Articolo 15 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. a) e c), della legge n. 354 del 1975, censurato dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto - in riferimento all'art. 15 Cost. - nella parte in cui, secondo il "diritto vivente", consente all'amministrazione penitenziaria (anziché nei singoli casi all'autorità giudiziaria, nelle forme e in base ai presupposti di cui all'art. 18-ter ordin. penit.) di adottare, nei confronti dei detenuti in regime speciale, il divieto di ricevere dall'esterno e di spedire all'esterno libri e riviste a stampa. Anche ammettendo, a fronte dell'ampia formula dell'art. 15 Cost., che le comunicazioni siano da esso protette a prescindere dal mezzo materiale impiegato per la trasmissione del pensiero (e, dunque, anche se effettuate "in forma reale", ossia tramite lo scambio di oggetti "significanti", quali sarebbero, secondo il rimettente, le pubblicazioni a stampa, ma potrebbe essere qualsivoglia altro oggetto), la libertà di corrispondenza del detenuto è riconosciuta dall'ordinamento penitenziario - in coerenza con la condizione di legittima restrizione della libertà personale in cui egli versa - in quanto sia esplicata attraverso gli ordinari strumenti di comunicazione (in particolare, la corrispondenza epistolare, pur con le modalità e i controlli per essa previsti), e non anche nella forma anomala dello scambio diretto o per posta di oggetti aventi un significato convenzionale o estemporaneamente vicari dell'usuale supporto cartaceo. A tale prospettiva - correlata alle limitazioni imposte ai colloqui diretti con persone esterne all'ambiente carcerario e alla possibilità di ricevere e scambiare oggetti - resta palesemente estraneo il concorrente riconoscimento, ad opera degli artt. 18 e 18-ter ordin. penit., del diritto dei detenuti di ricevere (anche a mezzo posta) e di tenere con sé la stampa in libera vendita all'esterno, in quanto strumento per l'esercizio dei distinti diritti di informazione e di studio e non in quanto forma di corrispondenza nei sensi ipotizzati dal rimettente. (Precedente citato: sentenza n. 20 del 2017, sulla libertà di corrispondenza epistolare dei detenuti, salvi i limiti connessi alla necessità di affidarsi all'amministrazione penitenziaria per lo smistamento della posta). La legittima restrizione della libertà personale, cui è sottoposta la persona detenuta e che trova alla sua base un provvedimento giurisdizionale, non annulla affatto la tutela costituzionale dei diritti fondamentali, ma si riverbera inevitabilmente, in modo più o meno significativo, sulle modalità di esercizio delle altre libertà (tra cui quella di comunicazione) costituzionalmente alla prima collegate. Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l'ultimo ambito nel quale può espandersi la sua libertà individuale, e il cui esercizio, proprio per questo, non può essere rimesso alla discrezionalità dell'autorità amministrativa preposta all'esecuzione della pena detentiva. La tutela dei diritti costituzionali del detenuto opera, pur tuttavia, con le limitazioni che lo stato di detenzione necessariamente comporta. ( Precedenti citati: sentenze n. 20 del 2017, n. 26 del 1999, n. 212 del 1997 e n. 349 del 1993 ).
È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione agli artt. 2 e 15 Cost., dell'art. 244 c.p.p. censurato nella parte in cui, secondo la dominante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, prevedrebbe che il giudice del dibattimento disponga perizia ai fini della trascrizione delle intercettazioni. La disposizione denunciata è inferente posto che il lamentato vulnus non deriva, per la stessa prospettazione del rimettente, dall'ordinanza che dispone la perizia, ma dalle attività che la precedono relative alla acquisizione delle comunicazioni. Inoltre, l'intervento richiesto, finalizzato a devolvere al giudice per le indagini preliminari, anche nel corso del dibattimento, le operazioni di selezione e trascrizione delle intercettazioni, costituisce un intervento manipolativo a contenuto costituzionalmente non obbligato e anzi fortemente creativo. Infine, il rimettente ha omesso di verificare la percorribilità di un'interpretazione conforme a Costituzione della disposizione censurata, valutando la possibilità per il giudice di disporre, limitatamente al momento di acquisizione delle intercettazioni, che il dibattimento si svolga a porte chiuse.
