Articolo 70 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Esiste una sfera di prerogative che spettano al singolo parlamentare, che - qualora risultino lese da altri organi parlamentari - possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato. Tali sono le prerogative, legate all'esercizio del libero mandato parlamentare (art. 67 Cost.), di partecipare alle discussioni e alle deliberazioni esprimendo "opinioni" e "voti" (ai quali si riferisce l'art. 68 Cost., sia pure al diverso fine di individuare l'area della insindacabilità); segnatamente, nell'ambito della funzione legislativa, le prerogative del singolo rappresentante si esplicitano anche nel potere di iniziativa, testualmente attribuito "a ciascun membro delle Camere" dall'art. 71, primo comma, Cost., comprensivo del potere di proporre emendamenti, esercitabile tanto in commissione che in assemblea (art. 72 Cost.). ( Precedente: O. 17/2019 - mass. 41933 ). La legittimazione attiva del singolo parlamentare deve essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto, essendo necessario, ai fini dell'ammissibilità dello stesso, che il ricorrente alleghi una sostanziale negazione o un'evidente menomazione delle proprie prerogative costituzionali e che tali violazioni siano rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione. ( Precedenti: O. 256/2021 - mass. 44438; O. 255/2021 - mass. 44437; O. 275/2019 - mass. 40942; O. 274/2019 - mass. 40941; O. 17/2019 - mass. 41933 ). Il singolo parlamentare non può rappresentare l'intero organo cui appartiene, perché egli non è titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette nei confronti dell'esecutivo. ( O. 181/2018 - mass. 40206 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carente motivazione, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla deputata Sara Cunial nei confronti del Governo della Repubblica, per violazione degli artt. 64, 67 e 70 Cost., in relazione all'approvazione, con apposizione della questione di fiducia, di undici disegni di legge di conversione di decreti-legge adottati - tra il marzo 2020 e l'agosto 2021 - per fronteggiare l'emergenza sanitaria, economica e sociale seguita alla diffusione del virus Sars-Cov-2. Il ricorso non offre elementi che portino alla valutazione di una evidente violazione delle prerogative della ricorrente, poiché omette la ricostruzione delle circostanze in cui si sarebbero verificate le dedotte menomazioni ed è carente di informazioni sulla sua effettiva partecipazione alla discussione e al voto sui citati disegni di legge, non chiarendo se e quanti emendamenti ella abbia proposto, né il loro contenuto, e non dando conto del fatto che sia stata richiesta, consentita o negata, l'illustrazione delle proposte emendative). ( Precedente: O. 197/2020 - mass. 42909 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Giudice di pace di Taranto, rispettivamente, in riferimento agli artt. 70, 72, 73, 77 e 97 Cost. e 41 CDFUE, e agli artt. 60, 65, 66, 67 e 136 Cost., 3 Prot. addiz. CEDU e 41 CDFUE - dell'art. 103 del d.l. n. 34 del 2020, conv. con modif., nella legge n. 77 del 2020, nonché dell'intero d.l. e della legge di conversione. Il rimettente non spiega in qual modo né l'art. 103 - che prevede un procedimento per l'emersione, in particolari settori, di rapporti di lavoro irregolari, anche con cittadini stranieri - né le altre disposizioni del citato decreto-legge, che concernono materie estranee all'immigrazione, interferiscano con la decisione dei giudizi a quibus . Né lo stesso precisa se la procedura di regolarizzazione sia stata promossa, riportandosi invece alla errata tesi secondo cui le ricorrenti non potessero beneficiarne. ( Precedenti: O. 280/2020 - mass. 43593, O. 210/2020 - mass. 42932; O. 92 del 2020 - mass. 43389 ).
