Articolo 100 - COSTITUZIONE

Il Consiglio di Stato e' organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione. La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. La legge assicura l'indipendenza dei due Istituti e dei loro componenti di fronte al Governo.
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Massime della Corte Costituzionale

Trovate 10 massime

Pronuncia 178/2022Depositata il 15/07/2022

Giustizia amministrativa - Riparto di giurisdizione - Controversie risarcitorie per i danni conseguenti a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, nella gestione del ciclo dei rifiuti - Devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nella lettura offerta dal diritto vivente - Denunciata violazione dei principi costituzionali sul riparto di giurisdizione - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni. (Classif. 125007).

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Reggio Calabria in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 100, primo comma, 102, 103, primo comma, 111 e 113, primo comma, Cost., dell'art. 133, comma 1, lett. p ), cod. proc. amm., che, nella lettura offerta dal diritto vivente, devolverebbe alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie risarcitorie per i danni conseguenti a comportamenti meramente materiali della pubblica amministrazione, nella gestione del ciclo dei rifiuti. Le censure prospettate muovono da un presupposto interpretativo erroneo, in quanto l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, richiamato dal rimettente, si pone nell'alveo delle indicazioni della Corte costituzionale sui limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che può conoscere solo comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione nell'esercizio, anche in via mediata, di poteri pubblici. Restano quindi necessariamente fuori dall'ambito di applicazione della disposizione censurata le controversie risarcitorie per danni cagionati da meri comportamenti in nessun modo riconducibili a detti poteri, che rientrano invece nella giurisdizione del giudice ordinario. ( Precedenti: O. 167/2011 - mass. 35655; S. 35/2010 - mass. 34312; S. 191/2006 - mass. 30401; S. 204/2004 - mass. 28357 ).

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 133, comma 1

Pronuncia 115/2020Depositata il 23/06/2020

Bilancio e contabilità pubblica - Piani di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali (PREP) - Riformulazione in base a disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima - Possibile riproposizione, anche se già oggetto di pronuncia della Corte dei conti - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e certezza del diritto, di effettività della tutela giurisdizionale, del giusto processo, della separazione dei poteri e del principio, anche convenzionale, del legittimo affidamento - Grave carenza del percorso argomentativo - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per grave carenza del percorso argomentativo, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Calabria, in riferimento agli artt. 3, 24, 70, 100, 102, primo comma, 103, 104, primo comma, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., - quest'ultimo in relazione al Preambolo alla CDFUE, all'art. 3 TUE, all'art. 6 CEDU - nonché all'art. 119, sesto comma, in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 Cost., dell'art. 38, commi 1- terdecies , 2- bis e 2- ter del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, che consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione o riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 18 del 2019, di riproporre i piani per adeguarli alla normativa vigente, anche quando gli stessi siano stati già oggetto di pronuncia della Corte dei conti. Il giudice a quo - nell'evocare cumulativamente una pluralità di parametri, alcuni dei quali interposti, e di princìpi di ampio respiro, e ciò anche in riferimento a norme che hanno un diverso contenuto precettivo - non motiva adeguatamente in ordine all'asserito contrasto e non specifica quali dei differenti precetti espressi dai parametri evocati sarebbero stati in concreto lesi dalle disposizioni censurate; né, inoltre, dà conto delle ragioni per cui le disposizioni censurate sarebbero ascrivibili alla categoria della legge-provvedimento, affermandolo in maniera meramente assertiva, senza alcun elemento concreto utile a darne riscontro. Per consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, non basta l'indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell'una rispetto al contenuto precettivo dell'altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione. ( Precedente citato: sentenza n. 212 del 2018 ).