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, lett. b ) della legge della Regione Marche 13 novembre 2001 censurato - in relazione agli artt. 3, 15, 21, 41 e 117, commi secondo, lett. s ), e terzo, Cost. - nella parte in cui vieta l'installazione di impianti per la telefonia mobile negli ( recte sugli) impianti sportivi. Premesso che il giudizio a quo ha ad oggetto l'impugnazione di un permesso a costruire concernente un impianto di telefonia mobile il quale risulta ubicato immediatamente all'esterno di una pista di pattinaggio, le questioni sono irrilevanti posto che il rimettente non deve fare applicazione della disposizione censurata. Infatti, a differenza di quanto implausibilmente ritenuto dal giudice a quo - secondo il quale il concetto di impianto sportivo comprenderebbe, oltre lo spazio destinato all'attività sportiva, anche quella parte dei percorsi di accesso esterni alla recinzione dell'impianto stesso - lo spazio fisico dell'impianto sportivo è delimitato dalla rete esterna di recinzione e non è possibile considerare come spazio di supporto l'intera rete stradale che conduce all'accesso allo stesso. L'erroneità della lettura del rimettente emerge, altresì, dalla circostanza che essendo quella censurata, una norma di divieto, di essa deve essere data necessariamente un'interpretazione restrittiva.
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 266 e seguenti cod. proc. pen., impugnati in riferimento agli artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma, Cost., non può essere dichiarata l'inammissibilità della sollevata questione per mancato assolvimento dell'onere - da cui il rimettente è in linea di principio gravato - di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che provocherebbe la lamentata lesione della Costituzione. Infatti, sebbene il giudice a quo coinvolga formalmente nello scrutinio, oltre all'art. 234 cod. proc. pen., l'intero complesso delle disposizioni regolative delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (artt. 266-271), nondimeno, dal tenore delle censure emerge chiaramente come le doglianze si appuntino essenzialmente sull'art. 266, che definisce i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, mentre il richiamo agli articoli successivi appare diretto solo ad evocare l'effetto (di sottoposizione alla disciplina da essi dettata) che conseguirebbe alla qualificazione delle registrazioni in esame come intercettazioni, anziché come documenti. Con riferimento all'onere gravante sul rimettente di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che determinerebbe la lamentata lesione della Costituzione, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 21/2003, n. 337/2000 e n. 97/2000.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 266 e seguenti cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalla Corte di cassazione, qualificata come «diritto vivente» - includono tra i documenti, anziché tra le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sottraendole così alla disciplina stabilita per queste ultime o comunque non subordinandole ad un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, le registrazioni di conversazioni (telefoniche o tra presenti) effettuate da uno degli interlocutori o dei soggetti ammessi ad assistervi, all'insaputa degli altri, d'intesa con la polizia giudiziaria ed eventualmente con strumenti da essa forniti, e comunque nell'ambito di un procedimento penale già avviato. La questione è stata sollevata sulla base di un erroneo presupposto interpretativo, in quanto l'asserita esistenza di un diritto vivente - secondo cui la registrazione occulta di una conversazione, effettuata da uno degli interlocutori o con il suo consenso, costituisce documento utilizzabile nel processo ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., anche quando sia stata operata d'intesa con la polizia giudiziaria e con mezzi tecnici da essa forniti - risulta smentita sia da contrarie decisioni della Corte di legittimità, sia dai principi generali in materia processuale evocati dal rimettente. Un primo orientamento giurisprudenziale reputa applicabile alle registrazioni in questione la disciplina di garanzia in materia di intercettazioni almeno nel caso in cui vengano utilizzati apparecchi radiotrasmittenti mediante i quali terzi estranei siano posti in grado di ascoltare il colloquio in tempo reale, mentre un secondo indirizzo ritiene l'inutilizzabilità di tali registrazioni per surrettizio aggiramento delle regole sulle intercettazioni. L'adesione all'una o all'altra opzione ermeneutica avrebbe, rispettivamente, reso la questione meramente ipotetica (essendo incerto, nel caso di specie, se la persona offesa tenesse con sé l'apparecchio di registrazione, ovvero un microfono radiotrasmittente, tramite il quale la polizia giudiziaria ha captato e registrato la conversazione), ovvero determinato il radicale superamento degli ipotizzati dubbi di costituzionalità. Inoltre, lo stesso rimettente - nel rimarcare che, secondo la Corte di cassazione, le disposizioni del codice di rito sui documenti si riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori e comunque non in vista né tantomeno in funzione del procedimento nel quale si chiede o si dispone che facciano ingresso (in coerenza con il principio, tipico del processo accusatorio, di separazione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento) - ha ammesso che la registrazione fonografica eseguita da uno degli interlocutori d'intesa con la polizia giudiziaria e con strumenti da essa forniti non costituisce più un «documento», ma la documentazione di un'attività di indagine. Detta affermazione vanifica la stessa premessa fondante della questione poiché, da un lato, contraddice il petitum , con il quale si chiede alla Corte di sottrarre le registrazioni in parola dal novero delle prove documentali, dall'altro, esige dal giudice a quo la precisazione delle ragioni per le quali non reputi praticabile nel caso di specie una soluzione analoga a quella già adottata dalla Corte di legittimità. In mancanza dell'asserito diritto vivente, il rimettente mira nella sostanza ad ottenere dalla Corte un avallo ad un'interpretazione della norma censurata diversa da quella ritenuta non condivisibile, così evidenziando un uso improprio dell'incidente di costituzionalità. Sulla (manifesta) inammissibilità di questioni sollevate sull'erroneo presupposto dell'esistenza di un diritto vivente, in realtà insussistente o non esattamente ricostruito, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 90/2009, n. 251/2006, n. 64/2006 e n. 452/2005.
É manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 267 cod. proc. pen., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 15 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il decreto di autorizzazione delle intercettazioni di comunicazioni debba contenere, a pena di nullità dell'atto, la sottoscrizione del giudice. Ed invero, il rimettente, offrendo una descrizione inadeguata della fattispecie concreta, impedisce alla Corte di verificare l'effettiva rilevanza della questione nel giudizio a quo . - Sulla manifesta inammissibilità per carente descrizione della fattispecie, vedi, citate, ex plurimis , ordinanze n. 248, n. 217 e n. 82/2008.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 137, comma 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, censurato, in riferimento all'art. 15 Cost., nella parte in cui non prevede il consenso dell'interessato al trattamento dei dati relativi alla corrispondenza epistolare che venga effettuato nell'ambito dell'attività giornalistica. Infatti, in primo luogo, le carenze dell'ordinanza di rimessione in merito alla descrizione dei fatti oggetto del giudizio principale non consentono alla Corte la possibilità di esercitare il controllo sulla rilevanza della questione; in secondo luogo, il rimettente chiede una pronuncia additiva in malam partem in materia penale, che è preclusa alla Corte dal principio di riserva di legge di cui all'art. 25 Cost. - Sulla riserva di legge in materia penale e la preclusione di interventi additivi in malam partem v., citate, ex multis , sentenza n. 394/2004 e ordinanze n. 5/2009, n. 65/2008 e n. 164/2007.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 4, 8, comma 1, lett. e ), f ), h ) ed i ), e 2; 9, commi 1, lett. c ), e 2; 12 della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, sollevate in riferimento agli artt. 3, 15, 41 e 117 della Costituzione. Invero, successivamente alle ordinanze di rimessione, con la sentenza n. 350 del 2008, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'intera legge della Regione Lombardia n. 6 del 2006, sicchè la sollevata questione, relativa alle medesime disposizioni, è divenuta priva di oggetto. Infatti, in forza dell'efficacia ex tunc di tale pronuncia di illegittimità, è preclusa al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza della sollevata questione, valutazione che sola potrebbe giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente. - Sulla manifesta inammissibilità delle questioni per sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale, v., citate, ex multis , ordinanze n. 449, n. 415 e n. 269 del 2008.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionali degli artt, 1, 3, 4, 8, commi 1, lett. e), f), h) e i), e 2, 9, commi 1, lett. c), e 2, 12, della Legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, in riferimento agli artt. 3, 15, 41 e 117 della Costituzione. Posto che l'insufficiente descrizione della fattispecie, impedendo di vagliare l'effettiva applicabilità delle censurate disposizioni ai casi dedotti, si risolve in carente motivazione sulla rilevanza della questione, determinandone, conseguentemente, la manifesta inammissibilità (risultando peraltro preclusa, in virtù del principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione, l'acquisizione di elementi di conoscenza attingendo direttamente al fascicolo di causa), il pur ampio andamento argomentativo in tema di rilevanza sviluppato dal giudice rimettente ha fornito solo generiche indicazioni in ordine agli effetti delle disposizioni impugnate sulle situazioni giuridiche vantate dalle parti, omettendo la doverosa descrizione delle specifiche violazioni asseritamente riscontrate. - Sulla carenza di motivazione della rilevanza per insufficiente descrizione della fattispecie, v. le citt. ordinanze nn. 224, 223, 217, 210 e 174 del 2008; n. 251 del 2007, n. 303 e n. 164 del 2006.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, lettere e), f), h) ed i), e comma 2, della legge della Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6, in riferimento agli articoli 3, 15, 41 e 117 della Costituzione. Il rimettente non ha, infatti, specificato se e quali fossero i requisiti igienico - sanitari, accertati in concreto come mancanti, richiesti per i centri di telefonia mobile. Tale omessa specificazione si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni.