Articolo 109 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È confermata l'ammissibilità, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo per l'instaurazione del giudizio in quanto, sotto il primo profilo, deve essere ribadita la natura di potere dello Stato al pubblico ministero, e in particolare al Procuratore della Repubblica (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 106 del 2006), in quanto titolare delle attività d'indagine (art. 109 Cost.) finalizzate all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.); e al Governo, rappresentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, posto che l'atto asseritamente lesivo è imputabile al Governo nella sua interezza. Sotto il secondo profilo, va confermato che sussiste l'idoneità di un atto avente natura legislativa a determinare conflitto tutte le volte in cui dalla norma primaria derivino in via diretta lesioni dell'ordine costituzionale delle competenze, salvo che sia configurabile un giudizio nel quale la norma primaria risulti applicabile e quindi possa essere su di essa sollevata, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 1 del 2013, n. 88 del 2012, n. 87 del 2012 e n. 420 del 1995; ordinanza 273 del 2017, n. 17 del 2013, n. 16 del 2013, n. 521 del 2000, n. 23 del 2000 e n. 323 del 1999 ).
È inammissibile, in riferimento all'art. 76 Cost., il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Benché il ricorrente non ragiona esplicitamente di una "ridondanza" dell'asserita violazione dei principi e dei criteri direttivi della delega sulle proprie attribuzioni costituzionali di cui agli artt. 109 e 112 Cost., anche a voler ritenere che tale asserzione sia implicita, la lamentata incisione sulle sue attribuzioni deriverebbe non già dall'eventuale eccesso di delega imputabile alla norma impugnata, bensì, in via diretta e immediata, dalla violazione dei parametri costituzionali pertinenti alle attribuzioni del pubblico ministero. Quand'anche conseguente ad un intervento che un potere dello Stato abbia compiuto in asserita carenza di potere (per avere adottato una disposizione di decreto legislativo reputata in eccesso di delega), il pregiudizio lamentato resta arrecato alla sola sfera di attribuzioni direttamente e specificamente riconosciuta dalla Costituzione al ricorrente, per cui il rimedio del conflitto è dato solo per la tutela di tali attribuzioni, alla luce dei parametri costituzionali che delimitano, tra i poteri in conflitto, il perimetro delle rispettive competenze. ( Precedenti citati: sentenze n. 221 del 2002, n. 139 del 2001 e n. 457 del 1999 ). In linea di principio, l'organo ricorrente per conflitto di attribuzione deve lamentare una diretta lesione delle sfere di competenze che la Costituzione gli riconosce, e tale esigenza è, se possibile, ancor più stringente laddove il conflitto tra poteri dello Stato abbia ad oggetto un atto avente valore legislativo, ed ancor più evidente proprio in riferimento all'art. 76 Cost., in virtù della natura logicamente preliminare dello scrutinio che lo assume a parametro, che involge il corretto esercizio della funzione legislativa. In assenza di tale limitazione, il significato del ricorso al rimedio del conflitto tra poteri potrebbe risultarne alterato in misura significativa, fino a trasformarsi in un controllo di conformità di una disposizione legislativa alla luce di qualunque parametro costituzionale, controllo che investirebbe il potere dello Stato ricorrente di una inesistente funzione di vigilanza costituzionale e del compito di sollecitare a questo scopo l'intervento della Corte costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 51 del 2017 e n. 250 del 2016 ).
