SENT. 50/06. FILIAZIONE - DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITÀ O DI MATERNITÀ NATURALE - PROCEDIMENTO - PRELIMINARE GIUDIZIO DI DELIBAZIONE IN ORDINE ALL'AMMISSIBILITÀ DELL'AZIONE - CONTRADDIZIONE INTRINSECA TRA L'ATTUALE DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO E LA RATIO ORIGINARIA DELLA NORMA, OSTACOLO ALL'ESERCIZIO DEL DIRITTO DI AZIONE IN RELAZIONE ALLA TUTELA DI DIRITTI FONDAMENTALI, IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE.
È costituzionalmente illegittimo l'art. 274 cod. civ., che prevede e regola una preliminare delibazione di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale. L'evoluzione della disciplina procedimentale del giudizio di ammissibilità - segnata, tra l'altro, dalla previsione, nel nuovo testo dell'art. 274 cod. civ. introdotto dalla legge 23 novembre 1971, n. 1074, a seguito della sentenza di illegittimità costituzionale n. 70 del 1965, dell'obbligo di contraddittorio tra gli interessati, dell'obbligo di motivazione del decreto del tribunale sulla domanda di ammissibilità, nonché della reclamabilità del decreto alla corte d'appello; dalla riconosciuta ammissibilità, ad opera della Corte di legittimità, del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.; dalla ritenuta sufficienza (sent. n. 216 del 1997 della Corte costituzionale), ai fini dell'ammissibilità dell'azione, dell'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile; dalla valutazione, costante nella giurisprudenza della Corte di cassazione, delle «specifiche circostanze» che la riforma del diritto di famiglia del 1975 ha sostituito agli «indizi» di cui al testo originario dell'art. 274 cod. civ., quali elementi la cui sussistenza è richiesta ai fini del giudizio di ammissibilità, alla stregua di criteri di verosimiglianza e non di certezza, ritenendosi sufficiente che la dichiarazione della madre sia supportata da un fumus boni iuris - ha, infatti, totalmente vanificato la funzione in vista della quale tale procedimento era stato originariamente previsto dal legislatore, e cioè la protezione del convenuto da iniziative «temerarie e vessatorie» perseguita attraverso la sommarietà e la segretezza della cognizione, devoluta in questa fase all'organo giudicante. Il meccanismo processuale di cui alla norma impugnata si presta, invece, ad incentivare strumentalizzazioni, oltre che da parte del convenuto, anche da parte dello stesso attore che, attraverso una accurata programmazione della produzione probatoria, è in grado di assicurarsi, non essendo il provvedimento di inammissibilità suscettibile di passare in giudicato, una reiterabilità, a tempo indeterminato, della istanza di riconoscimento, con la conseguenza che, proprio a fronte di iniziative effettivamente vessatorie, il convenuto potrebbe non esserne mai definitivamente al riparo. L'intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma fa sì che il giudizio di ammissibilità ex art. 274 cod. civ. si risolva in un grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali, attinenti allo status ed alla identità biologica; da tale manifesta irragionevolezza discende la violazione del precetto (art. 111, secondo comma, Cost.) sulla ragionevole durata del processo, gravato di una autonoma fase, articolata in più gradi di giudizio, prodromica al giudizio di merito, e tuttavia priva di qualsiasi funzione. - Illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost., dell'art. 274, secondo comma, cod. civ., nel testo originario, nella parte in cui disponeva che la decisione avesse luogo con decreto non motivato e non soggetto a reclamo, e per la parte in cui escludeva la necessità del contraddittorio e dell'assistenza dei difensori, nonché del terzo comma dell'art. 274, per la parte in cui disponeva la segretezza dell'inchiesta anche nei confronti delle parti: sentenza n. 70/1965. - Illegittimità costituzionale dell'art. 274 cod. civ. nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all'interesse del minore: sentenza n. 341/1990. - Sufficienza, ai fini dell'ammissibilità dell'azione, dell'esistenza di elementi anche di tipo presuntivo idonei a far apparire l'azione verosimile, sul rilievo che il procedimento è ispirato a due finalità concorrenti e non in contrasto fra loro, posto com'è a tutela non solo del convenuto contro il pericolo di azioni temerarie e ricattatorie, ma anche e soprattutto del minore, il cui interesse sta nell'affermazione di un rapporto di filiazione veridico, che non ne pregiudichi la formazione e lo sviluppo della personalità: sentenza n. 216/1997.