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 38, comma 2
  • decreto-legge-Art. 38, comma 2
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 38, comma 1

Parametri costituzionali

Pronuncia 105/2019Depositata il 02/05/2019

Bilancio e contabilità pubblica - Enti locali - Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale - Enti locali che, avviata detta procedura, non abbiano rispettato il termine - Proroga, mediante disposizione introdotta in sede di conversione di decreto-legge, del termine per deliberare un nuovo piano - Condizione - Avvenuto conseguimento di un miglioramento di bilancio - Denunciato pregiudizio all'unità economica della Repubblica, violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza, dell'equilibrio di bilancio, di sana gestione finanziaria dell'amministrazione, di coordinamento della finanza pubblica, di certezza del diritto, separazione dei poteri ed effettività della tutela giurisdizionale, del diritto di agire in giudizio e dei principi, tutelati anche in via convenzionale, di ragionevole durata del processo e di parità delle parti, nonché difetto di urgenza e di omogeneità al contenuto del decreto-legge - Insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo - Conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte dei conti, sez. di controllo per la reg. Siciliana in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 77, 81, 97, 100, 101, 103, 111, 113, 117, commi primo e terzo, 119, primo comma, e 120 Cost., nonché in relazione all'art. 243- quater , commi 5 e 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, all'art. 15 della legge n. 400 del 1988 e all'art. 6, par. 1, CEDU - dell'art. 5, comma 11- septies , del d.l. n. 244 del 2016, conv., con modif., nella legge n. 19 del 2017, in quanto prevede - per gli enti locali che, alla data di entrata in vigore della legge di conversione, pur avviata la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, non abbiano rispettato il termine previsto, non conseguendo l'accoglimento del relativo piano - la proroga del termine per poter deliberare un nuovo piano di riequilibrio finanziario pluriennale al 30 aprile 2017, a condizione dell'avvenuto conseguimento di un miglioramento di bilancio (inteso quale aumento dell'avanzo di amministrazione o diminuzione del disavanzo di amministrazione, registrato nell'ultimo rendiconto approvato dall'ente locale). Il rimettente fornisce un'insufficiente descrizione della fattispecie, non avendo proposto alcun argomento in ordine alla esistenza del presupposto del miglioramento dei conti dell'ente locale, non essendo sufficiente a tal fine prospettare un vizio astratto della fattispecie legale, senza un aggancio eziologico al caso concreto da decidere. ( Precedenti citati: sentenze n. 49 del 2018 e n. 274 del 2017 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, l'insufficiente descrizione della fattispecie si traduce in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate, con conseguente inammissibilità delle stesse. ( Precedente citato: sentenza n. 224 del 2018 ).

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 5, comma 11
  • legge-Art.

Parametri costituzionali

Pronuncia 18/2019Depositata il 14/02/2019

Giudice rimettente - Corte dei conti, sezione regionale di controllo, in sede di vigilanza sull'esecuzione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale - Legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità.

La Corte dei conti, in sede di controllo sull'attuazione e sul rispetto del piano di riequilibrio finanziario - assimilabile al controllo preventivo di legittimità sugli atti, al pari di quello nell'ambito dei giudizi di parificazione - ha legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948, e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, in ragione della sua particolare posizione istituzionale e della natura delle sue attribuzioni di controllo. Anzitutto, la Corte dei conti è composta di magistrati, dotati delle più ampie garanzie di indipendenza e la sua natura è di unico organo di controllo che goda di una diretta garanzia in sede costituzionale. In secondo luogo, il giudizio sugli atti sottoposti a controllo si risolve nel valutarne la conformità alle norme del diritto oggettivo, a esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico, in funzione cioè di garanzia dell'ordinamento, di controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato preordinato a tutela del diritto oggettivo. Peraltro, il controllo di legittimità-regolarità sui bilanci presenta - rispetto al controllo sugli atti - un ulteriore carattere che lo avvicina ancor più al sindacato giurisdizionale, perché l'accertamento effettuato nell'esercizio di questo sindacato di legittimità sui bilanci "fa stato" nei confronti delle parti, una volta decorsi i termini di impugnazione del provvedimento davanti alla Corte dei conti, sezioni riunite in speciale composizione, dunque è munito di una definitività che non è reversibile se non a opera della stessa magistratura dalla quale il provvedimento promana. ( Precedenti citati: sentenze n. 196 del 2018, n. 188 del 2015, n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976 ). Quando l'accesso al sindacato della Corte costituzionale è reso poco agevole, come accade in relazione ai profili attinenti all'osservanza di norme poste a tutela della sana gestione finanziaria e degli equilibri di bilancio, è auspicabile che i meccanismi di accesso debbano essere arricchiti. La Corte dei conti è la sede più adatta a far valere quei profili, e ciò in ragione della peculiare natura dei suoi compiti, essenzialmente finalizzati alla verifica della gestione secundum legem delle risorse finanziarie. ( Precedente citato: sentenza n. 406 del 1989 ). Il sindacato della Corte dei conti sui bilanci degli enti territoriali è ascrivibile alla categoria del controllo di legittimità. La forma della sentenza (articolata in motivazione in diritto e dispositivo) con cui si configurano le delibere di controllo sulla legittimità dei bilanci e delle gestioni finanziarie a rischio di dissesto - e la sottoposizione di tali delibere alla giurisdizione esclusiva delle sez. riunite della Corte dei conti in speciale composizione - determinano un'integrazione della funzione giurisdizionale e di quella di controllo, geneticamente riconducibile al dettato costituzionale (artt. 100 e 103 Cost.) in materia di contabilità pubblica, ove sono custoditi interessi costituzionalmente rilevanti, sia adespoti (e quindi di difficile giustiziabilità), sia inerenti alle specifiche situazioni soggettive la cui tutela è affidata, ratione materiae, alla giurisdizione a istanza di parte della magistratura. ( Precedenti citati: sentenze n. 40 del 2014, n. 39 del 2014 e n. 60 del 2013 ). La funzione di vigilanza-ingerenza della Corte dei conti, che presenta una cadenza semestrale (art. 243-quater, comma 6, del T.U. enti locali), va inquadrata nella categoria del controllo di legittimità-regolarità, e risponde all'esigenza di un intervento rapido e tempestivo, prima che "la deviazione dal percorso fissato" dal piano di risanamento diventi irreversibile e conduca al dissesto dell'ente. ( Precedente citato: sentenza n. 228 del 2017 ).

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 100
  • Costituzione-Art. 103
  • legge costituzionale-Art. 1
  • legge-Art. 23
  • decreto legislativo-Art. 243

Pronuncia 124/2017Depositata il 26/05/2017

Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sulla non manifesta infondatezza - Argomentazioni non assertive né generiche, avvalorate dal richiamo alla pertinente giurisprudenza costituzionale - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza - delle questioni incidentali di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, sollevate in riferimento agli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost. Le censure di violazione di tali parametri sono formulate in termini tutt'altro che assertivi e generici e sono suffragate dal richiamo alla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 223 del 2012 e n. 1 del 1978) che ha approfondito il rapporto tra l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e la disciplina del trattamento retributivo dei magistrati.

Norme citate

  • legge-Art. 1, comma 489

Parametri costituzionali

Pronuncia 124/2017Depositata il 26/05/2017

Prospettazione della questione incidentale - Motivazione sulla non manifesta infondatezza - Argomentazione autonoma, avvalorata dal richiamo alla pertinente giurisprudenza costituzionale - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per motivazione lacunosa sulla non manifesta infondatezza - della questione di legittimità costituzionale degli artt. 23-ter del d.l. n. 201 del 2011 (conv., con modif., nella legge n. 214 del 2011) e 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014 (conv., con modif., nella legge n. 89 del 2014), sollevate in riferimento agli artt. 100, 101, 104 e 108 Cost. Le censure del rimettente sono avvalorate dal richiamo alla pertinente giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 223 del 2012 e n. 1 del 1978) e illustrate da argomenti che non possono definirsi insufficienti o apodittici.

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 23 TER
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 13, comma 1
  • legge-Art.

Parametri costituzionali

Pronuncia 124/2017Depositata il 26/05/2017

Impiego pubblico - Retribuzioni del settore pubblico - Fissazione di un limite massimo (c.d. "tetto retributivo"), pari alla retribuzione lorda del Primo Presidente della Corte di cassazione - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalità della retribuzione, del diritto al lavoro e dell'autonomia e indipendenza della magistratura - Insussistenza dei vizi prospettati - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal TAR Lazio in riferimento agli artt. 3, 4, 36, 38, 100, 101, 104 e 108 Cost. - dell'art. 23-ter del d.l. n. 201 del 2011 (conv., con modif., nella legge n. 214 del 2011) e dell'art. 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014 (conv., con modif., nella legge n. 89 del 2014), che impongono alle retribuzioni del settore pubblico un limite massimo commisurato alla retribuzione lorda del Primo Presidente della Corte di cassazione (attualmente pari a 240.000 euro annui). La disciplina censurata - iscrivendosi in un contesto di risorse limitate, che devono essere ripartite in maniera congrua e trasparente - trascende la finalità di conseguire risparmi immediati e persegue finalità di contenimento della spesa nel lungo periodo (con risparmi certi, pur se quantificabili solo "a consuntivo") nonché di razionalizzazione dell'intero comparto pubblico, in una prospettiva di garanzia degli altri interessi generali coinvolti, ponendo anche rimedio alle differenziazioni fra i trattamenti retributivi delle figure di vertice dell'amministrazione e concorrendo agli obiettivi di più ampio spettro volti a rendere trasparente la gestione delle risorse pubbliche. La valenza generale del "tetto retributivo" - suscettibile di imporsi a tutti gli apparati amministrativi - esclude che esso interferisca indebitamente con l'autonomia e l'indipendenza della magistratura (costituzionalmente presidiate anche per quel che attiene agli aspetti retributivi). La commisurazione del "tetto" alla retribuzione (e dunque alle funzioni) di una carica di rilievo e prestigio indiscussi - qual è il Primo Presidente della Cassazione - non risulta inadeguata e tale da violare il diritto al lavoro o svilire l'apporto professionale delle figure più qualificate, garantendo invece che il nesso tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto sia salvaguardato anche con riguardo alle prestazioni più elevate. ( Precedenti citati: sentenza n. 153 del 2015, sulla estensibilità del limite retributivo alle autonomie territoriali; sentenze n. 178 del 2015 e n. 310 del 2013, sulle misure aventi valenza generale; sentenze n. 223 del 2012 e n. 1 del 1978, sul rapporto fra trattamento retributivo e autonomia e indipendenza dei magistrati ).

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 23 TER
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 13, comma 1
  • legge-Art.

Pronuncia 124/2017Depositata il 26/05/2017

Impiego pubblico - Cumulo tra retribuzioni e pensioni a carico delle finanze pubbliche - Fissazione di un limite massimo di 240.000 euro annui - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalità della retribuzione e della pensione, di buon andamento dell'amministrazione, nonché del diritto al lavoro e dell'autonomia e indipendenza della magistratura - Insussistenza dei vizi prospettati - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal TAR Lazio in riferimento agli artt. 3, 4, 36, 38, 95, 97, 100, 101, 104 e 108 Cost. - dell'art. 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, il quale vieta alle amministrazioni e agli enti pubblici di erogare, a beneficio di soggetti già titolari di trattamenti pensionistici erogati da gestioni previdenziali pubbliche, trattamenti economici onnicomprensivi che, sommati al trattamento pensionistico, superino il limite di 240.000 euro annui. Il carattere limitato delle risorse pubbliche giustifica la necessità di una predeterminazione complessiva (modellata su un parametro prevedibile e certo) di quelle impiegabili dall'amministrazione a titolo di retribuzioni e pensioni, e non consente una considerazione parziale della retribuzione e del trattamento pensionistico. Inquadrata in tale contesto, la norma censurata, ancorata a una cifra predeterminata corrispondente all'attuale retribuzione del Primo Presidente della Corte di cassazione, attua un contemperamento non irragionevole dei principi costituzionali - dei quali il legislatore è chiamato a garantire una tutela sistemica, non frazionata - e non sacrifica in maniera indebita il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, né compromette in misura arbitraria e sproporzionata il diritto al lavoro del pensionato, libero di esplicarsi nelle forme più convenienti. Neppure può ritenersi - stante la sua portata generale - che l'assetto prefigurato dal legislatore pregiudichi l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, o che ingeneri di per sé arbitrarie discriminazioni tra i consiglieri di Stato e della Corte dei conti di nomina governativa e i consiglieri per concorso. Nulla esclude che il legislatore prefiguri soluzioni diverse e moduli in senso più duttile il cumulo tra pensioni e retribuzioni, anche in rapporto alle mutevoli esigenze di riassetto complessivo della spesa.

