Articolo 37 - COSTITUZIONE

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parita' di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di eta' per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parita' di lavoro, il diritto alla parita' di retribuzione.
Caricamento annuncio...

Massime della Corte Costituzionale

Trovate 10 massime

Pronuncia 158/2018Depositata il 13/07/2018

Maternità e infanzia - Indennità giornaliera di maternità - Condizioni - Previsione che tra la sospensione del Rapporto di lavoro e l'inizio del periodo di congedo di maternità non siano decorsi più di sessanta giorni - Deroghe al computo del termine - Assenza per congedo straordinario per l'assistenza al coniuge o al figlio che abbiano gravi disabilità - Omessa previsione - Irragionevolezza e violazione della difesa dell'infanzia e della maternità - Illegittimità costituzionale parziale.

È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 31 e 37 Cost., l'art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall'art. 42, comma 5, del medesimo d.lgs. n. 151, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l'assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'art. 4, comma 1, della legge n. 104 del 1992. La disposizione censurata dai Tribunali di Torino e di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, elencando in modo tassativo, senza che possano essere integrati da un'interpretazione adeguatrice, i casi di deroga al computo suddetto - che consentono, ove si verifichino, di usufruire ugualmente dell'indennità giornaliera di maternità - esclude due ipotesi che fanno emergere esigenze di tutela egualmente rilevanti. L'assetto così prefigurato dal legislatore, invece di garantire la cura del disabile nell'àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, pregiudica la madre che si faccia carico anche dell'assistenza al coniuge o al figlio disabili, attuando un bilanciamento irragionevole tra due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. La scelta imposta tra l'assistenza al disabile e la ripresa dell'attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità determina l'indebito sacrificio dell'una o dell'altra tutela, contrastando con il disegno costituzionale che tende a ravvicinarle e a farle convergere, nell'alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali, perseguendo l'obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. ( Precedenti citati: sentenze n. 205 del 2015, n. 203 del 2013, n. 158 del 2007, n. 19 del 2009, n. 233 del 2005, n. 423 del 1995, n. 132 del 1991, n. 61 del 1991, n. 332 del 1988, n. 106 del 1980 e n. 1 del 1987 ). Nel definire i presupposti dell'indennità di maternità, crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti, le scelte legislative, pur diversamente modulate con riferimento alle peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il fondamento della tutela costituzionale della maternità, che risiede nella maternità in quanto tale e vieta una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela. ( Precedenti citati: sentenza n. 205 del 2015, n. 405 del 2001 e n. 361 del 2000 ).

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 24, comma 3

Parametri costituzionali

Pronuncia 111/2017Depositata il 12/05/2017

Pensioni - Pensioni dei dipendenti pubblici - Impiegata che al 31 dicembre 2011 aveva maturato i requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia senza esercitare il diritto a tale pensione - Collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età - Ritenuta impossibilità di rimanere in servizio, a domanda, fino all'età di 66 anni e tre/sette mesi, asseritamente prevista per il collocamento a riposo dell'impiegato pubblico di sesso maschile che si trovi in analoga situazione - Denunciata violazione del principio di eguaglianza, della parità di diritti e di retribuzione della donna lavoratrice nonché del diritto primario e derivato dell'Unione europea - Diretta applicabilità di uno degli evocati principi europei - Conseguente inapplicabilità nel giudizio a quo della norma censurata e difetto di rilevanza - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 24, comma 3, primo periodo, del d.l. n. 201 del 2011 (conv., con modif., nella legge n. 214 del 2011), come interpretato dall'art. 2, comma 4, del d.l. n. 101 del 2013 (conv., con modif., nella legge n. 125 del 2013), e dell'art. 2, comma 21, della legge n. 335 del 1995, censurati dal Tribunale di Roma - in riferimento agli artt. 3 e 37, primo comma, Cost. e agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 157 del TFUE, all'art. 21 della CDFUE e all'art. 2 della direttiva 2006/54/CE - nella parte in cui imporrebbero il collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età dell'impiegata pubblica che alla data del 31 dicembre 2011 aveva maturato i requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia (con il raggiungimento del 61° anno di età e di 20 anni di contribuzione), impedendole di rimanere in servizio, a domanda, fino all'età di 66 anni e tre/sette mesi, corrispondente alla superiore età asseritamente prevista per il collocamento a riposo dell'impiegato pubblico di sesso maschile che si trovi in analoga situazione. Il rimettente ha prospettato il contrasto della normativa censurata con il principio di parità di retribuzione tra lavoratori senza distinzione di sesso, enunciato dall'art. 157 del TFUE, il quale - anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia - è norma direttamente applicabile dal giudice nazionale e lo vincola all'osservanza del diritto europeo, rendendo inapplicabile nel giudizio a quo la normativa censurata e, perciò, irrilevanti tutte le questioni sollevate. La complessità della materia, così come emerge dalle disposizioni censurate e dal quadro normativo in cui esse si inseriscono, avrebbe potuto tanto più indirizzare il giudice rimettente verso la strada del rinvio pregiudiziale alla Corte UE, al fine di verificare l'effettiva incompatibilità della normativa interna con il diritto a una effettiva parità di trattamento tra lavoratori uomini e donne. ( Precedenti citati: sentenze n. 226 del 2014, n. 267 del 2013, n. 86 e n. 75 del 2012, n. 227 e n. 28 del 2010, n. 284 del 2007; ordinanze n. 48 del 2017 e n. 207 del 2013 ).

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 24, comma 3
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 2, comma 4
  • legge-Art.
  • legge-Art. 2, comma 21

Parametri costituzionali

Pronuncia 205/2015Depositata il 22/10/2015

Famiglia e filiazione - Adozione nazionale - Madre libera professionista - Indennità di maternità - Spettanza solo se il bambino non abbia superato i sei anni di età - Disparità di trattamento rispetto alla madre libera professionista nel caso di adozione internazionale e alla madre lavoratrice dipendente nel caso di adozione nazionale - Irragionevolezza - Violazione dei principi di tutela della maternità e dell'infanzia e di protezione della donna lavoratrice e del bambino - Necessità di svincolare l'erogazione dell'indennità dal requisito del mancato superamento dei sei anni di età del bambino - Illegittimità costituzionale in parte qua.

E' costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, primo comma, 31, secondo comma, e 37, primo comma, Cost., l'art. 72 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 (nella versione antecedente alle novità introdotte dall'art. 20 del d.lgs. n. 80 del 2015), nella parte in cui, per il caso di adozione nazionale, prevede che l'indennità di maternità spetti alla madre libera professionista solo se il bambino non abbia superato i sei anni di età. La disciplina, infatti, si pone in insanabile contrasto con il principio di eguaglianza e con il principio di tutela della maternità e dell'infanzia, declinato anche come tutela della donna lavoratrice e del bambino. La singolarità del trattamento riservato alla libera professionista che opti per l'adozione nazionale è discriminatorio poiché carente di ogni giustificazione razionale, idonea a dar conto del permanere, soltanto per questa fattispecie, di un limite rimosso per tutte le altre ipotesi. Non è dato individuare, infatti, elementi che giustifichino la differenza di trattamento delle libere professioniste rispetto a quello stabilito dal legislatore per le madri lavoratrici dipendenti, e dalla Corte per le madri libere professioniste che privilegino l'adozione internazionale. La norma censurata, inoltre, pregiudica l'interesse del minore di nazionalità italiana coinvolto in una procedura di adozione, arbitrariamente discriminato per effetto del dato, accidentale ed estrinseco, della tipologia del rapporto di lavoro facente capo alla madre o delle particolarità del rapporto di filiazione che si instaura. Pertanto, determinando diversificazioni sprovviste di una precisa ragion d'essere, la disposizione impugnata pregiudica a un tempo l'interesse della madre e del minore e la funzione stessa dell'indennità di maternità, da riconoscersi senza distinzioni tra categorie di madri lavoratrici e tra figli. In merito alla modulazione temporale del trattamento di maternità delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, v. la citata sentenza n. 257/2012. Per la rimozione del limite per le madri libere professioniste che privilegino l'adozione internazionale, v. la citata la sentenza n. 371/2003.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 72 NELLA VERSIONE ANTECEDENTE ALLA NOVELLA DELL'ART.20 DEL D.LGS.15.06.2015, N.80

Parametri costituzionali

Pronuncia 310/2013Depositata il 17/12/2013

Università - Personale cosiddetto non contrattualizzato di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, tra cui i docenti universitari - Blocco per il triennio 2011-2013 dei meccanismi di adeguamento retributivo, degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all'anzianità di servizio, e di ogni effetto economico delle progressioni in carriera comunque denominate - Asserite irragionevolezza dell'azione legislativa, disparità di trattamento, lesione dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, violazione del principio di proporzionalità della retribuzione, lesione del principio di promozione della ricerca scientifica e del valore dell'insegnamento - Insussistenza - Sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza - Insussistenza della natura tributaria delle norme impugnate - Inconferenza dei parametri relativi alla libertà di insegnamento - Inidoneità del personale di magistratura a fungere da tertium comparationis - Sussistenza delle condizioni di legittimità dei meccanismi di risparmio della spesa pubblica - Non fondatezza delle questioni.