È dichiarato che non spettava al Governo della Repubblica adottare l'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, nella parte in cui prevede che "[e]ntro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale", e conseguentemente tale disposizione è annullata nella parte indicata. L'equiparazione di grado tra la fonte in tema di segreto investigativo di cui all'art. 329 cod. proc. pen. e quella impugnata - la cui formulazione nella sostanza riprende l'originaria disposizione, di rango solo regolamentare, contenuta nell'art. 237, comma 1, del d.P.R. n. 90 del 2010, relativo unicamente ai comandi dell'Arma dei carabinieri - le pone in posizione potenzialmente antagonista, non escludendo, in principio, la conseguenza che il coordinamento informativo a finalità organizzative trasmodi in una forma di coordinamento investigativo alternativa a quello affidato al pubblico ministero, trattandosi invece di funzioni diverse, che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre, a prezzo di violare il sistema costituzionale. Le ambiguità testuali disseminate, sotto vari profili, nella disposizione impugnata, infatti, non escludono che gli obblighi d'informazione nei confronti dei superiori gerarchici, alla luce dell'autorizzata deroga al rispetto degli obblighi previsti dal codice di procedura penale a tutela del segreto investigativo, finiscano invece per concentrare presso soggetti posti ai vertici delle Forze di polizia una notevole quantità di dati e informazioni di significato investigativo, ultronei rispetto alle necessità di coordinamento e di organizzazione, ledendo la sfera di attribuzioni costituzionali del ricorrente delineata dall'art. 109 Cost. Nell'attuale sistema del codice di rito, il segreto investigativo è un segreto "specifico", cioè relativo a singoli atti d'indagine, non perpetuo ma, normalmente, limitato nel tempo, strumentale al più efficace esercizio dell'azione penale, al fine di scongiurare ogni possibile pregiudizio alle indagini, innanzitutto a causa di un'anticipata conoscenza delle stesse da parte della persona indagata. Se esso non riceve, in assoluto, "copertura" nell'art. 112 Cost., ben potendo subire limitazioni od attenuazioni a tutela di altri interessi di rilievo costituzionale, nello stesso sistema del codice di rito resta fermo che ogni deroga avviene previo vaglio della stessa autorità giudiziaria competente, che ben può rigettare, motivandone le ragioni, una richiesta di atti e informazioni. (Precedenti citati: sentenze n. 420 del 1995 e n. 59 del 1995 ). L'art. 109 Cost., prevedendo che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ha il preciso e univoco significato di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della seconda nei confronti della prima, escludendo interferenze di altri poteri nella conduzione delle indagini, in modo che la direzione di queste ultime ne risulti effettivamente riservata all'autonoma iniziativa e determinazione dell'autorità giudiziaria medesima. Tale rapporto di subordinazione funzionale, se non collide con l'organico rapporto di dipendenza burocratica e disciplinare della polizia giudiziaria nei confronti del potere esecutivo (secondo la logica della duplice soggezione, che lo stesso art. 109 Cost. delinea), non ammette invece che si sviluppino, foss'anche per legittime esigenze informative ed organizzative, forme di coordinamento investigativo alternative a quello condotto dal pubblico ministero competente. ( Precedenti citati: sentenze n. 394 del 1998, n. 114 del 1968 e n. 94 del 1963 ).
È dichiarato ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore aggiunto presso il Tribunale di Torino, affinché sia dichiarato che non spettava alla Commissione bicamerale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, istituita con la legge n. 1 del 2014, confermare il segreto sul verbale contenente l'audizione dell'ingegnere Daniele Fortini del 2 agosto 2016, nonché rigettare la richiesta di desecretazione avanzata dalla Procura di Torino, e, per l'effetto, chiedendo altresì di annullare la deliberazione del 3 maggio 2017, che ha mantenuto la secretazione del resoconto stenografico della seduta del 2 agosto 2016, e consentire quindi la prosecuzione dell'attività dell'autorità giudiziaria. Sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo per l'instaurazione del giudizio, in quanto sotto il primo profilo deve essere riconosciuta la natura di potere dello Stato al pubblico ministero e la legittimazione a resistere della Commissione parlamentare di inchiesta; sotto il secondo profilo, il ricorso è indirizzato alla tutela della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali, in quanto la lesione lamentata concerne l'attribuzione, costituzionalmente garantita al pubblico ministero, inerente all'esercizio obbligatorio dell'azione penale ed alla connessa titolarità circa lo svolgimento delle attività di indagine, funzionale alle scelte sull'esercizio dell'azione penale. Per costante giurisprudenza costituzionale, deve essere riconosciuta la natura di potere dello Stato al pubblico ministero e, in particolare, al Procuratore della Repubblica, in quanto titolare delle attività di indagine finalizzate all'esercizio obbligatorio dell'azione penale. ( Precedenti citati: ordinanze n. 273 del 2017, n. 217 del 2016, n. 17 del 2013 ). A norma dell'art. 82 Cost., la potestà riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse non è esercitabile altrimenti che attraverso la interposizione di Commissioni a ciò destinate, le quali, nell'espletamento e per la durata del loro mandato, sostituiscono ope constitutionis lo stesso Parlamento, dichiarandone perciò e definitivamente la volontà ai sensi del primo comma dell'art. 37 della legge n. 87 de 1953. ( Precedenti citati: sentenza n. 231 del 1975; ordinanze n. 73 del 2006 e n. 228 del 1975 ). Ove la Commissione parlamentare bicamerale d'inchiesta, i cui atti sono oggetto di ricorso per conflitto di poteri, sia cessata ex lege dalle proprie funzioni con la fine della Legislatura, la legittimazione a resistere nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto nei suoi confronti va trasferita al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati, in persona dei rispettivi Presidenti p.t., ai quali vanno pertanto notificati il ricorso e l'ordinanza che ne dichiara l'ammissibilità.
