Articolo 234 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 266 e seguenti cod. proc. pen., impugnati in riferimento agli artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma, Cost., non può essere dichiarata l'inammissibilità della sollevata questione per mancato assolvimento dell'onere - da cui il rimettente è in linea di principio gravato - di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che provocherebbe la lamentata lesione della Costituzione. Infatti, sebbene il giudice a quo coinvolga formalmente nello scrutinio, oltre all'art. 234 cod. proc. pen., l'intero complesso delle disposizioni regolative delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (artt. 266-271), nondimeno, dal tenore delle censure emerge chiaramente come le doglianze si appuntino essenzialmente sull'art. 266, che definisce i limiti di ammissibilità delle intercettazioni, mentre il richiamo agli articoli successivi appare diretto solo ad evocare l'effetto (di sottoposizione alla disciplina da essi dettata) che conseguirebbe alla qualificazione delle registrazioni in esame come intercettazioni, anziché come documenti. Con riferimento all'onere gravante sul rimettente di individuare, all'interno di un determinato corpo normativo, la norma o la parte di essa che determinerebbe la lamentata lesione della Costituzione, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 21/2003, n. 337/2000 e n. 97/2000.
E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 266 e seguenti cod. proc. pen., impugnati, in riferimento agli artt. 2, 15, 24 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalla Corte di cassazione, qualificata come «diritto vivente» - includono tra i documenti, anziché tra le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, sottraendole così alla disciplina stabilita per queste ultime o comunque non subordinandole ad un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, le registrazioni di conversazioni (telefoniche o tra presenti) effettuate da uno degli interlocutori o dei soggetti ammessi ad assistervi, all'insaputa degli altri, d'intesa con la polizia giudiziaria ed eventualmente con strumenti da essa forniti, e comunque nell'ambito di un procedimento penale già avviato. La questione è stata sollevata sulla base di un erroneo presupposto interpretativo, in quanto l'asserita esistenza di un diritto vivente - secondo cui la registrazione occulta di una conversazione, effettuata da uno degli interlocutori o con il suo consenso, costituisce documento utilizzabile nel processo ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., anche quando sia stata operata d'intesa con la polizia giudiziaria e con mezzi tecnici da essa forniti - risulta smentita sia da contrarie decisioni della Corte di legittimità, sia dai principi generali in materia processuale evocati dal rimettente. Un primo orientamento giurisprudenziale reputa applicabile alle registrazioni in questione la disciplina di garanzia in materia di intercettazioni almeno nel caso in cui vengano utilizzati apparecchi radiotrasmittenti mediante i quali terzi estranei siano posti in grado di ascoltare il colloquio in tempo reale, mentre un secondo indirizzo ritiene l'inutilizzabilità di tali registrazioni per surrettizio aggiramento delle regole sulle intercettazioni. L'adesione all'una o all'altra opzione ermeneutica avrebbe, rispettivamente, reso la questione meramente ipotetica (essendo incerto, nel caso di specie, se la persona offesa tenesse con sé l'apparecchio di registrazione, ovvero un microfono radiotrasmittente, tramite il quale la polizia giudiziaria ha captato e registrato la conversazione), ovvero determinato il radicale superamento degli ipotizzati dubbi di costituzionalità. Inoltre, lo stesso rimettente - nel rimarcare che, secondo la Corte di cassazione, le disposizioni del codice di rito sui documenti si riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori e comunque non in vista né tantomeno in funzione del procedimento nel quale si chiede o si dispone che facciano ingresso (in coerenza con il principio, tipico del processo accusatorio, di separazione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento) - ha ammesso che la registrazione fonografica eseguita da uno degli interlocutori d'intesa con la polizia giudiziaria e con strumenti da essa forniti non costituisce più un «documento», ma la documentazione di un'attività di indagine. Detta affermazione vanifica la stessa premessa fondante della questione poiché, da un lato, contraddice il petitum , con il quale si chiede alla Corte di sottrarre le registrazioni in parola dal novero delle prove documentali, dall'altro, esige dal giudice a quo la precisazione delle ragioni per le quali non reputi praticabile nel caso di specie una soluzione analoga a quella già adottata dalla Corte di legittimità. In mancanza dell'asserito diritto vivente, il rimettente mira nella sostanza ad ottenere dalla Corte un avallo ad un'interpretazione della norma censurata diversa da quella ritenuta non condivisibile, così evidenziando un uso improprio dell'incidente di costituzionalità. Sulla (manifesta) inammissibilità di questioni sollevate sull'erroneo presupposto dell'esistenza di un diritto vivente, in realtà insussistente o non esattamente ricostruito, v., ex plurimis , le citate ordinanze n. 90/2009, n. 251/2006, n. 64/2006 e n. 452/2005.
Alla relazione del curatore fallimentare (entro la quale puo' essere contenuta l'indicazione di fatti appresi dal fallito) deve essere riconosciuta la natura di documento che, a norma dell'art. 234 cod. proc. pen., puo' essere acquisito ed utilizzato come prova. E cio' perche' la relazione non ha origine nel processo penale e non e' finalizzata ad esso, essendo diretta al giudice delegato e non al pubblico ministero; cosicche', anche se puo' contenere indicazioni utili ai fini delle determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, essa non costituisce di per se' una notizia di reato e, dunque, non puo' essere disciplinata come tale. - V. massima B. red.: G. Conti
Manifesta inammissibilita' della questione per la impossibilita', per la Corte, stante la incertezza che si riscontra nella prospettazione del 'thema decidendum' e del 'petitum', di verificarne la rilevanza, nonche' di stabilire quale tipo di intervento le si chiede di operare e quale disciplina, in concreto, dovrebbe risultarne, ed inoltre per la evidente contraddizione in cui il giudice remittente incorre nel lamentare l'obbligo di "ridocumentazione" che le norme impugnate comporterebbero ai fini della prova del reato, laddove, secondo la sua stessa prospettazione, nel fascicolo del dibattimento non e' contenuta alcuna documentazione di accertamenti precedentemente compiuti.