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, primo, secondo e terzo periodo, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 - riguardante il blocco per il triennio 2011-2013 dei meccanismi di adeguamento retributivo, degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all'anzianità di servizio, e di ogni effetto economico delle progressioni in carriera comunque denominate per il personale non contrattualizzato dell'Università -, sollevate in relazione agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37, 42, 53, 77 e 97 Cost. La questione sollevata in riferimento all'art. 77 Cost., per asserita mancanza dei presupposti di «necessità» e di «urgenza», non è fondata dato che l'esigenza del contenimento delle spese in materia di impiego pubblico - anche se non senza limiti - appare coerente con le finalità di contenimento della spesa pubblica, poiché la protrazione nel tempo delle misure previste non contraddice la sussistenza della necessità ed urgenza, attese le esigenze di programmazione pluriennale delle politiche di bilancio. In riferimento agli artt. 3, 97, 36 e 53 Cost., le questioni non sono fondate poiché alle disposizioni censurate non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non danno luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire risorse per l'erario, sicché non possono trovare ingresso le censure relative al mancato rispetto dei principi di progressività e di capacità contributiva. In riferimento agli artt. 9, 33, 34 e 97 Cost., le questioni non sono fondate in quanto detti parametri non sono conferenti al trattamento economico dei docenti universitari, posto che l'autonomia garantita dall'art. 33 Cost. non attiene allo stato giuridico dei professori universitari, i quali sono legati da rapporto di impiego con lo Stato e sono di conseguenza soggetti alla disciplina che la legge statale ritiene di adottare. In relazione agli artt. 2, 3, 36 e 97 Cost. nonché al principio dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, con riguardo al blocco sia dell'adeguamento, che delle classi e degli scatti, la non fondatezza discende dalla non estensibilità ai docenti universitari della pronuncia di cui alla sentenza n. 223 del 2012, riguardante il personale di magistratura, in considerazione della specificità di detto personale, specificità non sussistenti nella fattispecie in esame. Quanto al parametro della ragionevolezza, i sacrifici imposti dalle misure censurate (che prevedono il predetto blocco per la durata di tre anni, con l'espressa esclusione di successivi recuperi) hanno carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato e corrispondono ad esigenze di contenimento della spesa pubblica; né le disposizioni de quibus modificano il meccanismo di progressione economica che continua a decorrere, sia pure articolato, di fatto, in un arco temporale maggiore, a seguito dell'esclusione del periodo in cui è previsto il blocco; tanto più che le misure di contenimento sono coerenti con i parametri costituzionali posti a salvaguardia dell'equilibrio dei bilanci da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in ragione del più ampio contesto economico europeo che esige una proiezione che vada oltre il ciclo di bilancio annuale (artt. 81, 97, primo comma, e 119 Cost.), mirando, in una prospettiva pluriennale della situazione di crisi economica, a realizzare un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica. Circa la lamentata non ragionevolezza, per disparità di trattamento tra il regime pubblico e quello privato, delle disposizioni impugnate poiché non incidono su coloro che non dichiarano le proprie disponibilità economiche all'amministrazione finanziaria, occorre rilevare che, in merito, il legislatore non potrebbe che operare su altri piani, precipuamente fiscali, con meccanismi quindi non comparabili con le misure in questione, senza considerare che le profonde diversità di stato giuridico (es. minore stabilità del rapporto) e di trattamento economico tra il trattamento del lavoro pubblico rispetto a quello privato escludono ogni possibilità di comparazione. Quanto alla asserita lesione dell'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, il legislatore può anche emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni «non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto», situazione che nella specie non può dirsi sussistente. Circa la prospettata, connessa lesione dell'art. 36 Cost., si deve rilevare, come, allo scopo di verificare la legittimità delle norme in tema di trattamento economico dei dipendenti, occorra far riferimento, non già alle singole componenti di quel trattamento, ma alla retribuzione nel suo complesso, dovendosi avere riguardo - in sede di giudizio di non conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza - al principio di onnicomprensività della retribuzione medesima; pertanto tale parametro, ex se ed in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., non risulta violato, non incidendo le disposizioni in esame sulla struttura della retribuzione dei docenti universitari nel suo complesso, né emergendo una situazione che leda le tutele socio-assistenziali degli interessati e dunque l'art. 2 Cost. Quanto alla ritenuta irragionevolezza per le ricadute delle norme impugnate sulla riforma introdotta dalla legge n. 240 del 2010 (sull'incentivazione della qualità e dell'efficienza del sistema universitario), va affermato che il buon andamento dell'amministrazione universitaria, anche in riferimento all'art. 9 Cost., non è connesso al solo sistema di avanzamento in carriera dei docenti e ricercatori universitari, come delineato dagli artt. 6 ed 8 della legge n. 240 del 2010, e pertanto non risulta compromesso. Quanto infine ai differenti effetti del blocco in ragione della diversa anzianità di servizio maturata, il sacrificio imposto al personale docente, se pure particolarmente gravoso per quello più giovane, appare, in quanto temporaneo, congruente con la necessità di risparmi consistenti ed immediati. - In tema di elementi indefettibili della fattispecie tributaria, cfr. la citata sentenza n. 223/2012. - In tema di interpretazione degli artt. 33 e 34 Cost., cfr. le citate sentenze nn. 383/1998 e 22/1996. - In tema di blocco di adeguamento stipendiale, nonché delle classi e degli scatti, v. le citate sentenze nn. 223/2012 e 245/1997. - In tema di blocco dell'adeguamento stipendiale e della progressione economica per classi e scatti, v. le citate sentenze nn. 223/2012, 189/2012, 245/1997 e 299/1999. - In tema di affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, cfr. le citate sentenze nn. 166/2012, 302/2010, 236/2009 e 206/2009. - In tema di art. 36 Cost., v. le citate sentenze nn. 120/2012 e 287/2006.