Norme citate

  • legge-Art. 1, comma 489

Pronuncia 104/2016Depositata il 12/05/2016

Corte dei conti - Rendiconti presentati dai gruppi consiliari regionali del Veneto per l'esercizio finanziario 2013 - Spese sostenute per incarichi defensionali davanti alla giurisdizione amministrativa - Spese effettuate dal 1° gennaio al 16 febbraio 2013 - Deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, 11 aprile 2014, n. 269, che ne ha dichiarato l'irregolarità - Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione Veneto - Censure di erroneità del disconoscimento della regolarità delle spese effettuate e di illegittimità del controllo, non attinenti all'invasione della sfera costituzionale della ricorrente - Inammissibilità del ricorso.

Sono inammissibili, per difetto di tono costituzionale, il secondo e il terzo motivo del ricorso per conflitto di attribuzione tra enti, promosso - in riferimento a molteplici parametri costituzionali, al d.l. n. 174 del 2012 nonché al principio di leale collaborazione - dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione alla deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, 11 aprile 2014, n. 269, con cui è stata dichiarata l'irregolarità dei rendiconti presentati dai gruppi consiliari regionali per l'esercizio finanziario 2013 nei limiti e per gli importi ivi indicati. La ricorrente ha lamentato l'erroneità del disconoscimento della regolarità delle spese sostenute per incarichi defensionali davanti alla giurisdizione amministrativa e l'illegittimità del controllo in relazione alle spese effettuate dal 1° gennaio al 16 febbraio 2013 ovverossia prima dell'entrata in vigore del d.P.C.m 21 dicembre 2012 (Recepimento delle linee guida sul rendiconto di esercizio annuale approvato dai gruppi consiliari dei consigli regionali, ai sensi dell'art. 1, comma 9, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213). In entrambi i casi, oggetto delle doglianze non è l'invasione della sfera costituzionale della ricorrente ma la mera illegittimità della funzione esercitata, che deve essere fatta valere innanzi alla giurisdizione comune. Nella prima ipotesi, infatti, la Regione non contesta l'esercizio di un potere radicalmente diverso da quello per legge spettante alla Corte dei conti, e per ciò solo incidente sulle sue prerogative costituzionali di autonomia, bensì la mera violazione dei criteri contenuti nel d.P.C.m; nel secondo caso, poi, contesta non l'esistenza stessa del potere di controllo sui rendiconti relativi all'anno 2013 nella loro globalità, ma il fatto che, per le spese anteriori all'entrata in vigore del d.P.C.m., il controllo sia stato effettuato alla stregua di criteri non ancora emanati. Per l'inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione proposti contro atti meramente consequenziali (confermativi, riproduttivi, esplicativi, esecutivi, etc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati, v. le citate sentenze nn. 130/2014, 144/2013, 207/2012 e 369/2010. Sulla qualificazione dei gruppi consiliari come organi del Consiglio regionale, v. la sentenza n. 39/2014. Sulla legittimazione regionale a proporre conflitto di attribuzione tra enti in ragione della lamentata lesione delle prerogative dei gruppi consiliari, v. le citate sentenze nn. 107/2015, 130/2014, 252/2013, 195/2007 e 163/1997. Sulla sussistenza di tono costituzionale del conflitto nel caso venga prospettato l'esercizio di un potere radicalmente diverso da quello attribuito dalla legge, essendo integrata un'ipotesi di lamentata carenza di potere in concreto che incide sulle prerogative costituzionali della ricorrente, v. le citate sentenze nn. 235/2015, 263/2014, 137/2014 e 380/2007. Sulla necessità di far valere davanti alla giurisdizione comune le doglianze, non di invasione della sfera costituzionale della parte ricorrente, ma di mera illegittimità della funzione esercitata, v. le citate sentenze nn. 263/2014, 52/2013, 305/2011, 412/2008, 235/2008 e 380/2007.

