pertanto, ancora una volta attirare su questa materia eticamente sensibile l'attenzione del legislatore, al fine di individuare un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana. ( Precedenti citati: sentenze n. 230 del 2020, n. 127 del 2020, n. 272 del 2017, n. 162 del 2014, n. 308 del 2008, n. 394 del 2005, n. 494 del 2002 e n. 347 del 1998 ). L'evoluzione dell'ordinamento, muovendo dalla nozione tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto rilievo giuridico alla genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, tenuto conto che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. Non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, pur spettando alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina; né esistono certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l'inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore. ( Precedente citato: sentenza n. 221 del 2019 ).
È dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Venezia in riferimento agli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 24, paragrafo 3, CDFUE, agli artt. 8 e 14 CEDU e alla Convenzione sui diritti del fanciullo, degli artt. 1, comma 20, della legge n. 76 del 2016 e 29, comma 2, del d.P.R. n. 396 del 2000, che, nel loro combinato disposto, precludono alle coppie di donne omosessuali unite civilmente la possibilità di essere indicate, entrambe, quali genitori nell'atto di nascita formato in Italia, quantunque abbiano fatto ricorso (all'estero) alla procreazione medicalmente assistita. Sebbene la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) sia legata anche al "consenso" prestato, e alla "responsabilità" conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa, occorre pur sempre che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano coppie di sesso diverso, atteso che le coppie dello stesso sesso non possono accedere, in Italia, alle tecniche di PMA, come espressamente disposto dall'art. 5 della legge n. 40 del 2004. I parametri costituzionali, europei e convenzionali evocati, così come non consentono l'interpretazione adeguatrice della normativa censurata, allo stesso modo neppure, però, ne autorizzano la reductio ad legitimitatem, nel senso dell'auspicato riconoscimento delle donne omosessuali civilmente unite quali genitori del nato da fecondazione eterologa praticata dall'una con il consenso dell'altra, stante la scelta del legislatore di non riferire le norme relative al rapporto di filiazione alle coppie dello stesso sesso; scelta costituzionalmente legittima perché l'aspirazione della madre intenzionale ad essere genitore non assurge a livello di diritto fondamentale della persona. Se, dunque, il riconoscimento della omogenitorialità, all'interno di un rapporto tra due donne unite civilmente, non è imposto, vero è anche che i parametri evocati neppure sono chiusi a soluzioni di segno diverso, in base alle valutazioni che il legislatore potrà dare, non potendosi escludere la capacità della donna sola, della coppia omosessuale e della coppia eterosessuale in età avanzata di svolgere validamente anch'esse, all'occorrenza, le funzioni genitoriali. L'obiettivo auspicato dal rimettente, pertanto, è perseguibile per via normativa, implicando una svolta che, anche e soprattutto per i contenuti etici ed assiologici che la connotano, non è costituzionalmente imposta, ma propriamente attiene all'area degli interventi, con cui il legislatore, quale interprete della volontà della collettività, è chiamato a tradurre il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale. Anche l'altro profilo della questione, relativo a una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la madre intenzionale, è ben possibile, ma le forme per attuarla attengono, ancora una volta, al piano delle opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore. ( Precedenti citati: sentenze n. 237 del 2019, n. 221 del 2019, n. 84 del 2016 e n. 76 del 2016 ). L'art. 30 Cost. non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli; la libertà e volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori non implica che possa esplicarsi senza limiti, poiché deve essere bilanciata con altri interessi costituzionalmente protetti, particolarmente quando si discuta della scelta di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), le quali, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale, attorno ai quali è evidentemente costruita la disciplina degli artt. 29, 30 e 31 Cost., suscitando inevitabilmente, con ciò, delicati interrogativi di ordine etico. ( Precedenti citati: sentenze n. 221 del 2019 e n. 162 del 2014 ).