L'ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato promosso dal singolo parlamentare è subordinata alla sussistenza di una manifesta lesione delle sue proprie prerogative costituzionali, da apprezzarsi favorevolmente fin dalla fase di ammissibilità. ( Precedenti: O. 256/2021 - mass. 44438 ; O. 255/2021 - mass. 44437 ; O. 193/2021 - mass. 44327 ; O. 188/2021 - mass. 44209 ; O. 186/2021 - mass. 44181 ; O. 67/2021 - mass. 43797 ; O. 66/2021 - mass. 43780 ; O. 197/2020 - mass. 42909 ; O. 176/2020 - mass. 42352 ; O. 129/2020 - mass. 43535 ; O. 86/2020 - mass. 43341 ; O. 60/2020 - mass. 41938 ; O. 275/2019 - mass. 40942 ; O. 274/2019 - mass. 40941 ; O. 17/2019 - mass. 41933 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso in riferimento agli artt. 1, 3, 16, 32, 67, 70, 71, 72 e 117 Cost. dai deputati Pino Cabras, Emanuela Corda, Simona Suriano e Andrea Vallascas e dal senatore Pietro Lorefice, sorto a seguito del d.l. n. 229 del 2021, e, in particolare, dell'art. 1, comma 2, il quale, in vigore dal 10 gennaio 2022 e fino alla cessazione dello stato d'emergenza epidemiologica da COVID-19, subordina l'accesso ai mezzi di trasporto pubblico e il loro utilizzo al possesso del c.d. super green pass , ossia delle certificazioni verdi COVID-19 rilasciate unicamente alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale contro l'infezione da SARS-CoV-2 o ne sono completamente guarite, ferma restando l'esenzione per i minori di dodici anni e i soggetti dispensati dalla vaccinazione per ragioni mediche. I ricorrenti non evidenziano alcuna manifesta violazione delle loro prerogative costituzionali, in quanto la disposizione oggetto di conflitto regola le condizioni di accesso al trasporto pubblico da parte della collettività e non ha per oggetto le specifiche attribuzioni dei parlamentari, incise in via fattuale e di riflesso. Difetta inoltre palesemente la rilevanza della medesima norma, per la quale i ricorrenti hanno chiesto in via subordinata alla Corte costituzionale l'autorimessione).
Il diritto di petizione, previsto dall'art. 50 Cost., si configura quale diritto individuale, sebbene esercitabile collettivamente, regolato nella Parte I della Costituzione tra i rapporti politici, e non quale attribuzione costituzionale; non ci si trova, infatti, innanzi a una funzione attribuita dalla Costituzione a un determinato numero di cittadini o elettori, ma a un diritto del singolo, che mai potrebbe trovare tutela, quand'anche impedito, in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. ( Precedente: O. 85/2009 - mass. 33258 ). Le attribuzioni suscettibili di generare un conflitto non possono che essere quelle previste nella Parte II della Costituzione, dedicata all'ordinamento della Repubblica. ( Precedenti: O. 39/2019 - mass. 42191; O. 164/2018 - mass. 40096; O. 277/2017 - mass. 39733; O. 256/2016 - mass. 39171; O. 121/2011 - mass. 35556 ). La natura, il contenuto e gli effetti giuridici del diritto di petizione lo differenziano dagli istituti dell'iniziativa legislativa e del referendum abrogativo dal momento che siffatti istituti, facenti parte dell'ordinamento della Repubblica, sono espressione della volontà popolare, esercitata da quorum di elettori predefiniti dalla stessa Costituzione, mentre la petizione, proprio perché mero diritto individuale, può essere presentata da qualsiasi cittadino e la sua natura non cambia ove sottoscritta da più cittadini. La presentazione di una petizione non determina un obbligo per le Camere di deliberare sulla stessa, né tantomeno di recepirne i contenuti, bensì un mero dovere di acquisirne il testo e assegnarlo alle commissioni competenti, come conferma la disciplina prevista nei regolamenti parlamentari. (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dall'avvocato Daniele Gradara, in proprio e come rappresentante dei firmatari della petizione relativa al procedimento di conversione del d.l. n. 111 del 2021, avente ad oggetto l'obbligo di certificazione verde COVID-19, c.d. Green Pass, nei confronti di entrambe le Camere, del Presidente del Consiglio dei ministri, del Consiglio dei ministri e del Presidente della Repubblica, in seguito all'omesso esame da parte delle Camere della detta petizione. La mancanza dei requisiti di ammissibilità del conflitto preclude