È dichiarato ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo per l'instaurazione del giudizio, in quanto, sotto il primo profilo, deve riconoscersi la legittimazione del Procuratore della Repubblica ricorrente a sollevare conflitto e quella del Governo, rappresentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ad esserne parte; sotto il secondo profilo, il ricorrente lamenta, oltre alla violazione dell'art. 76 Cost., la lesione, da parte del Governo, delle proprie attribuzioni costituzionali inerenti la diretta disponibilità della polizia giudiziaria (art. 109 Cost.) e l'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.), a causa dell'approvazione dell'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che determinerebbe la parziale abrogazione del segreto investigativo. Quanto all'idoneità dell'atto legislativo impugnato a determinare conflitto (impregiudicata ogni successiva diversa valutazione) non emerge prima facie l'effettiva configurabilità di un giudizio nell'ambito del quale possa essere sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale del citato d.lgs. Per costante giurisprudenza costituzionale deve essere riconosciuta la natura di potere dello Stato al pubblico ministero, e in particolare al Procuratore della Repubblica (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 106 del 2006), in quanto titolare delle attività d'indagine (art. 109 Cost.) finalizzate all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.). (Precedenti citati: sentenze n. 1 del 2013, n. 88 del 2012, n. 87 del 2012 e n. 420 del 1995; ordinanza n. 521 del 2000). Sussiste la legittimazione del Governo a resistere nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato avente ad oggetto un decreto legislativo, posto che l'atto asseritamente lesivo è imputabile al Governo nella sua interezza. (Precedenti citati: ordinanze n. 23 del 2000 e n. 323 del 1999; n. 16 del 2013, in relazione a decreto-legge). Un atto avente natura legislativa è idoneo a determinare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato tutte le volte in cui dalla norma primaria derivino in via diretta lesioni dell'ordine costituzionale delle competenze, salvo che sia configurabile un giudizio nel quale la norma primaria risulti applicabile e quindi possa essere su di essa sollevata, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale. (Precedenti citati: sentenze n. 284 del 2005 e n. 221 del 2002; ordinanze n. 17 del 2013, n. 16 del 2013 e n. 343 del 2003).
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 109 e 111 della Costituzione, degli artt. 11, 14 e 15 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui non prevedono che le indagini preliminari siano svolte dalla polizia giudiziaria, che non solo è svincolata ?dal controllo dell?autorità giudiziaria, ma non ha l?onere di svolgere indagini anche a favore dell?indagato e non prevedono l?obbligo della polizia giudiziaria di iscrivere la notizia di reato, nonché dell?art. 415-bis del codice di procedura penale. La Corte ha già avuto modo di rilevare il ruolo marginale assegnato alle indagini preliminari nel procedimento penale davanti al giudice di pace, in coerenza con le esigenze di massima semplificazione del procedimento e con la ?finalità conciliativa? della giurisdizione penale del giudice di pace, per cui, pur riconoscendo alla polizia giudiziaria il potere di compiere di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari , non è, tuttavia, escluso che il pubblico ministero possa esercitare le sue prerogative di direzione e di controllo anche prima e indipendentemente dalla trasmissione della relazione come pure adeguata alla peculiare struttura delle indagini preliminari nel procedimento davanti al giudice di pace appare la disciplina dettata per l?iscrizione della notizia di reato. Infine, quanto alla mancata previsione a carico della polizia giudiziaria dell?onere di svolgere accertamenti anche a favore dell?indagato, la Corte ha già chiarito che tale onere a carico del pubblico ministero si innesta sulla natura pubblica dell?organo dell?accusa e sui compiti che questi è chiamato ad assolvere nell?ambito delle proprie determinazioni al termine delle indagini, mentre, nel procedimento davanti al giudice di pace, tale onere si risolve nell?alternativa tra la richiesta dell?archiviazione e l?esercizio dell?azione penale. - Sentenze citate nn. 231/2003, 10, 11, 55, 56, 57/2004, 96/1997.