Articolo 468 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 495, comma 2, cod. proc. pen. (nella parte in cui non consente alla parte civile, ma solo all'imputato ed al P.M., il diritto all'ammissione delle prove indicate a carico dell'imputato sui fatti oggetto della prova a discarico), in quanto: con riferimento all'art. 3, comma primo, Cost., la non equiparabilita' tra parti principali e necessarie del processo penale (P.M. ed imputato) e parte civile, la cui presenza e' solo eventuale, nonche' tra gli interessi di cui ciascuna e' rispettivamente portatrice giustifica il diverso trattamento in ordine all'ammissione delle prove 'ex' art. 495, comma 2; con riferimento all'art. 24, comma secondo, Cost., la disposizione impugnata non preclude affatto alla parte civile di presentare anch'essa le proprie richieste. red.: S. Di Palma
Come gia' ritenuto dalla Corte per l'ipotesi di ammissione di prove richieste per la prima volta nel dibattimento, anche nel caso di richiesta, ai sensi dell'art. 495, terzo comma, cod. proc. pen., di ammissione di prove documentali dalle parti private dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento - diversamente dalla disciplina delle altre prove che devono essere richieste, a pena di inammissibilita', almeno sette giorni prima del dibattimento, ai sensi dell'art. 468, primo comma, cod. proc. pen. -, l'eventuale difficolta', per le altre parti, di esaminare tali prove documentali puo' essere agevolmente superata dalla concessione di un termine da parte del giudice, potendosi senz'altro ravvisare in tal caso una di quelle "ragioni di assoluta necessita'" idonee a giustificare la sospensione del dibattimento ai sensi dell'art. 477, secondo comma, cod. proc. pen.. Oltre che per le peculiari caratteristiche della prova testimoniale, che giustificano una diversa disciplina al riguardo rispetto alla prova documentale, una volta garantito per tutte le parti il diritto alla controprova, e' inconsistente il rilievo circa la disparita' di trattamento che deriverebbe dal fatto che, mentre le parti private conoscono il contenuto del fascicolo del pubblico ministero, questi non puo' conoscere la documentazione in possesso delle parti private, anche perche' la preventiva conoscenza da parte dell'imputato del contenuto del fascicolo del pubblico ministero, lungi dal costituire un privilegio, rappresenta una elementare garanzia dell'esercizio del diritto di difesa. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., degli artt. 468, primo comma, 567, secondo comma, e 495, terzo comma, cod. proc. pen.). - S. n. 203/1992. V. anche la seguente massima B. red.: F.S. rev.: S.P.
La diversa disciplina in ordine ai termini di ammissibilita' della richiesta di prova documentale, possibile anche dopo l'apertura del dibattimento, rispetto a quella relativa alla prova testimoniale, che invece deve richiedersi almeno sette giorni prima del dibattimento, e' giustificata dalle peculiari caratteristiche della prova testimoniale, dovendosi in quest'ultima indicare non solo i nomi dei testi, ma anche le circostanze di fatto prospettate, di modo che la controparte, per difendersi adeguatamente, sia posta in grado di reperire e chiedere la citazione a prova contraria di altri testi. - V. la massima precedente. red.: F.S. rev.: S.P.
Come gia' affermato dalla Corte, spetta all'imputato valutare la convenienza per un rito alternativo o per il dibattimento, onde egli non ha che da addebitare a se' medesimo la conseguenza della propria scelta, ed e' in tale valutazione che egli dovra' considerare l'eventualita' che in dibattimento possano emergere fisiologicamente nuove contestazioni, o, come nel caso, nuove prove. Pertanto la previsione di cui all'art. 495, terzo comma, cod. proc. pen., che consente la richiesta di ammissione di prove documentali dalle parti private dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, non viola l'art. 24, secondo comma, Cost., sotto il profilo della impossibilita' per l'imputato di scegliere un rito alternativo (ad es. patteggiamento) ove, di fronte ad un documento a sorpresa, debba ravvisarne la convenienza. (Non fondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost., degli artt. 468, primo comma, 567, secondo comma, e 495, terzo comma, cod. proc. pen.). - S. nn. 316/1992, 129/1993. red.: F.S. rev.: S.P.
