Articolo 507 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 507 cod. proc. pen., impugnato, in riferimento all'art. 111 Cost., nella parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalle sezioni unite della Corte di cassazione - consente al giudice di disporre l'assunzione di nuovi mezzi di prova anche quando si tratti di prove dalle quali le parti sono decadute per mancato o irrituale deposito della lista prescritta dall'art. 468 cod. proc. pen. e, a seguito di tale decadenza, sia mancata ogni acquisizione probatoria. Premesso che il potere di ammissione delle prove previsto dalla disposizione in esame può essere esercitato dal giudice sia d'ufficio che su istanza di parte; e che la fattispecie oggetto del giudizio a quo concerne prove richieste da una delle parti, sia pure non più - a causa dell'intervenuta decadenza per tardivo deposito della suddetta lista - nell'esercizio pieno del diritto alla prova di cui all'art. 190, comma 1, cod. proc. pen., quanto piuttosto in base al diverso e più restrittivo criterio dell'assoluta necessità dell'acquisizione, considerato dalla norma censurata; la denunciata violazione del principio di terzietà e di imparzialità del giudice è esclusa dal rilievo pregiudiziale che non risulta configurabile neppure una reale deroga al principio dispositivo che impone al giudice di giudicare sulla base di quanto allegato e provato dalle parti. Ugualmente infondato è l'ulteriore assunto del rimettente secondo cui sarebbe vanificata la sanzione di inammissibilità prevista dall'art. 468, comma 1, cod. proc. pen. per il mancato o irrituale deposito della lista dei testimoni (ovvero dei periti, dei consulenti tecnici o delle persone indicate nell'art. 210 cod. proc. pen.) di cui le parti intendano chiedere l'esame. Infatti, la parte decaduta ai sensi del medesimo art. 468, comma 1, rischia di vedersi comunque denegata, o ristretta, l'ammissione delle prove a suo favore: e ciò, anche nel caso in cui non vi sia stata alcuna precedente acquisizione probatoria. Sulla compatibilità degli interventi probatori officiosi del giudice con l'art. 111 Cost. (sia pure in riferimento al testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge costituzionale n. 2 del 1999), v. la citata sentenza n. 111/1993.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 111 della Costituzione: a) dell'art. 507 del codice di procedura penale, «nella parte in cui autorizza il giudice a disporre nuove prove anche in deroga alle decadenze previste dall'art. 468 c.p.p., nonché nella parte in cui non prevede che l'ordinanza ammissiva indichi nuovi temi di prova e che le parti possano dedurre nuove prove disponendo un congruo termine a difesa»; b) dell'art. 151, comma 2, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del medesimo codice, nella parte in cui prevede che quando è stato disposto d'ufficio l'esame di una persona, il presidente vi provvede direttamente stabilendo, all'esito, la parte che deve condurre l'esame diretto. La questione concernente l'art. 507 c.p.p. risulta infatti prospettata in modo contraddittorio, essendo detta disposizione censurata, innanzitutto, nella parte in cui è consentito al giudice di disporre nuove prove anche nel caso in cui le parti siano decadute dal relativo diritto di richiesta, in forza dell'art. 468 c.p.p., reclamandosi una pronuncia demolitoria in parte qua , per escludere, in tale ipotesi, la possibilità di escussione dei testi, e richiedendosi poi, in maniera del tutto ipotetica, una pronuncia additiva di incostituzionalità della medesima norma, per la mancata previsione, in essa, del potere per le parti del processo di articolare prove contrarie o nuove prove e di disporre di un congruo termine a difesa, e comunque concernendo una disposizione che il medesimo rimettente riferisce di avere già applicato; mentre la questione avente ad oggetto l'art. 151, comma 2, delle norme di attuazione difetta del requisito della rilevanza, giacché l'impugnativa è specificamente espressa nei confronti del comma 2 di tale norma laddove la fattispecie che viene in rilievo nel giudizio a quo risulta essere, piuttosto, disciplinata dal comma 1 dell'art. 151 citato, considerato che le nuove prove erano state, nella specie, richieste dal pubblico ministero, con conseguente applicazione del normale ordine di assunzione, previsto dall'art. 496 c.p.p.
