Articolo 274 - CODICE CIVILE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È costituzionalmente illegittimo l'art. 274 cod. civ., che prevede e regola una preliminare delibazione di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale. L'evoluzione della disciplina procedimentale del giudizio di ammissibilità - segnata, tra l'altro, dalla previsione, nel nuovo testo dell'art. 274 cod. civ. introdotto dalla legge 23 novembre 1971, n. 1074, a seguito della sentenza di illegittimità costituzionale n. 70 del 1965, dell'obbligo di contraddittorio tra gli interessati, dell'obbligo di motivazione del decreto del tribunale sulla domanda di ammissibilità, nonché della reclamabilità del decreto alla corte d'appello; dalla riconosciuta ammissibilità, ad opera della Corte di legittimità, del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.; dalla ritenuta sufficienza (sent. n. 216 del 1997 della Corte costituzionale), ai fini dell'ammissibilità dell'azione, dell'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile; dalla valutazione, costante nella giurisprudenza della Corte di cassazione, delle «specifiche circostanze» che la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha sostituito agli «indizi» di cui al testo originario dell'art. 274 cod. civ., quali elementi la cui sussistenza è richiesta ai fini del giudizio di ammissibilità, alla stregua di criteri di verosimiglianza e non di certezza, ritenendosi sufficiente che la dichiarazione della madre sia supportata da un fumus boni iuris - ha, infatti, totalmente vanificato la funzione in vista della quale tale procedimento era stato originariamente previsto dal legislatore, e cioè la protezione del convenuto da iniziative «temerarie e vessatorie» perseguita attraverso la sommarietà e la segretezza della cognizione, devoluta in questa fase all'organo giudicante. Il meccanismo processuale di cui alla norma impugnata si presta, invece, ad incentivare strumentalizzazioni, oltre che da parte del convenuto, anche da parte dello stesso attore che, attraverso una accurata programmazione della produzione probatoria, è in grado di assicurarsi, non essendo il provvedimento di inammissibilità suscettibile di passare in giudicato, una reiterabilità, a tempo indeterminato, della istanza di riconoscimento, con la conseguenza che, proprio a fronte di iniziative effettivamente vessatorie, il convenuto potrebbe non esserne mai definitivamente al riparo. L'intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma fa sì che il giudizio di ammissibilità ex art. 274 cod. civ. si risolva in un grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica; da tale manifesta irragionevolezza discende la violazione del precetto (art. 111, secondo comma, Cost.) sulla ragionevole durata del processo, gravato di una autonoma fase, articolata in più gradi di giudizio, prodromica al giudizio di merito, e tuttavia priva di qualsiasi funzione. - Illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., dell'art. 274, secondo comma, cod. civ., nel testo originario, nella parte in cui disponeva che la decisione avesse luogo con decreto non motivato e non soggetto a reclamo, e per la parte in cui escludeva la necessità del contraddittorio e dell'assistenza dei difensori, nonché del terzo comma dell'art. 274, per la parte in cui disponeva la segretezza dell'inchiesta anche nei confronti delle parti: sentenza n. 70/1965. - Illegittimità costituzionale dell'art. 274 cod. civ. nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore: sentenza n. 341/1990. - Sufficienza, ai fini dell'ammissibilità dell'azione, dell'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile, sul rilievo che il procedimento è ispirato a due finalità concorrenti e non in contrasto fra loro, posto com'è a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non ne pregiudichi la formazione e lo sviluppo della personalità: sentenza n. 216/1997.
Manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell?art. 274 del codice civile, ritenuto in contrasto con gli artt. 2, 3, primo comma (in relazione all?art. 24), 3, secondo comma, 30, primo comma, e 111 della Costituzione, in quanto, in relazione al procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, prevede una preventiva fase camerale di ammissibilità del relativo giudizio. Il provvedimento di remissione, infatti, da un lato non fornisce adeguata motivazione circa l'effettiva rilevanza della questione nel giudizio 'a quo' alla luce dell?eccezione di intervenuto giudicato, in punto di ammissibilità della domanda, sollevata nel corso del medesimo giudizio, dall'altro lato poi, non avendo compiutamente individuato la norma denunciata ? il cui contenuto va raccordato con l'intervenuta pronuncia additiva pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 341 del 1990 ? e le ragioni che la ispirano, è anche carente di motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione.