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 9, comma 21
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 9, comma 21
  • decreto-legge-Art. 9, comma 21

Pronuncia 312/2012Depositata il 20/12/2012

Maternità e infanzia - Donna esercente la libera professione di avvocato - Mancato riconoscimento del diritto di usufruire del periodo di maternità così come previsto dall'ordinamento italiano per le altre lavoratrici - Mancata possibilità di sospendere la decorrenza dei termini prescrizionali per legittimo impedimento del difensore - Asserita violazione dei principi di eguaglianza e di protezione della maternità e dell'infanzia - Asserita violazione del diritto di difesa a tutela del cliente - Mancata indicazione della disposizione oggetto di censura - Carenza descrittiva della fattispecie che non consente valutazioni sulla rilevanza - Omesso tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata - Manifesta inammissibilità della questione.

Dichiarazione di manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del mancato riconoscimento alla donna esercente la libera professione di avvocato del «diritto di usufruire del periodo di maternità così come previsto dall'Ordinamento italiano per le altre lavoratrici», sollevata, in riferimento agli articoli 3, 31, secondo comma, e 37 della Costituzione ed al diritto di difesa, dal Tribunale ordinario di Perugia, sezione distaccata di Foligno. Alla suddetta conclusione si perviene per molteplici ragioni. Un primo profilo d'inammissibilità deriva dalla mancata indicazione della norma censurata (ordinanze n. 307 del 2011, n. 227 del 2007 e n. 85 del 2003), che, all'esame dell'intero contesto dell'atto di rimessione, non risulta identificabile nemmeno per indicazione implicita, stante anche la carenza descrittiva della fattispecie concreta. L'impossibilità, per le enunciate ragioni, di una precisa individuazione della norma censurata si riverbera inevitabilmente sulla rilevanza della questione, non potendosi valutare la necessità di applicazione della norma stessa. Inoltre, il rimettente non dà contezza dei motivi che gli impediscono di applicare alla fattispecie al suo esame la disciplina dell'impedimento a comparire del difensore (artt. 484, comma 2- bis , e 420- ter , comma 5, del codice di procedura penale) senza sollevare la questione di legittimità, sperimentando così la praticabilità di una soluzione interpretativa idonea a superare la prospettata questione (ordinanza n. 101 del 2011). L'omesso accertamento dell'applicabilità e degli eventuali effetti sul giudizio principale del regime di cui al combinato disposto degli artt. 484, comma 2- bis , e 420- ter , comma 5, cod. proc. pen. si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione ed è profilo preliminare rispetto a quello della mancata esplicitazione da parte del giudice a quo delle ragioni ritenute ostative ad un'interpretazione costituzionalmente orientata. Peraltro, anche tale doveroso tentativo ermeneutico (ordinanze n. 194 del 2012, n. 192 del 2010 e n. 154 del 2010) è stato completamente omesso.