l'esame della richiesta di autorimessione della questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 111 del 2021, come convertito, tra l'altro manifestamente irrilevante, per la carenza del necessario nesso di pregiudizialità tra la risoluzione della questione medesima e la definizione del giudizio. ( Precedenti: S. 313/2013 - mass. 37925; O. 101/2000 - mass. 25217 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Spoleto in riferimento agli artt. 70 e 77 Cost. - dell'art. 3, comma 1, lett. d ), del d.l. n. 28 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 70 del 2020, nella parte in cui, introducendo l'ultimo periodo nel comma 12- bis dell'art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n. 27 del 2020, ha stabilito che, nel periodo compreso tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, «la modalità ordinaria di partecipazione all'udienza penale fosse quella "in presenza"». All'atto della rimessione, il giudice a quo non poteva più fare applicazione della disposizione censurata - che, nel ripristinare la regola generale delle udienze penali in presenza, prevedeva la possibilità per le parti di esprimere il consenso per l'udienza da remoto al fine di ridurre la diffusione del contagio da COVID-19 - in quanto non ha assolto per tempo, ovvero, come si ricava da ragioni di ordine sistematico e da una lettura costituzionalmente orientata, prima dell'udienza nel corso della quale le questioni sono state sollevate, all'obbligo di interpello previsto dal citato art. 83, comma 12- bis, così consumando qualsiasi suo potere al riguardo. ( Precedenti citati: sentenza n. 102 del 2016; ordinanze n. 214 del 2018 e n. 35 del 1998 ). La garanzia del diritto di difesa richiede che le parti, e in particolare l'imputato, debbano essere informate con ragionevole anticipo della data, dell'ora e delle modalità di svolgimento dell'udienza, così da esprimere il loro eventuale consenso alla partecipazione alla medesima udienza da remoto.
È dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione attiva, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso, per violazione degli artt. 67 e 70 Cost., dalla deputata Sara Cunial, nei confronti della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e del Governo, in relazione a tutti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e a tutti i decreti e le ordinanze ministeriali adottati, fino alla data di deposito del ricorso, per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, con richiesta di sollevare d'ufficio questione di costituzionalità di quattro decreti-legge e delle relative leggi di conversione, che hanno attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri un potere di emergenza e di deroga a tutti i diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Dalla narrativa del ricorso emerge come non sia mancato il confronto parlamentare e come i deputati abbiano avuto la possibilità di esercitare le proprie funzioni costituzionali, principalmente in sede di conversione in legge dei decreti-legge indicati in ricorso. Inoltre, la lamentata traslazione della potestà concreta legislativa dal Parlamento e/o dal Governo su delega del medesimo, verso il Presidente del Consiglio od addirittura a favore dei singoli ministri, sarebbe semmai idonea a menomare le attribuzioni dell'intera Camera cui appartiene la ricorrente, posto che la funzione legislativa, per dettato costituzionale, è esercitata collettivamente dalle due Camere, ed è pertanto la Camera di appartenenza, e non il singolo parlamentare, legittimata a valutare l'opportunità di reagire avverso le supposte violazioni. ( Precedenti citati: ordinanze n. 129 del 2020, n. 60 del 2020, n. 275 del 2019, n. 274 del 2019, n. 17 del 2019, n. 181 del 2018 e n. 163 del 2018 ). La legittimazione attiva del singolo parlamentare deve essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo, ossia alle menomazioni censurabili in sede di conflitto. In particolare, tale legittimazione deve fondarsi sull'allegazione di vizi che determinano violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari ed è necessario che tali violazioni siano rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione. ( Precedenti citati: ordinanze n. 60 del 2020, n. 275 del 2019, n. 274 del 2019 e n. 17 del 2019 ).
