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Pronuncia 229/2018

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'approvazione dell'art. 18, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari nei confronti del «Presidente del Consiglio dei ministri» con ricorso notificato il 18-22 gennaio 2018, depositato in cancelleria il 1° febbraio 2018, iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2018, fase di merito. Visto l'atto di costituzione del Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 2018 il Giudice relatore Nicolò Zanon; uditi gli avvocati Alfonso Celotto e Giorgio Costantino per il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari e l'avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara che non spettava al Governo della Repubblica adottare l'art. 18, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nella parte in cui prevede che «[e]ntro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale», e conseguentemente annulla tale disposizione nella parte indicata. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2018. F.to: Giorgio LATTANZI, Presidente Nicolò ZANON, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2018. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Nicolò Zanon

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: LATTANZI

Massime

Polizia giudiziaria - Obblighi degli ufficiali di polizia giudiziaria - Trasmissione alla propria scala gerarchica delle notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria - Previsione introdotta dall'art. 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016 - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri - Verifica dell'ammissibilità nella fase a contraddittorio pieno - Conferma dell'ammissibilità del conflitto, già ritenuta con l'ordinanza n. 273 del 2017.

È confermata l'ammissibilità, ai sensi dell'art. 37 della legge n. 87 del 1953, del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo per l'instaurazione del giudizio in quanto, sotto il primo profilo, deve essere ribadita la natura di potere dello Stato al pubblico ministero, e in particolare al Procuratore della Repubblica (art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 106 del 2006), in quanto titolare delle attività d'indagine (art. 109 Cost.) finalizzate all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (art. 112 Cost.); e al Governo, rappresentato dal Presidente del Consiglio dei ministri, posto che l'atto asseritamente lesivo è imputabile al Governo nella sua interezza. Sotto il secondo profilo, va confermato che sussiste l'idoneità di un atto avente natura legislativa a determinare conflitto tutte le volte in cui dalla norma primaria derivino in via diretta lesioni dell'ordine costituzionale delle competenze, salvo che sia configurabile un giudizio nel quale la norma primaria risulti applicabile e quindi possa essere su di essa sollevata, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 1 del 2013, n. 88 del 2012, n. 87 del 2012 e n. 420 del 1995; ordinanza 273 del 2017, n. 17 del 2013, n. 16 del 2013, n. 521 del 2000, n. 23 del 2000 e n. 323 del 1999 ).

Parametri costituzionali

Oggetto del giudizio - Atti aventi natura legislativa (nella specie: decreto legislativo) - Idoneità a essere impugnati per conflitto tra poteri - Condizioni - Requisito della c.d. residualità del conflitto rispetto alla esperibilità di giudizi incidentali - Significato - Insussistenza di un giudizio a quo in cui il potere sia legittimato a essere parte con la sicura possibilità di attivare il giudizio costituzionale - Non riferibilità di tale posizione all'autorità giudiziaria requirente - Inidoneità del giudizio incidentale a garantire la immediata tutela alle attribuzioni del pubblico ministero - Ammissibilità del conflitto - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione d'inammissibilità, per carenza del requisito oggettivo, del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Se, nella generalità dei casi, va esclusa l'esperibilità del ricorso per conflitto tra poteri tutte le volte che l'atto legislativo - al quale sia in ipotesi imputata una lesione di attribuzioni costituzionali - può pacificamente trovare applicazione in un giudizio nel corso del quale la relativa questione di legittimità costituzionale può essere eccepita e sollevata, tuttavia non è la mera configurabilità di un giudizio nel quale la disposizione può trovare applicazione a ostacolare l'ammissibilità del conflitto, dovendosi trattarsi di un giudizio in cui il potere dello Stato, che ha ritenuto di lamentare la lesione della propria sfera di attribuzioni attraverso il ricorso per conflitto, avrebbe la possibilità di proporre l'eccezione di legittimità costituzionale, cioè sia o possa essere a tutti gli effetti parte. L'ammissibilità del ricorso per conflitto su atto legislativo è altresì subordinata alla circostanza che la lesione delle attribuzioni costituzionali non possa essere rilevata, sotto forma di eccezione di legittimità costituzionale nel giudizio in via incidentale, proprio dal soggetto direttamente interessato. ( Precedenti citati: sentenze n. 284 del 2005 e n. 457 del 1999; ordinanze n. 17 del 2013, n. 16 del 2013, n. 38 del 2001, n. 14 del 2009, n. 1 del 2009, n. 38 del 2008, n. 343 del 2003 e n. 144 del 2000 ). Solo l'autorità giurisdizionale giudicante, e purché nell'esercizio delle proprie funzioni, ha la sicura potestà di attivare effettivamente, promuovendolo d'ufficio, il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953 e, perciò, solo in relazione ad essa, non già invece in relazione all'autorità giudiziaria requirente, potrebbe in via di principio esser predicato il rispetto del requisito della cosiddetta residualità del conflitto su atto avente valore legislativo, alla condizione che la questione o le questioni sollevate risultino dotate del requisito della rilevanza. ( Precedenti citati: sentenza n. 164 del 2017 e ordinanza n. 144 del 2000 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ben può essere originato anche dall'approvazione di un atto avente valore di legge, in quanto l'istituto del conflitto tra poteri è primariamente preordinato a garantire l'integrità della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri dalle disposizioni costituzionali, a prescindere dalla natura dell'atto che si assume lesivo di tali attribuzioni. ( Precedenti citati: sentenze n. 221 del 2002, n. 139 del 2001, n. 457 del 1999 e n. 161 del 1995 ).

