Pronuncia 111/1993

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: prof. Giuseppe BORZELLINO; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 468, primo comma e 507 del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse l'8 novembre 1991 dal Pretore di Palermo (n. 2 ordinanze), il 24 settembre 1991 dal Tribunale di Verona, il 28 ottobre 1991 dal Tribunale di Torino, il 15 ottobre 1991 dal Pretore di Modena, il 29 gennaio ed il 16 marzo 1992 dal Tribunale di Padova, il 9 giugno 1992 dal Tribunale di Roma ed il 5 giugno 1992 dal Tribunale di Rimini (n. 2 ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. 73, 74, 102, 110, 155, 166, 293, 393, 488 e 489 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 10, 13, 14, 22, 35 e 39, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visti l'atto di costituzione di Azzari Alberto nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 3 novembre 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Uditi l'avv. Piero Longo per Azzari Alberto e l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 507 del codice di procedura penale - nonché dell'art. 468 dello stesso codice: ord. n. 110/1992 - sollevate, in riferimento a tutti od alcuni degli articoli 2, 3, 24, 25, 76, 77, 101, 102, 111 e 112 della Costituzione, dai Tribunali di Torino, Verona, Padova, Roma e Rimini e dai Pretori di Palermo e Modena con ordinanze emesse, rispettivamente, il 28 ottobre 1991 (r.o. n. 110/1992), 24 settembre 1991 (r.o. n. 102/1992), 29 gennaio 1992 (r.o. n. 166/1992), 16 marzo 1992 (r.o. n. 293/1992), 9 giugno 1992 (r.o. n. 393/1992), 5 giugno 1992 (r.o. nn. 488 e 489/1992), 8 novembre 1991 (r.o. nn. 73 e 74/1992) e 15 ottobre 1991 (r.o. n. 155/1992). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1993. Il Presidente: BORZELLINO Il redattore: SPAGNOLI Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 26 marzo 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA

Relatore: Ugo Spagnoli

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: BORZELLINO

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Massime

SENT. 111/93 A. PROCESSO PENALE - DIBATTIMENTO - ART. 507 COD.PROC.PEN. - AMMISSIONE D'UFFICIO DI NUOVE PROVE - PRESUPPOSTI - POTERE DEL GIUDICE DI DISPORLA ANCHE IN MANCANZA DI RITUALI INDICAZIONI DELLE PARTI - INTERPRETAZIONE IN TAL SENSO DELLA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE - NECESSITA', PER LA CORTE COSTITUZIONALE, IN PRESENZA DI DIFFUSO CONTRARIO INDIRIZZO TRA GIUDICI DI MERITO, DI VERIFICARNE IL FONDAMENTO.

L'art. 507 cod.proc.pen. che disciplina l'assunzione d'ufficio di prove e' stato, da ultimo, interpretato dalla Corte di cassazione a sezioni unite nel senso che il giudice puo' disporla anche se si tratti di prove dalle quali le parti siano decadute, per mancata o irrituale indicazione nella lista testimoniale (art. 468) - dovendo intendersi per prove "nuove" ai sensi dell'art. 507 (e dell'art. 603) tutte quelle precedentemente non disposte, siano esse preesistenti o sopravvenute, conosciute ovvero sconosciute. Nonostante l'autorevolezza di tale decisione, la diffusione che ha avuto, in piu' direzioni, l'opposto indirizzo interpretativo, rende necessario che la Corte verifichi la coerenza dell'uno o dell'altro orientamento, nei loro fondamenti ed esiti, con la legge delega e con i principi costituzionali che questa espressamente richiama (art. 2, prima parte). - Cass. pen. sez. un. 6 - 21 novembre, n. 11227.

Parametri costituzionali

  • legge-Art. 2

SENT. 111/93 B. PROCESSO PENALE - ORDINAMENTO EFFETTIVAMENTE VIGENTE - CARATTERI ESSENZIALI - NON RICONDUCIBILITA' AD ASTRATTE MODELLISTICHE - ORIGINALITA' - ATTUAZIONE DEL SISTEMA ACCUSATORIO, MA SECONDO I CRITERI SPECIFICATI NELLA LEGGE DI DELEGA IN BASE AI PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE.

I lineamenti essenziali dell'attuale ordinamento processual-penale italiano vanno individuati, sul piano metodologico, a prescindere da astratte modellistiche, sulla base del tessuto normativo positivo. Con riferimento a questo, va quindi ribadito che il sistema disegnato nella legge delega e poi concretamente attuato nel codice e' tutt'affatto originale, dato che tende bensi' (art. 2, primo comma) ad attuare "i caratteri del sistema accusatorio", ma "secondo i principi ed i criteri" specificati nelle direttive che seguono. Inoltre, poiche' la stessa norma detta ancor prima l'obbligo di "attuare i principi della Costituzione", un'adeguata considerazione dell'ordinamento effettivamente vigente non puo' prescindere dagli interventi correttivi che la Corte costituzionale si e' trovata a dovervi apportare. - Sent. n. 88/1991.