È dichiarato estinto - per rinuncia al ricorso, accettata dal Governo costituito in giudizio - il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale dell'intero testo del d.l. n. 113 del 2018 e della legge di conversione n. 132 del 2018, promosse dalla Regione Piemonte, rispettivamente in riferimento all'art. 77 ed agli artt. 70 e 72 Cost., e, in via subordinata, degli artt. 1, 9, 12, commi 5 e 6, 13 e 14 del suddetto d.l., per violazione degli artt. 2, 3, 10, 32, 38, 97, 114, 117, primo comma, in relazione agli artt. 2, 3, 5, 6 e 8 CEDU, 117, terzo, quarto e settimo comma, 118 e 119 Cost., nonché degli artt. 21, comma 1, lett. a ), 30, comma 1, e 31- ter del medesimo d.l., per violazione degli artt. 2, 3, 10, 32, 42, 47, secondo comma, 97, 117, primo comma, in relazione all'art. 8 CEDU, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119, quinto comma, Cost. Nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, la rinuncia al ricorso, accettata dalla controparte costituita, determina, ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l'estinzione del processo. ( Precedenti citati: ordinanze n. 267 del 2019, n. 211 del 2019, n. 190 del 2019, n. 183 del 2019 e n. 136 del 2019 ).
La funzione legislativa (art. 70 Cost.) può esprimersi, ad opera del legislatore statale o regionale, anche con disposizioni interpretative, selezionando un significato normativo di una precedente disposizione, quella interpretata, la quale sia originariamente connotata da un certo tasso di polisemia e quindi sia potenzialmente suscettibile di esprimere più significati secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge. La norma che risulta dalla saldatura della disposizione interpretativa con quella interpretata ha quel contenuto fin dall'origine e in questo senso può dirsi retroattiva. Il legislatore può infatti adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni, anche in mancanza di contrasti giurisprudenziali, purché la scelta "imposta" dalla legge interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario. ( Precedenti citati: sentenze n. 167 del 2018, n. 15 del 2018, n. 525 del 2000 e n. 118 del 1957 ). In generale, la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri dell'interpretazione della legge. Si crea così un rapporto duale tra le disposizioni, tale che il sopravvenire della norma interpretativa non fa venir meno, né sostituisce, la disposizione interpretata, ma l'una e l'altra si saldano dando luogo ad un precetto normativo unitario ( Precedente citato: sentenza n. 397 del 1994 ). Il generale principio secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire e, di norma, non ha effetto retroattivo (art. 11, primo comma, disp. prel. cod. civ.), trova applicazione anche alle leggi regionali, poiché non può assumere per il legislatore regionale altro e diverso significato da quello che esso ha per il legislatore statale ( Precedente citato: sentenza n. 376 del 2004 ). La circostanza che una disposizione, a dispetto della propria auto-qualificazione, non abbia in realtà natura interpretativa può essere sintomo dell'uso improprio della funzione legislativa di interpretazione autentica, ma non la rende per ciò solo costituzionalmente illegittima, bensì incide sull'ampiezza del sindacato che la Corte costituzionale deve effettuare sulla norma in ragione della sua retroattività; in particolare, la erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pure non dirimente, della sua irragionevolezza quanto alla retroattività del novum introdotto nel contesto del bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalità che abbia ad oggetto norme retroattive. ( Precedenti citati: sentenze n. 108 del 2019 e n.73 del 2017 ).
Sono dichiarate inammissibili, per grave carenza del percorso argomentativo, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Calabria, in riferimento agli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla CDFUE, all'art. 3 TUE, all'art. 6 CEDU - nonché all'art. 119, sesto comma, in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost., dell'art. 38, commi 1- terdecies , 2- bis e 2- ter del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, che consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 18 del 2019, di riproporre i piani per adeguarli alla normativa vigente, anche quando gli stessi siano stati già oggetto di pronuncia della Corte dei conti. Il giudice a quo - nell'evocare cumulativamente una pluralità di parametri, alcuni dei quali interposti, e di princìpi di ampio respiro, e ciò anche in riferimento a norme che hanno un diverso contenuto precettivo - non motiva adeguatamente in ordine all'asserito contrasto e non specifica quali dei differenti precetti espressi dai parametri evocati sarebbero stati in concreto lesi dalle disposizioni censurate; né, inoltre, dà conto delle ragioni per cui le disposizioni censurate sarebbero ascrivibili alla categoria della legge-provvedimento, affermandolo in maniera meramente assertiva, senza alcun elemento concreto utile a darne riscontro. Per consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, non basta l'indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. ( Precedente citato: sentenza n. 212 del 2018 ).