Sono manifestamente infondate, con riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, comma secondo, 76, 101, comma secondo, 102 e 112 Cost., le questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 507 cod. proc. pen. e 151 della norme di attuazione, di coordinamento e transitorie cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono l'attribuzione al giudice del dibattimento, nell'esercizio dei poteri suppletivi previsti dagli artt. 506 e 507 cod. proc. pen., della possibilita' di conoscere tutti gli atti del fascicolo del p.m., in quanto - posto che la disciplina, in base alla quale il patrimonio di conoscenza del giudice e' vincolato, salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, agli elementi acquisiti nel corso del dibattimento, corrisponde ad una delle scelte piu' significative e qualificanti del nuovo codice, la quale si e' realizzata mediante il sistema del "doppio fascicolo", al fine di evitare che gli atti raccolti durante le indagini preliminari senza il rispetto delle regole del contraddittorio ed in violazione del principio dell'immediatezza, rifluiscano nel dibattimento - al fine di esercitare il potere previsto dall'art. 507 cod. proc. pen., il sistema delineato dal codice non presume che il giudice conosca gli atti delle indagini preliminari, bensi' che sia chiamato ad operare, eventualmente sollecitato dalle parti, una valutazione che tenga conto delle emergenze risultanti dall'istruttoria dibattimentale. - S. n. 91/1992; O. n. 248/1998.
Manifesta inammissibilita' in quanto, dato che il problema della concessione di una sospensione del dibattimento puo' ovviamente sorgere soltanto dopo che il giudice abbia ritenuto di disporre l'assunzione del nuovo mezzo di prova, avendo il giudice rimettente, nella specie, revocato, prima di promuovere l'incidente, il gia' adottato provvedimento di ammissione della prova, la questione risulta sollevata in via meramente astratta ed ipotetica. red.: E.M. rev.: S.P.
Per costante giurisprudenza costituzionale, e' compito del giudice rimettente di individuare con esattezza l'oggetto della questione, motivare sulla rilevanza, effettuare la scelta interpretativa e quindi proporre il quesito di costituzionalita' in modo non alternativo. Nella specie, invece, il giudice 'a quo' ha proposto, in via alternativa, le questioni relative alle norme che consentono la verbalizzazione delle attivita' dibattimentali in forma riassuntiva, quando si tratti di atti semplici o di ritenuta limitata rilevanza o quando sussiste il consenso delle parti e la verbalizzazione integrale solo in forma manuale anziche' con mezzi fonografici o similari, nonche' alle disposizioni che comunque non impongono che la verbalizzazione sia integrale per tutti i dibattimenti, avanti qualunque giudice o corte, per qualunque imputazione ed imputato; e che precludono al giudicante di integrare le deposizioni gia' assunte e dalle quali si rilevi, in esito al dibattimento e alla discussione finale, l'imperfetta documentazione manuale. E poiche' non puo' essere lasciato alla Corte costituzionale il compito di individuare la norma (o il complesso di norme) dalla quale, nel caso specifico deriverebbe l'inconveniente lamentato, indicativo del denunciato contrasto con i parametri costituzionali invocati e, cioe', il limite per il giudice del dibattimento (nella specie, il Pretore) circa la possibilita' di integrare la prova pur ritenuta necessaria, le questioni cosi' proposte sono manifestamente inammissibili. (Manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 507, 140, primo comma, 567, terzo comma, del codice di procedura penale, e 2, primo comma, numero 8, della legge 16 febbraio 1987 n. 81, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 della Costituzione ed in relazione alle direttive nn. 1, 2, 8, 66, 73 e 103 della predetta legge di delega). - Nello stesso senso v. le sent. nn. 638/1988, 1091/1988, 1146/1988, 472/1989, 473/1989, 187/1992.