Parametri costituzionali

  • legge-Art. 2

SENT. 111/93 C. PROCESSO PENALE - PROCESSO DI PARTI - PARTE PUBBLICA: P.M. - CARATTERIZZAZIONE E POTERI - PREVISIONE DI LIMITI E CONTROLLI A SALVAGUARDIA DI PRINCIPI COSTITUZIONALI.

Il processo penale italiano e' caratterizzato come un processo di "parti" contrapposte ed operanti sul medesimo piano. Tuttavia, poiche' il pubblico ministero (parte pubblica) e' un magistrato indipendente appartenente all'ordine giudiziario che non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge, a lui e' demandato anche il compito di svolgere gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini, anche se, a salvaguardia del principio di obbligatorieta' dell'azione penale, il suo potere discrezionale e' stato rigorosamente contenuto, circondando il potere di archiviazione con una fitta rete di controlli e dettando in materia una regola di giudizio rispettosa di tale principio. Inoltre, nei casi in cui il potere del P.M. e' apparso strutturato su scelte innovative e, quindi, insindacabili, che condizionavano l'accesso dell'imputato ad un rito (giudizio abbreviato) dal quale scaturiscono automaticamente rilevanti effetti sulla determinazione della pena, la Corte costituzionale e' intervenuta riscontrandone l'"incompatibilita' con un ordinamento costituzionale fondato sui principi di uguaglianza e di legalita' della pena". (V. massima B). - V., in tal senso, le sentt. nn. 88/1991 e 92/1982.

SENT. 111/93 D. PROCESSO PENALE - RACCOLTA DELLE PROVE - METODO ORALE - CONTEMPERAMENTI A SALVAGUARDIA DEL FINE DELLA RICERCA DELLA VERITA' E DEI PRECETTI COSTITUZIONALI DI LEGALITA' E OBBLIGATORIETA' DELL'AZIONE PENALE - PRINCIPIO DI "NON DISPERSIONE".

Con il nuovo codice di procedura penale e' stato introdotto un criterio di separazione funzionale delle fasi processuali allo scopo di accertare la terzieta' del giudice e di privilegiare il metodo orale di raccolta delle prove, concepito come strumento per favorire la dialettica del contraddittorio e la formazione nel giudice di un convincimento libero da influenze pregresse. Tuttavia, poiche' il fine primario e ineludibile del processo penale rimane la ricerca della verita', e non v'ha dubbio che ad un ordinamento basato sul principio della legalita' e su quello dell'obbligatorieta' dell'azione penale non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico, necessario per pervenire ad una giusta decisione, se ne deve concludere che il nuovo codice, pur dando la massima considerazione alla dialettica del contraddittorio dibattimentale ed al metodo orale, ha pero' nel contempo provveduto a temperarne la portata in riferimento agli elementi di prova non compiutamente (o non genuinamente) acquisibili con tale metodo, adottando per essi il principio di non dispersione. - Nello stesso senso, sent. n. 255/1992.

SENT. 111/93 E. PROCESSO PENALE - PREVISIONI DELLA LEGGE DI DELEGA - "POTERE DEL GIUDICE DI DISPORRE L'ASSUNZIONE DI MEZZI DI PROVA" - FINALITA' - FONDAMENTO COSTITUZIONALE.

Nella direttiva n. 73 della legge n. 81 del 1987 (concernente il "potere del giudice di disporre l'assunzione di mezzi di prova" e da cui promana l'art. 507 cod.proc.pen.) il legislatore delegante ha esattamente considerato - in armonia con l'obiettivo di eliminazione delle disuguaglianze di fatto posto dall'art. 3, secondo comma, Cost. - che la "parita' delle armi" delle parti normativamente enunciata puo' talvolta non trovare concreta verifica nella realta' effettuale, si' che il fine della giustizia della decisione puo' richiedere un intervento riequilibratore del giudice atto a supplire alle carenze di taluna di esse, cosi' evitando assoluzioni o condanne immeritate. E d'altra parte gli stessi principi di legalita' ed uguaglianza - di cui quello dell'obbligatorieta' dell'azione penale, come la Corte ha gia' rilevato, e' strumento - esigono che il giudice sia messo in grado di porre rimedio anche alle negligenze ed inerzie del difensore. - Sent. n. 88/1991.