Sono dichiarati inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato - promossi con separati ricorsi dai Presidenti, dai componenti dei gruppi parlamentari presso la Camera dei deputati «Forza Italia - Berlusconi Presidente», «Lega Salvini Premier» e «Fratelli d'Italia», nonché dai medesimi gruppi - nei confronti complessivamente del Governo, del Presidente e della V^ Commissione permanente (Bilancio, Tesoro e programmazione), della Conferenza dei capigruppo, del Presidente, dell'Assemblea e dei relatori della Camera dei deputati, nonché degli organi corrispondenti presso il Senato, per violazione degli artt. 67, 68, 69, 70, 71, 72, 81 e 94 Cost. - avverso la legge n. 160 del 2019 e il relativo iter di approvazione, ai fini dell'accertamento dell'avvenuta violazione delle prerogative costituzionali spettanti agli stessi ricorrenti, chiedendo altresì l'annullamento dei relativi atti, ivi compresa la legge n. 160 del 2019. Nel caso di specie - in cui si censura l'approvazione del disegno di legge di bilancio a seguito della presentazione al Senato di un maxi-emendamento, su cui il Governo ha posto la questione di fiducia, cui ha fatto seguito un esame in tempi ridotti alla Camera, ove nel corso del dibattito in Assemblea è stata ancora posta la questione di fiducia sull'art. 1, nel testo approvato dal Senato - non sono state prospettate evidenti lesioni delle prerogative dei parlamentari, in quanto dalla sequenza oggettiva dei fatti non emerge un irragionevole squilibrio fra le esigenze in gioco nelle procedure parlamentari e, quindi, un vulnus delle attribuzioni dei parlamentari grave e manifesto. Il documento di economia e finanza (DEF), infatti, era stato approvato da un Governo diverso da quello che ha poi presentato il disegno di legge di bilancio, insediatosi solo nel settembre del 2019, cosa da cui è derivata una presentazione tardiva del progetto di bilancio alle Camere (avvenuta il 2 novembre 2019), con allungamento dei tempi d'esame in prima lettura al Senato, comunque espressivo di un'interlocuzione parlamentare. Il disegno di legge di bilancio è stato così trasmesso alla Camera il 17 dicembre 2019, periodo che, pur ridotto, ha comunque consentito una fase di esame in Commissione Bilancio, tanto che i deputati hanno presentato 1130 emendamenti (e 800 in Assemblea), mentre la loro mancata votazione e reiezione è stata anche conseguenza della scelta delle opposizioni di non partecipare ai lavori della Commissione, in seguito alla decisione del Governo di fornire parere contrario - come era nella sua indiscussa facoltà - sul complesso degli emendamenti, al fine di evitare l'esercizio provvisorio. ( Precedenti citati: ordinanza n. 17 del 2019 ). Il singolo parlamentare può ritenersi legittimato a sollevare conflitto di attribuzione solo quando siano prospettate violazioni manifeste delle prerogative costituzionali dei parlamentari rilevabili nella loro evidenza già in sede di sommaria delibazione; di conseguenza, è necessario che il parlamentare alleghi e comprovi una sostanziale negazione o un'evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita al ricorrente, a tutela della quale è apprestato il rimedio giurisdizionale ex art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953. Le circostanze giustificative del conflitto tra poteri dello Stato promosso dal singolo parlamentare richiamate dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 17 del 2019, trattandosi di ragioni riferite a uno specifico caso concreto, non costituiscono una tassonomia esaustiva di elementi giustificativi. ( Precedente specifico citato: ordinanza n. 17 del 2019 ).