L'art. 507 cod.proc.pen. che disciplina l'assunzione d'ufficio di prove e' stato, da ultimo, interpretato dalla Corte di cassazione a sezioni unite nel senso che il giudice puo' disporla anche se si tratti di prove dalle quali le parti siano decadute, per mancata o irrituale indicazione nella lista testimoniale (art. 468) - dovendo intendersi per prove "nuove" ai sensi dell'art. 507 (e dell'art. 603) tutte quelle precedentemente non disposte, siano esse preesistenti o sopravvenute, conosciute ovvero sconosciute. Nonostante l'autorevolezza di tale decisione, la diffusione che ha avuto, in piu' direzioni, l'opposto indirizzo interpretativo, rende necessario che la Corte verifichi la coerenza dell'uno o dell'altro orientamento, nei loro fondamenti ed esiti, con la legge delega e con i principi costituzionali che questa espressamente richiama (art. 2, prima parte). - Cass. pen. sez. un. 6 - 21 novembre, n. 11227.
Non puo' condividersi l'interpretazione data dai giudici 'a quibus' all'art. 507 cod.proc.pen., riguardo alle condizioni a cui esso subordina il potere del giudice di disporre, al dibattimento, anche di ufficio, terminata l'acquisizione di quelli gia' dedotti, l'assunzione di nuovi mezzi di prova, secondo la quale tale potere non potrebbe essere esercitato ne' nel caso in cui le parti siano decadute per la mancata o tardiva indicazione dei testimoni nella lista di cui all'art. 468 cod.proc.pen., ne' nel caso in cui non vi sia stata ad iniziativa di esse alcuna attivita' probatoria. Va invece affermato che nella stessa previsione dell'art. 507 cod.proc.pen. il potere del giudice e' un potere suppletivo e non certo eccezionale, e di conseguenza devono respingersi, in quanto basate su erronee premesse, le censure di incostituzionalita' formulate sotto vari profili nei confronti della suddetta disposizione. L'assunto dei giudici rimettenti circa l'immanenza, nel nuovo codice, in dipendenza della "scelta accusatoria", di un principio dispositivo riguardo alle prove e quindi, in sostanza, anche riguardo alla 'res iudicanda', non trova infatti riscontro nel tessuto normativo concretamente disegnato nel codice, come si desume dai contenuti di diverse disposizioni (art. 189, 190, secondo comma, 511 e 511 bis, 603, terzo comma, 409, quinto comma) e soprattutto dall'art. 507, del quale la Corte ha gia' posto in luce (sent. n. 241 del 1992) "la funzione di assicurare la piena conoscenza, da parte del giudice, dei fatti oggetto del processo, per consentirgli di pervenire ad una giusta decisione". Significative in tal senso sono del resto anche le pronunce della Corte secondo le quali il nuovo codice non conosce procedure in cui la concorde richiesta delle parti vincoli il giudice sul merito della decisione (sent. n. 313 del 1990) e, nel giudizio abbreviato, il contrario accordo delle parti non preclude le integrazioni probatorie eventualmente necessarie (sentt. nn. 92 del 1992 e 56 del 1993), il che logicamente non consente che una tale preclusione possa invece ritenersi sussistente nel giudizio ordinario. E d'altra parte, fermo restando che, se si ritenessero possibili entrambe le contrapposte interpretazioni dell'art. 507 cod.proc.pen., dovrebbe comunque optarsi per quella conforme a Costituzione, non v'ha dubbio che riconoscere come disponibile dalle parti la tutela giurisdizionale assicurata dal processo penale, sarebbe incontrovertibilmente in contrasto, oltre che con l'art. 2, n. 73, della legge di delega - che il "potere del giudice di disporre l'assunzione dei mezzi di prova" prevede senza limitazioni - con i principi di legalita' e di obbligatorieta' dell'azione penale, con l'interesse sostanziale pubblico alla repressione dei fatti criminosi, che tali principi intendono garantire, e, in definitiva, con lo stesso carattere indisponibile della liberta' personale. (Non fondatezza, nei sensi di cui in motivazione, delle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 507 e 468 cod.proc.pen., sollevate in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. - in relazione all'art. 2, n. 73, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 - nonche' agli artt. 2, 3, 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost.). - Sentt. nn. 241/1992, 313/1990, 92/1992 e 56/1993. - V. anche massime precedenti.