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3, comma primo, 31 commi primo e secondo, e 24, comma primo, Cost., la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 18 cod. proc. civ., 274 cod. civ. e 38 disp. att. cod. civ., nella parte in cui escludono che nel giudizio di ammissibilita' dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale la competenza per territorio, qualora la causa riguardi un minore, venga individuata nel tribunale per i minorenni nell'ambito del cui distretto risiede il minore stesso, in quanto, benche' possa convenirsi che la competenza territoriale di un giudice diverso da quello del luogo in cui risiede il minore e' talvolta fonte di disagi connessi per lo piu' all'acquisizione dei particolari e delicati elementi probatori che il procedimento in esame richiede, tuttavia essi non si traducono, per cio' solo, nella violazione dei precetti costituzionali, poiche' il diritto di azione non e' in alcun modo impedito, ne' seriamente ostacolato dalla mera distanza tra il luogo di abituale dimora del minore e la sede del tribunale minorile competente; in quanto la specificita' delle funzioni di tale organo garantisce comunque 'ex se' una particolare e attenta ponderazione delle problematiche psicoaffettive del minore medesimo e la predisposizione di ogni cautela atta ad evitare allo stesso qualunque turbamento; ed in quanto - posto che rientra nelle valutazioni discrezionali del legislatore non solo la conformazione generale degli istituti processuali, ma anche, in particolare, la determinazione delle competenze e la ripartizione della giurisdizione, purche' effettuate nei limiti della ragionevolezza - una volta affidata la cognizione dell'azione in esame al giudice minorile, non e' irragionevole la scelta del legislatore di lasciar operare i criteri determinativi della competenza territoriale secondo le regole generali previgenti, tenuto conto che l'azione 'de qua' non e' comparabile, per diversita' di presupposti e natura, con i procedimenti modificativi, ablativi o restitutivi della potesta' genitoriale, ne' con quelli relativi all'adozione o all'affidamento e che l'unica azione comparabile - l'opposizione al riconoscimento di figlio naturale, di cui all'art. 250, comma 4, cod. civ. - e' assoggettata allo stesso criterio determinativo della competenza per territorio del Tribunale per i minorenni. - S. nn. 193/1987, 429/1991, 451/1997; O. nn. 7/1997, 63/1997 e 139/1997. red.: S. Di Palma
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3, 30 e 31 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 274, commi primo e secondo, cod. civ., nella parte in cui non limita il giudizio di ammissibilita' dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o di maternita' naturale all'esame dell'interesse del minore, sia perche' l'applicazione giurisprudenziale della disposizione impugnata in ordine agli elementi probatori sufficienti per l'ammissibilita' dell'azione esclude limitazioni del diritto del minore al riconoscimento, sia perche', con riferimento alla pretesa irragionevolezza della disposizione medesima, il procedimento in esame e' ispirato a due finalita' concorrenti e non in contrasto fra loro, posto com'e' a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione, veridico, che non pregiudichi la formazione e lo sviluppo della sua personalita'. - S. nn. 341/1990, 112/1997. red.: S. Di Palma
Non e' piu' giustificabile - alla stregua del principio di pari trattamento di casi simili - una volta trasferita (art. 38 disp. att. cod. civ., modificato dall'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184) al tribunale per i minorenni la competenza a giudicare dell'azione di reclamo della paternita' o maternita' naturale proposta nell'interesse dei minori di eta', la preclusione a questo giudice, specializzato per la tutela dei minori, della possibilita' di esplicare anche in questa ipotesi la sua funzione isituzionale valutando, ove sia in causa un minore infrasedicenne, se l'azione intentata dal genitore che per primo lo ha riconosciuto, al fine di imporre all'altro una paternita' o una maternita' che quegli rifiuta di riconoscere, sia effettivamente rispondente all'interesse del figlio, quando analogo controllo e' invece previsto nell'ipotesi in certo senso inversa di conflitto di cui al comma quarto dell'art. 250 cod. civ., allorche' cioe' il genitore che ha gia' riconosciuto il figlio si opponga al riconoscimento dell'altro giudicandolo non conveniente all'interesse del minore. E' pertanto costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 3 Cost. (nonche' con il principio di razionalita', essendo incoerente col rilievo sistematico centrale che nell'ordinamento dei rapporti di filiazione, fondato sull'art. 30 Cost., assume l'esigenza di protezione dell'interesse dei minori) - l'art. 274, comma primo, stesso codice, nella parte in cui, ove si tratti di minore infrasedicenne, non prevede che la detta azione di reclamo promossa dal genitore esercente la potesta' sia ammessa solo ove ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore.
