Articolo 250 - CODICE CIVILE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ., non è accolta l'eccezione d'inammissibilità, per difetto di rilevanza, in quanto non sarebbe chiara la fattispecie sottoposta all'esame del rimettente, tanto da non consentire di comprendere l'individuazione delle norme censurate, quali norme applicabili nel giudizio principale. Nell'ordinanza di rimessione emerge chiaramente, con argomentazioni non implausibili, che le domande proposte nel giudizio principale dalla ricorrente sono basate sulle norme censurate. Nel delibare l'ammissibilità della questione, la Corte costituzionale effettua in ordine alla rilevanza solo un controllo "esterno", applicando un parametro di non implausibilità della relativa motivazione. ( Precedenti citati: sentenze n. 267 del 2020, n. 224 del 2020 e n. 32 del 2020 ).
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ., non è accolta l'eccezione d'inammissibilità, per aberratio ictus . Il rimettente correttamente censura le disposizioni indicate poiché da esse si desume l'impossibilità di riconoscere lo status di figli ai nati da PMA eterologa, praticata da una coppia di donne, e ne fa discendere il vuoto di tutela censurato, con conseguente pretesa lesione degli evocati parametri costituzionali. Ricorre l'inammissibilità delle questioni per aberratio ictus solo ove sia erroneamente individuata la norma in riferimento alla quale sono formulate le censure di illegittimità costituzionale. ( Precedente citato: sentenza n. 224 del 2020 ).
Vanno ritenute ammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ., sebbene il rimettente non abbia sperimentato la possibilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate, auspicata dalla ricorrente nel giudizio principale. Il giudice a quo ritiene tale possibilità impraticabile, muovendo da un'interpretazione sistematica e logica, come peraltro successivamente confermato dalla giurisprudenza di legittimità. Quando l'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa denunciata è stata esplorata e consapevolmente scartata dal rimettente, ciò basta ai fini dell'ammissibilità della questione. ( Precedenti citati: sentenze n. 32 del 2020 e n. 189 del 2019 ).
Sono dichiarate inammissibili, perché protese a colmare un vuoto di tutela in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità del legislatore, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Padova in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo e agli artt. 8 e 14 CEDU - degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ., che non consentono al nato nell'ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all'adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l'interesse del minore. La recisione, nel caso di specie, del legame tra la madre biologica e la madre intenzionale, pur in presenza di un rapporto di filiazione effettivo tra questa e il minore, ha reso evidente un vuoto di tutela dell'ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi, intesa, come affermato in forte sintonia dalla giurisprudenza delle due corti europee, oltre che da quella costituzionale, come necessaria permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non biologici, e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire certezza nella costruzione dell'identità personale. Le questioni sollevate confermano, pertanto, l'impellenza di un intervento del legislatore in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del rapporto del minore con la "madre intenzionale", vista l'insufficienza del ricorso all'adozione in casi particolari, per come attualmente regolata. Risulta pertanto evidente che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, solo in ragione dell'orientamento sessuale delle persone che hanno posto in essere il progetto procreativo. Essi, quando destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall'altra persona che ha costruito il menzionato progetto, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi, in contrasto con il principio di eguaglianza. Riscontrato il suddetto vuoto di tutela, una pronuncia della Corte costituzionale rischierebbe di generare disarmonie nel sistema complessivamente considerato. Serve, pertanto, ancora una volta attirare su questa materia eticamente sensibile l'attenzione del legislatore, al fine di individuare un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana. ( Precedenti citati: sentenze n. 230 del 2020, n. 127 del 2020, n. 272 del 2017, n. 162 del 2014, n. 308 del 2008, n. 394 del 2005, n. 494 del 2002 e n. 347 del 1998 ). L'evoluzione dell'ordinamento, muovendo dalla nozione tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto rilievo giuridico alla genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, tenuto conto che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa. Non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, pur spettando alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina; né esistono certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l'inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore. ( Precedente citato: sentenza n. 221 del 2019 ).