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 26 aprile 1974, n. 191, in quanto sollevata - in riferimento agli artt. 3, 32, 41, 97, 102, 109 e 112 della Costituzione - sull'erroneo presupposto che tali norme attribuirebbero la competenza ad emanare l'atto di prescrizione, di cui all'art. 20 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, congiuntamente all'Ispettorato del lavoro e ai funzionari delle ferrovie dello Stato. La competenza di vigilanza congiunta sull'applicazione delle norme in materia di infortuni, prevista dalla legge del 1974, attiene, infatti, alla fase dei controlli e delle verifiche, ma una volta accertata l'inosservanza costituente contravvenzione sanzionata penalmente, scatta l'autonoma specifica procedura preordinata alla estinzione del reato, conseguibile attraverso il duplice adempimento, da parte del responsabile, sia della prescrizione, impartita dall'organo preposto alla vigilanza che esercita funzioni di polizia giudiziaria sia del pagamento in sede amministrativa di una speciale oblazione. - V. ordinanze n. 415 e n. 121/1998, e n. 205/1999 richiamate a proposito della natura e delle finalità delle procedure di vigilanza, oggetto della questione.
E? inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dal Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del Ministro dell?interno 4 marzo 2000, che reca prescrizioni in tema di attività investigative di polizia giudiziaria svolte dai servizi interprovinciali con il concorso dei servizi centrali e ritenuto in contrasto con le attribuzioni costituzionali di pubblico ministero del ricorrente, quali definite dagli artt. 109 e 112 della Costituzione. Infatti, lungi dal recare una definizione vincolante dei rapporti tra gli organi di polizia giudiziaria e l?autorità giudiziaria - rapporti che trovano già la loro disciplina nella legge -, il decreto impugnato può essere inteso soltanto quale atto normativo di organizzazione dettato dal Ministro dell?interno per la razionalizzazione interna degli apparati investigativi, onde evitare anche sovrapposizioni di compiti tra struttura centrale e quelle periferiche; e non può, pertanto, incidere sui poteri del Procuratore della Repubblica di Napoli di avvalersi dei servizi di polizia giudiziaria quali previsti dal codice di procedura penale, che sono già nella sua piena disponibilità. - V. anche ordinanza n. 521/2000, sulla ammissibilità del ricorso (nella fase preliminare di sommaria delibazione).
E' ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del Ministro dell'interno (emesso in attuazione del decreto legge n. 152 del 1991 convertito dalla legge n. 203 del 1991), ritenuto lesivo delle attribuzioni costituzionali del pubblico ministero e, in ispecie, di quelle relative alla diretta disponibilita', da parte di quest'ultimo, della polizia giudiziaria. Sussistono infatti i requisiti soggettivo e oggettivo richiesti dalle norme per l'ammissibilita' del ricorso: dal momento che, quanto ai soggetti, sono legittimati ad esser parte del conflitto, sia il Procuratore distrettuale ricorrente, in quanto titolare diretto ed esclusivo dell'attivita' di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' dell'intero Governo al quale il decreto ministeriale impugnato deve essere imputato, secondo la configurazione dell'organo stabilita dall'art. 95, primo comma, della Costituzione; e quanto all'oggetto del conflitto, poiche' dal ricorrente Procuratore della Repubblica viene lamentata la lesione di proprie attribuzioni costituzionalmente garantite.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 160, comma 2, cod. pen., nella parte in cui non prevede che interrompano il corso della prescrizione l'ordinanza del G.I.P. presso la pretura circondariale con la quale si respinga la richiesta di archiviazione e si restituiscano gli atti al p.m. per il compimento di nuove investigazioni, ovvero l'interrogatorio reso davanti alla p.g. su delega del p.m., sollevate con riferimento agli artt. 3, 24, comma secondo, 77, 109 e 112 Cost., in quanto e' inibita alla Corte l'adozione di pronunce additive del tipo richiesto dai giudici 'a quibus', ostandovi il principio di legalita' sancito dall'art. 25 Cost.. - O. n. 178/1997. red.: S. Di Palma