SENT. 111/93 F. PROCESSO PENALE - DIBATTIMENTO - PROVE - ASSUNZIONE D'UFFICIO DA PARTE DEL GIUDICE DI NUOVI MEZZI DI PROVA - RITENUTA SUBORDINAZIONE DELL'ESERCIZIO DI TALE POTERE ALLA PREVENTIVA ACQUISIZIONE DELLE PARTI - LAMENTATA LESIONE DEI PRINCIPI DELLA LEGGE DI DELEGA, DI OBBLIGATORIETA' E DI LEGALITA' DELL'AZIONE PENALE - DENUNCIATA IRRAZIONALE DISPARITA' DI TRATTAMENTO TRA IMPUTATI A SECONDA CHE LA LISTA TESTIMONIALE SIA STATA O MENO DEPOSITATA TEMPESTIVAMENTE - RITENUTO ESERCIZIO DELLA FUNZIONE GIURISDIZIONALE NON FINALIZZATO ALLA RICERCA DELLA VERITA' STORICA, MA AD UNA PRONUNCIA MERAMENTE PROCESSUALE CON DECISIONI SOLO FORMALMENTE MOTIVATE - PROSPETTATA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI DIFESA - ERRONEITA' DELLE PREMESSE INTERPRETATIVE DA CUI MUOVONO I GIUDICI RIMETTENTI - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE NEI SENSI DI CUI IN MOTIVAZIONE.

Non puo' condividersi l'interpretazione data dai giudici 'a quibus' all'art. 507 cod.proc.pen., riguardo alle condizioni a cui esso subordina il potere del giudice di disporre, al dibattimento, anche di ufficio, terminata l'acquisizione di quelli gia' dedotti, l'assunzione di nuovi mezzi di prova, secondo la quale tale potere non potrebbe essere esercitato ne' nel caso in cui le parti siano decadute per la mancata o tardiva indicazione dei testimoni nella lista di cui all'art. 468 cod.proc.pen., ne' nel caso in cui non vi sia stata ad iniziativa di esse alcuna attivita' probatoria. Va invece affermato che nella stessa previsione dell'art. 507 cod.proc.pen. il potere del giudice e' un potere suppletivo e non certo eccezionale, e di conseguenza devono respingersi, in quanto basate su erronee premesse, le censure di incostituzionalita' formulate sotto vari profili nei confronti della suddetta disposizione. L'assunto dei giudici rimettenti circa l'immanenza, nel nuovo codice, in dipendenza della "scelta accusatoria", di un principio dispositivo riguardo alle prove e quindi, in sostanza, anche riguardo alla 'res iudicanda', non trova infatti riscontro nel tessuto normativo concretamente disegnato nel codice, come si desume dai contenuti di diverse disposizioni (art. 189, 190, secondo comma, 511 e 511 bis, 603, terzo comma, 409, quinto comma) e soprattutto dall'art. 507, del quale la Corte ha gia' posto in luce (sent. n. 241 del 1992) "la funzione di assicurare la piena conoscenza, da parte del giudice, dei fatti oggetto del processo, per consentirgli di pervenire ad una giusta decisione". Significative in tal senso sono del resto anche le pronunce della Corte secondo le quali il nuovo codice non conosce procedure in cui la concorde richiesta delle parti vincoli il giudice sul merito della decisione (sent. n. 313 del 1990) e, nel giudizio abbreviato, il contrario accordo delle parti non preclude le integrazioni probatorie eventualmente necessarie (sentt. nn. 92 del 1992 e 56 del 1993), il che logicamente non consente che una tale preclusione possa invece ritenersi sussistente nel giudizio ordinario. E d'altra parte, fermo restando che, se si ritenessero possibili entrambe le contrapposte interpretazioni dell'art. 507 cod.proc.pen., dovrebbe comunque optarsi per quella conforme a Costituzione, non v'ha dubbio che riconoscere come disponibile dalle parti la tutela giurisdizionale assicurata dal processo penale, sarebbe incontrovertibilmente in contrasto, oltre che con l'art. 2, n. 73, della legge di delega - che il "potere del giudice di disporre l'assunzione dei mezzi di prova" prevede senza limitazioni - con i principi di legalita' e di obbligatorieta' dell'azione penale, con l'interesse sostanziale pubblico alla repressione dei fatti criminosi, che tali principi intendono garantire, e, in definitiva, con lo stesso carattere indisponibile della liberta' personale. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 507 e 468 cod.proc.pen., sollevate in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 73, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - nonche' agli artt. 2, 3, 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost.). - Sentt. nn. 241/1992, 313/1990, 92/1992 e 56/1993. - V. anche massime precedenti.