Manifesta inammissibilita' di questione gia' dichiarata inammissibile (con S. n. 621/1987) in quanto si risolve nella critica di una scelta costituente espressione della insindacabile discrezionalita' del legislatore.
Il modo in cui - a seguito della sent. n. 70/1965 della Corte costituzionale - il giudizio preliminare di ammissibilita` dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita` o di maternita` naturale e` stato normativamente ristrutturato per adeguarne la disciplina al precetto di cui all'art. 24 Cost., costituisce scelta che e` espressione dell'insindacabile discrezionalita` legislativa, onde non sono ammissibili questioni di legittimita` costituzionale risolventisi in una critica della scelta medesima. (Inammissibilita` della questione di legittimita` costituzionale dell'art. 274 cod. civ., sollevata - in riferimento agli artt. 30 e 2 Cost. - in quanto la norma denunciata, imponendo il giudizio di delibazione, limiterebbe il diritto alla ricerca della paternita` o maternita` naturale, senza che tale limite sia giustificato dalla tutela dei diritti fondamentali del presunto genitore, e lederebbe, anzi, gli stessi diritti fondamentali della persona del convenuto).
Non e' fondata - in riferimento agli artt. 30, ultimo comma e 24 della Costituzione - la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 274 cod. civ. (prevedente il giudizio di delibazione sulla domanda volta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternita'), 275 cod. civ. (contenente la previsione di sanzione per il caso dell'inammissibilita'), inquantoche' - come dalla Corte gia' rilevato con sentenza n. 70 del 1965 - la disciplina sopradetta "non contrasta con il principio che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, ne' con il riconoscimento del diritto di azione per la ricerca della paternita'". In particolare non sussiste la prospettata violazione del diritto di difesa, in relazione alla "sommarieta'" del procedimento delibativo: atteso che i requisiti del "contraddittorio", "reclamabilita' del provvedimento" e "riproponibilita' della domanda in base ad elementi nuovi" (derivanti dalla menzionata sentenza 1965 n. 70 e recepiti nella legge 23 novembre 1971 n. 1047 "Proroga dei termini per la dichiarazione di paternita' e modificazione dell'art. 274 cod. civ." costituiscano altrettanti canali attraverso i quali il "diritto di difesa" ha modo di trovare ingresso e sviluppo nel giudizio preliminare ex art. 274 cod. civ., compatibilmente con la struttura peculiare del giudizio stesso e con le esigenze che questo e' volto a cautelare.
La Corte costituzionale emana, in camera di consiglio, ordinanza di manifesta infondatezza della questione proposta, quando trattasi di questione relativa a norme di cui e' gia' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale. In tal caso l'infondatezza deriva dal fatto, che essendo sopraggiunta la cessazione della efficacia delle norme impugnate, la questione di legittimita' non e' piu' proponibile. (Questione gia' decisa con sent. n. 70 del 1965).
L'art. 274 Cod. civ., che prevede un giudizio di delibazione della domanda intesa a ottonere la dichiarazione giudiziale di paternita', rientra tra i limiti dell'ultimo comma dell'art. 30 cost. ma, mentre non contrasta ne' con tale norma costituzionale ne' con il primo comma dell'art. 24 Cost., poiche' la decisione in camera di consiglio non fa stato sulla fondatezza dell'azione e non esclude che questa possa essere riproposta, tuttavia il relativo procedimento e' vincolato al rispetto del diritto della difesa delle parti, garantito dal secondo comma dello stesso art. 24 Cost. e l'art. 274 Cod. civ. contrasta con esso sia per l'incompleta garanzia del contraddittorio, sia per la esclusione della assistenza del difensore, sia per la segretezza della inchiesta sommaria, sia per la impugnabilita' del decreto del Tribunale. Di conseguenza, in riferimento al secondo comma dell'art. 24 Cost., l'art. 274 del C.C. e' illegittimo costituzionalmente per la parte del secondo comma in cui esclude la necessita' che la decisione abbia luogo in contraddittorio e con assistenza dei difensori; per la parte del terzo comma in cui dispone la segretezza della inchiesta nei confronti delle parti.