Conflitto di attribuzione tra poteri - Tenore della disposizione impugnata - Chiara e inequivoca possibilità di incidere sulle attribuzioni del ricorrente - Attualità della lesione denunciata - Ammissibilità del ricorso - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione d'inammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per la sua natura meramente ipotetica, promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Il tenore della disposizione impugnata contiene ed esprime in modo chiaro ed inequivoco la possibilità che la trasmissione delle notizie avvenga secondo modalità che incidono sulle attribuzioni del ricorrente, manifestando così l'attualità della lesione. Per costante giurisprudenza costituzionale è sufficiente, ai fini della configurabilità dell'interesse a ricorrere e quindi dell'ammissibilità del conflitto, anche la sola minaccia di lesione, purché attuale e concreta, e non meramente congetturale. ( Precedenti citati: sentenze n. 379 del 1996 e n. 420 del 1995 ). Anche l'entrata in vigore di un atto normativo - per sua natura generale ed astratto - integra di per sé un comportamento idoneo a far insorgere nel ricorrente l'interesse alla eliminazione del pregiudizio che, a suo avviso, ne deriva alle proprie attribuzioni costituzionali, e ciò senza che occorra attendere il concreto esercizio delle medesime in relazione ad un caso specifico (quasi a voler applicare anche nei giudizi sui conflitti il requisito della "rilevanza" tipico dei giudizi incidentali), condizione non richiesta dall'ordinamento per l'insorgere di un conflitto di attribuzione. ( Precedenti citati: sentenza n. 420 del 1995; ordinanza n. 521 del 2000 ).

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 18, comma 5

Conflitto di attribuzione tra poteri - Ricorso formulato utilizzando stralci di altro atto - Chiara esposizione delle ragioni del conflitto - Assenza di argomentazione per relationem - Ammissibilità del ricorso - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione d'inammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per carenza di motivazione, promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Il ricorrente, pur riportando letteralmente ampi stralci della delibera adottata dal Consiglio superiore della magistratura in data 15 giugno 2017, afferma con chiarezza di farla propria, evidenziando come, a suo avviso, l'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016 pregiudicherebbe la segretezza delle indagini, l'esercizio indipendente dell'azione penale e la diretta disponibilità della polizia giudiziaria da parte dell'autorità giudiziaria. Non si è perciò in presenza di una mera argomentazione per relationem. ( Precedenti citati: ordinanza n. 273 del 2017 ).

Conflitto di attribuzione tra poteri - Lamentata incisione delle attribuzioni del potere ricorrente (in particolare: pubblico ministero) a opera di decreto legislativo - Lamentata implicita violazione dei principi e criteri direttivi - Ricorso per eccesso di delega - Assenza di ridondanza nelle attribuzioni del ricorrente - Inammissibilità del ricorso.

È inammissibile, in riferimento all'art. 76 Cost., il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, che impone agli ufficiali di polizia giudiziaria, a seguito di apposite istruzioni, la trasmissione per via gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale". Benché il ricorrente non ragiona esplicitamente di una "ridondanza" dell'asserita violazione dei principi e dei criteri direttivi della delega sulle proprie attribuzioni costituzionali di cui agli artt. 109 e 112 Cost., anche a voler ritenere che tale asserzione sia implicita, la lamentata incisione sulle sue attribuzioni deriverebbe non già dall'eventuale eccesso di delega imputabile alla norma impugnata, bensì, in via diretta e immediata, dalla violazione dei parametri costituzionali pertinenti alle attribuzioni del pubblico ministero. Quand'anche conseguente ad un intervento che un potere dello Stato abbia compiuto in asserita carenza di potere (per avere adottato una disposizione di decreto legislativo reputata in eccesso di delega), il pregiudizio lamentato resta arrecato alla sola sfera di attribuzioni direttamente e specificamente riconosciuta dalla Costituzione al ricorrente, per cui il rimedio del conflitto è dato solo per la tutela di tali attribuzioni, alla luce dei parametri costituzionali che delimitano, tra i poteri in conflitto, il perimetro delle rispettive competenze. ( Precedenti citati: sentenze n. 221 del 2002, n. 139 del 2001 e n. 457 del 1999 ). In linea di principio, l'organo ricorrente per conflitto di attribuzione deve lamentare una diretta lesione delle sfere di competenze che la Costituzione gli riconosce, e tale esigenza è, se possibile, ancor più stringente laddove il conflitto tra poteri dello Stato abbia ad oggetto un atto avente valore legislativo, ed ancor più evidente proprio in riferimento all'art. 76 Cost., in virtù della natura logicamente preliminare dello scrutinio che lo assume a parametro, che involge il corretto esercizio della funzione legislativa. In assenza di tale limitazione, il significato del ricorso al rimedio del conflitto tra poteri potrebbe risultarne alterato in misura significativa, fino a trasformarsi in un controllo di conformità di una disposizione legislativa alla luce di qualunque parametro costituzionale, controllo che investirebbe il potere dello Stato ricorrente di una inesistente funzione di vigilanza costituzionale e del compito di sollecitare a questo scopo l'intervento della Corte costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 51 del 2017 e n. 250 del 2016 ).