Norme citate

  • Deliberazione Corte dei conti, sez. reg. di controllo-Art.

Pronuncia 104/2016Depositata il 12/05/2016

Corte dei conti - Rendiconti presentati dai gruppi consiliari regionali del Veneto per l'esercizio finanziario 2013 - Deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, 11 aprile 2014, n. 269, che ne ha dichiarato l'irregolarità - Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti promosso dalla Regione Veneto - Lamentato esercizio di sindacato di merito interferente con l'autonomia politica dei gruppi - Asserita violazione dell'autonomia e delle attribuzioni regionali - Insussistenza - Controllo volto ad accertare la conformità delle spese rendicontate ai criteri di veridicità e correttezza contenuti nelle linee guida - Dichiarazione che spettava alla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, operare la verifica della regolarità dei rendiconti consiliari sulla base dei criteri individuati dal d.P.C.m. 21 dicembre 2012.

Spettava alla Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Veneto, operare la verifica della regolarità dei rendiconti consiliari sulla base dei criteri individuati dal d.P.C.m. 21 dicembre 2012 (Recepimento delle linee guida sul rendiconto di esercizio annuale approvato dai gruppi consiliari dei consigli regionali, ai sensi dell'art. 1, comma 9, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213). Nessun controllo di merito risulta essere stato effettuato poiché la deliberazione 11 aprile 2014, n. 269 - impugnata dalla Regione Veneto in riferimento a molteplici parametri costituzionali, al d.l. n. 174 del 2012 nonché al principio di leale collaborazione - non ha svolto valutazioni dirette a sindacare l'opportunità, l'utilità o la proficuità delle spese. La sezione regionale di controllo, al contrario, si è attenuta ai principi sanciti dall'art. 1, comma 11, del d.l. n. 174 del 2012 nonché dal menzionato d.P.C.m., effettuando un controllo volto ad accertare la conformità delle spese rendicontate ai criteri di veridicità e correttezza contenuti nelle linee guida. Le censurate richieste di chiarimenti e di integrazione documentale e il lamentato controllo analitico della documentazione prodotta dai gruppi a supporto dei rendiconti, poi, appaiono nient'altro che lo strumento indicato dal legislatore, oltre che logicamente necessario, per valutare l'inerenza delle spese ai fini istituzionali. Per l'inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione proposti contro atti meramente consequenziali (confermativi, riproduttivi, esplicativi, esecutivi, etc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati, v. le citate sentenze nn. 130/2014, 144/2013, 207/2012 e 369/2010. Sulla qualificazione dei gruppi consiliari come organi del Consiglio regionale, v. la sentenza n. 39/2014. Sulla legittimazione regionale a proporre conflitto di attribuzione tra enti in ragione della lamentata lesione delle prerogative dei gruppi consiliari, v. le citate sentenze nn. 107/2015, 130/2014, 252/2013, 195/2007 e 163/1997. Sul'affermazione in base alla quale il controllo sui rendiconti dei gruppi consiliari, anche se non deve spingersi fino ad un sindacato di merito delle scelte discrezionali rimesse all'autonomia politica dei gruppi, debba comunque ricomprendere la verifica dell'attinenza delle spese alle funzioni istituzionali svolte dai gruppi medesimi, v. la citata sentenza n. 263/2014.

Norme citate

  • Deliberazione Corte dei conti, sez. reg. di controllo-Art.

Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.