Nel dichiarare l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge n. 40 del 2004 e 250 cod. civ., per il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario, la Corte costituzionale non può esimersi dall'evidenziare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell'inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore riscontrato. Il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, dovrà al più presto colmare tale vuoto, mediante una disciplina che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale. In via esemplificativa, può trattarsi di una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento, ovvero dell'introduzione di una nuova tipologia di adozione. Solo un intervento del legislatore consentirebbe di ovviare alla frammentarietà e alla scarsa idoneità degli strumenti normativi ora impiegati per tutelare il "miglior interesse del minore". Esso, inoltre, eviterebbe le "disarmonie" che potrebbero prodursi per effetto di un intervento mirato solo a risolvere il problema specificamente sottoposto all'attenzione di questa Corte. Il terreno aperto all'intervento del legislatore è dunque assai vasto e le misure necessarie a colmare il vuoto di tutela dei minori sono differenziate e fra sé sinergiche.
Sono dichiarati inammissibili gli interventi del Centro Studi "Rosario Livatino", della libera associazione di volontariato "Vita è" e dell'Avvocatura per i diritti LGBTI nel giudizio di legittimità costituzionale avente ad oggetto la norma risultante dal combinato disposto degli artt. 250 e 449 cod. civ. e 29, comma 2, del d.P.R. n. 396 del 2000. Detti soggetti non sono stati parti nel giudizio a quo e non sono titolari di interessi direttamente riconducibili all'oggetto del giudizio stesso, sebbene di meri indiretti, e più generali, interessi, connessi ai loro scopi statutari. Per costante giurisprudenza costituzionale, la partecipazione al giudizio di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo , oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale). A tale disciplina è possibile derogare - senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità - soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura. Pertanto, l'incidenza sulla posizione soggettiva dell'interveniente non deve derivare, come per tutte le altre situazioni sostanziali governate dalla legge denunciata, dalla pronuncia della Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, ma dall'immediato effetto che tale pronuncia produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio principale. ( Precedenti citati: sentenze n. 13 del 2019, n. 217 del 2018 e n. 180 del 2018; ordinanze allegate alle sentenze n. 141 del 2019, n. 194 del 2018, n. 29 del 2017, n. 286 del 2016, n. 243 del 2016 e n. 84 del 2016 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza per erroneità del presupposto interpretativo, della questione di legittimità costituzionale della «norma che si desume» dagli artt. 250 e 449 cod. civ.; 29, comma 2, e 44, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000; 5 e 8 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all'art. 33 della legge n. 218 del 1995. Dalla legislazione e dalle pronunce costituzionali citate dal giudice a quo resiste, infatti, a censura l'affermazione, assunta in premessa dal rimettente, che «allo stato», nel nostro ordinamento, è «escluso che genitori di un figlio possano essere due persone dello stesso sesso».
È dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tribunale di Pisa in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 30 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 3 e 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo - della «norma che si desume» dagli artt. 250 e 449 cod. civ.; 29, comma 2, e 44, comma 1, del d.P.R. n. 396 del 2000; 5 e 8 della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui non consente di formare in Italia un atto di nascita in cui vengano riconosciute come genitori di un cittadino di nazionalità straniera due persone dello stesso sesso, quando la filiazione sia stabilita sulla base della legge applicabile in base all'art. 33 della legge n. 218 del 1995. Il rimettente non chiarisce se la "norma desunta", della quale auspica la caducazione, sia: (a) la stessa norma interna sulla eterogenitorialità, di cui egli presupponga la necessaria applicabilità in sede di formazione (ma non anche, peraltro, di trascrizione) dell'atto di nascita di un minore cittadino straniero; ovvero (b) una norma sulla "azione amministrativa", regolatrice dell'attività dell'ufficiale di stato civile, che gli impedirebbe di formare l'atto di nascita di un minore straniero in cui si riconosca al medesimo uno status previsto dalla sua legge nazionale, ma non da quella italiana. Né il giudice a quo prende in esame le disposizioni, maggiormente attinenti al tema dell'incidente di costituzionalità, con le quali il legislatore ha individuato le norme di applicazione necessaria nella specifica materia della filiazione (artt. 33, comma 4, e 36- bis della legge n. 218 del 1995).
E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 250 del codice civile, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 30, 31 e 111 Cost. in quanto identica questione è stata già dichiarata non fondata dalla sentenza n. 83 del 2011 e il rimettente non adduce elementi nuovi.
In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 250 del codice civile, va rigettata, l'eccezione di inammissibilità della questione stessa per omessa verifica della possibilità di un'interpretazione conforme a Costituzione, in quanto il giudice rimettente, sia pure in modo implicito, ma chiaro, ha argomentato nel senso della non praticabilità di una interpretazione conforme a Costituzione.