Polizia giudiziaria - Obblighi degli ufficiali di polizia giudiziaria - Trasmissione alla propria scala gerarchica delle "notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria" - Previsione introdotta dall'art. 18, comma 5, del decreto legislativo n. 177 del 2016 - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri - Lesione delle attribuzioni del pubblico ministero - Dichiarazione di non spettanza del potere esercitato - Conseguente annullamento della disposizione impugnata in parte qua.

È dichiarato che non spettava al Governo della Repubblica adottare l'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, nella parte in cui prevede che "[e]ntro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale", e conseguentemente tale disposizione è annullata nella parte indicata. L'equiparazione di grado tra la fonte in tema di segreto investigativo di cui all'art. 329 cod. proc. pen. e quella impugnata - la cui formulazione nella sostanza riprende l'originaria disposizione, di rango solo regolamentare, contenuta nell'art. 237, comma 1, del d.P.R. n. 90 del 2010, relativo unicamente ai comandi dell'Arma dei carabinieri - le pone in posizione potenzialmente antagonista, non escludendo, in principio, la conseguenza che il coordinamento informativo a finalità organizzative trasmodi in una forma di coordinamento investigativo alternativa a quello affidato al pubblico ministero, trattandosi invece di funzioni diverse, che la legislazione ordinaria non può confondere o sovrapporre, a prezzo di violare il sistema costituzionale. Le ambiguità testuali disseminate, sotto vari profili, nella disposizione impugnata, infatti, non escludono che gli obblighi d'informazione nei confronti dei superiori gerarchici, alla luce dell'autorizzata deroga al rispetto degli obblighi previsti dal codice di procedura penale a tutela del segreto investigativo, finiscano invece per concentrare presso soggetti posti ai vertici delle Forze di polizia una notevole quantità di dati e informazioni di significato investigativo, ultronei rispetto alle necessità di coordinamento e di organizzazione, ledendo la sfera di attribuzioni costituzionali del ricorrente delineata dall'art. 109 Cost. Nell'attuale sistema del codice di rito, il segreto investigativo è un segreto "specifico", cioè relativo a singoli atti d'indagine, non perpetuo ma, normalmente, limitato nel tempo, strumentale al più efficace esercizio dell'azione penale, al fine di scongiurare ogni possibile pregiudizio alle indagini, innanzitutto a causa di un'anticipata conoscenza delle stesse da parte della persona indagata. Se esso non riceve, in assoluto, "copertura" nell'art. 112 Cost., ben potendo subire limitazioni od attenuazioni a tutela di altri interessi di rilievo costituzionale, nello stesso sistema del codice di rito resta fermo che ogni deroga avviene previo vaglio della stessa autorità giudiziaria competente, che ben può rigettare, motivandone le ragioni, una richiesta di atti e informazioni. (Precedenti citati: sentenze n. 420 del 1995 e n. 59 del 1995 ). L'art. 109 Cost., prevedendo che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ha il preciso e univoco significato di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della seconda nei confronti della prima, escludendo interferenze di altri poteri nella conduzione delle indagini, in modo che la direzione di queste ultime ne risulti effettivamente riservata all'autonoma iniziativa e determinazione dell'autorità giudiziaria medesima. Tale rapporto di subordinazione funzionale, se non collide con l'organico rapporto di dipendenza burocratica e disciplinare della polizia giudiziaria nei confronti del potere esecutivo (secondo la logica della duplice soggezione, che lo stesso art. 109 Cost. delinea), non ammette invece che si sviluppino, foss'anche per legittime esigenze informative ed organizzative, forme di coordinamento investigativo alternative a quello condotto dal pubblico ministero competente. ( Precedenti citati: sentenze n. 394 del 1998, n. 114 del 1968 e n. 94 del 1963 ).

Thema decidendum - Accoglimento della questione di legittimità costituzionale in riferimento a uno dei parametri evocati - Assorbimento dell'esame di parametro ulteriore.

Accolto - per violazione dell'art. 109 Cost. - il ricorso per conflitto tra poteri dello Stato promosso nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, in relazione all'art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, resta assorbita l'altra censura dedotta in riferimento all'art. 112 Cost.

Parametri costituzionali