Manifesta inammissibilita' della questione per la impossibilita', per la Corte, stante la incertezza che si riscontra nella prospettazione del 'thema decidendum' e del 'petitum', di verificarne la rilevanza, nonche' di stabilire quale tipo di intervento le si chiede di operare e quale disciplina, in concreto, dovrebbe risultarne, ed inoltre per la evidente contraddizione in cui il giudice remittente incorre nel lamentare l'obbligo di "ridocumentazione" che le norme impugnate comporterebbero ai fini della prova del reato, laddove, secondo la sua stessa prospettazione, nel fascicolo del dibattimento non e' contenuta alcuna documentazione di accertamenti precedentemente compiuti.
Non puo' condividersi l'interpretazione data dai giudici 'a quibus' all'art. 507 cod.proc.pen., riguardo alle condizioni a cui esso subordina il potere del giudice di disporre, al dibattimento, anche di ufficio, terminata l'acquisizione di quelli gia' dedotti, l'assunzione di nuovi mezzi di prova, secondo la quale tale potere non potrebbe essere esercitato ne' nel caso in cui le parti siano decadute per la mancata o tardiva indicazione dei testimoni nella lista di cui all'art. 468 cod.proc.pen., ne' nel caso in cui non vi sia stata ad iniziativa di esse alcuna attivita' probatoria. Va invece affermato che nella stessa previsione dell'art. 507 cod.proc.pen. il potere del giudice e' un potere suppletivo e non certo eccezionale, e di conseguenza devono respingersi, in quanto basate su erronee premesse, le censure di incostituzionalita' formulate sotto vari profili nei confronti della suddetta disposizione. L'assunto dei giudici rimettenti circa l'immanenza, nel nuovo codice, in dipendenza della "scelta accusatoria", di un principio dispositivo riguardo alle prove e quindi, in sostanza, anche riguardo alla 'res iudicanda', non trova infatti riscontro nel tessuto normativo concretamente disegnato nel codice, come si desume dai contenuti di diverse disposizioni (art. 189, 190, secondo comma, 511 e 511 bis, 603, terzo comma, 409, quinto comma) e soprattutto dall'art. 507, del quale la Corte ha gia' posto in luce (sent. n. 241 del 1992) "la funzione di assicurare la piena conoscenza, da parte del giudice, dei fatti oggetto del processo, per consentirgli di pervenire ad una giusta decisione". Significative in tal senso sono del resto anche le pronunce della Corte secondo le quali il nuovo codice non conosce procedure in cui la concorde richiesta delle parti vincoli il giudice sul merito della decisione (sent. n. 313 del 1990) e, nel giudizio abbreviato, il contrario accordo delle parti non preclude le integrazioni probatorie eventualmente necessarie (sentt. nn. 92 del 1992 e 56 del 1993), il che logicamente non consente che una tale preclusione possa invece ritenersi sussistente nel giudizio ordinario. E d'altra parte, fermo restando che, se si ritenessero possibili entrambe le contrapposte interpretazioni dell'art. 507 cod.proc.pen., dovrebbe comunque optarsi per quella conforme a Costituzione, non v'ha dubbio che riconoscere come disponibile dalle parti la tutela giurisdizionale assicurata dal processo penale, sarebbe incontrovertibilmente in contrasto, oltre che con l'art. 2, n. 73, della legge di delega - che il "potere del giudice di disporre l'assunzione dei mezzi di prova" prevede senza limitazioni - con i principi di legalita' e di obbligatorieta' dell'azione penale, con l'interesse sostanziale pubblico alla repressione dei fatti criminosi, che tali principi intendono garantire, e, in definitiva, con lo stesso carattere indisponibile della liberta' personale. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 507 e 468 cod.proc.pen., sollevate in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 73, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - nonche' agli artt. 2, 3, 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost.). - Sentt. nn. 241/1992, 313/1990, 92/1992 e 56/1993. - V. anche massime precedenti.