Parametri costituzionali

Pronuncia 295/2012Depositata il 19/12/2012

Magistrati - Magistrati ordinari - Indennità giudiziaria - Situazioni di sospensione delle funzioni in cui l'indennità non viene corrisposta - Esclusione dal novero delle predette situazioni dell'astensione obbligatoria per maternità - Riconoscimento del diritto alla prestazione indennitaria, in base al diritto vivente, solo per l'avvenire - Asserita violazione del principio di ragionevolezza e di eguaglianza - Asserita violazione dei principi costituzionali in materia di protezione della famiglia, della maternità e dell'infanzia - Insussistenza - Non fondatezza della questione.

Deve essere dichiarata non fondata la questione di costituzionalità relativa alla retroattività del riconoscimento della spettanza dell'indennità giudiziaria durante i periodi di astensione obbligatoria a tutti i magistrati in maternità, che, invece, opera soltanto limitatamente ai casi successivi alla modifica apportata dall'art. 1, comma 325, legge n. 311 del 2004. La mancata interpretazione retroattiva della norma non viola, infatti, i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, poiché non determina una disparità di trattamento con la generalità delle dipendenti statali, i magistrati (uomini e donne) in servizio. Inoltre, non viola i principi costituzionali in materia di protezione della famiglia, della maternità e dell'infanzia, perché la mancata erogazione della indennità giudiziaria non può fare considerare il trattamento complessivamente assicurato alla donna magistrato insufficiente ai fini della tutela garantita alla famiglia ed ai figli dagli artt. 29 e 30 Cost. - In relazione al principio di uguaglianza, sentenze n. 238 del 1990 (donne magistrato e la generalità delle dipendenti statali), n. 407 del 1996 (donne magistrato obbligatoriamente assenti per maternità e i magistrati in servizio), n.106 del 1997 (magistrati donne e magistrati uomini) e ordinanze n. 290 del 2006 e nn. 137 e 346 del 2008 (donne magistrato e il personale della cancelleria e delle segreterie giudiziarie). - Sull'indennità giudiziaria, sentenze n. 57 del 1990 e n. 119 del 1991. - Sull'adeguatezza costituzionale del trattamento complessivamente assicurato alla donna magistrato in maternità, da ultimo, sentenza n. 290 del 2006. - Sulla tematica generale della discrezionalità del legislatore nel collocare nel tempo le innovazioni normative, ordinanze n. 137 e 346 del 2008.

Norme citate

  • legge-Art. 3, comma 1
  • legge-Art. 1, comma 325

Pronuncia 257/2012Depositata il 22/11/2012

Maternità e infanzia - Lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 - Adozione e affidamento preadottivo di minore - Modalità di erogazione dell'indennità di maternità per un periodo di tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia - Censura di norma di cui il rimettente non deve fare applicazione - Difetto di rilevanza - Inammissibilità della questione.

È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 67, comma 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, sollevata dal Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli articoli 3, 31 e 37 Cost. Infatti, la suddetta norma disciplina le modalità di erogazione della indennità di maternità, in caso di adozione o di affidamento (preadottivo) nazionale e internazionale, con riguardo alla categoria delle lavoratrici autonome ed imprenditrici agricole. Nella fattispecie sottoposta all'esame del giudice a quo si tratta, invece, di una lavoratrice autonoma iscritta alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, rientrante nella previsione della specifica normativa stabilita dall'art. 64 del citato decreto legislativo, disposizione destinata, per l'appunto, a regolare la posizione delle lavoratrici iscritte alla detta gestione separata. Pertanto, il rimettente non deve fare applicazione del censurato art. 67, comma 2, in ordine al quale, del resto, non si rinviene nell'ordinanza una specifica motivazione diretta a spiegare le ragioni della sua evocazione.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 67, comma 2

Parametri costituzionali

Pronuncia 257/2012Depositata il 22/11/2012

Maternità e infanzia - Lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 - Adozione e affidamento preadottivo di minore - Prestazione dell'indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi, come previsto per le lavoratrici dipendenti - Irragionevole disparità di trattamento - Illegittimità costituzionale in parte qua - Assorbimento degli ulteriori profili di censura.

Deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 64, comma 2, del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, come integrato dal richiamo al decreto ministeriale 4 aprile 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 12 giugno 2002, nella parte in cui, relativamente alle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, prevede l'indennità di maternità per un periodo di tre mesi anziché di cinque mesi. Infatti - a parte l'irrilevanza del mancato espresso richiamo da parte dell'art. 64 cit. all'affidamento preadottivo, situazione che si deve considerare compresa nella tutela per implicito, sulla base del quadro normativo di riferimento - l'attribuzione dell'indennità de qua per un solo trimestre dà luogo ad un appare manifestamente irragionevole rispetto al periodo di cinque mesi riconosciuto in favore sia delle lavoratrici dipendenti il congedo di maternità, sia delle lavoratrici che abbiano adottato un minore, vuoi in caso di adozione nazionale vuoi in caso di adozione internazionale (art. 26, commi 1, 2, 3, del d.lgs. n. 151 del 2001, come sostituito dall'art. 2, comma 452, della legge n. 244 del 2007). Tale disciplina, infatti, senza alcun valido motivo, non soltanto non offre una adeguata tutela alla donna in maternità appartenente alla categoria considerata, ma soprattutto si pone in contrasto con il preminente interesse del minore, che va tutelato non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo, collegate allo sviluppo della sua personalità (sentenze n. 385 del 2005 e n. 179 del 1993), interesse cui mira tutta la normativa sulla tutela della maternità, come più volte affermato nella giurisprudenza costituzionale. Inoltre, la disciplina stessa determina una discriminazione che si rivela lesiva del principio di parità di trattamento tra le due figure di lavoratrici sopra indicate che, con riguardo ai rapporti con il minore (adottato o affidato in preadozione), nonché alle esigenze che dai rapporti stessi derivano, stante l'identità del bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza. Infatti, nonostante le indubbie diversità esistenti tra lavoratrici dipendenti e lavoratrici iscritte alla gestione separata, che rendono le due categorie non omogenee, tuttavia, con riguardo alla questione in esame vengono in rilievo non già tali differenze, bensì la necessità di adeguata assistenza per il minore nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, anche nel periodo che precede il suo ingresso nella famiglia stessa, e tale necessità si presenta con connotati identici per entrambe le categorie di lavoratrici.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 64, comma 2

Parametri costituzionali

Pronuncia 116/2011Depositata il 07/04/2011

Lavoro e occupazione - Lavoratrici madri - Ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata - Diritto della madre lavoratrice ad usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare - Mancata previsione - Eccepita inammissibilità della questione per richiesta di pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata - Reiezione.

Va disattesa l'eccezione preliminare di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 1, lett. c ), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53) - sollevata nella parte in cui non prevede, nell'ipotesi di parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare - in quanto la richiesta pronuncia additiva non ha contenuto discrezionale, perché in caso di parto prematuro il dies a quo di decorrenza del periodo di astensione obbligatoria non può che essere quello dell'ingresso del neonato nella casa familiare, unico momento certo per stabilire tra madre e figlio quella comunione di vita che l'immediato ricovero del neonato nella struttura ospedaliera non ha consentito.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 16

Parametri costituzionali

Pronuncia 116/2011Depositata il 07/04/2011

Lavoro e occupazione - Lavoratrici madri - Ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata - Diritto della madre lavoratrice ad usufruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare - Mancata previsione - Ingiustificata disparità di trattamento tra il parto a termine ed il parto prematuro - Contrasto con i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia - Illegittimità costituzionale in parte qua .

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 16, comma 1, lett. c ), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell'ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare. In tale ipotesi, infatti, la madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato; nel frattempo, però, il periodo di astensione obbligatoria decorre, ed ella è obbligata a riprendere l'attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa, sicché il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Detta previsione, pertanto, si pone in contrasto sia con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento - privo di ragionevole giustificazione - tra il parto a termine e il parto prematuro, sia con i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia (artt. 29, primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.). Precedente specifico in argomento è la sentenza n. 270 del 1999, declaratoria della illegittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, lett. c ) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui non prevedeva, per l'ipotesi di parto prematuro, una decorrenza dei termini del periodo dell'astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino (pronuncia additiva di principio). In materia di tutela delle lavoratrici madri v., tra le numerose pronunce, le sentenze n. 1 del 1987, n. 332 del 1988 e n. 495 del 2002.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 16 LETT. C)

Parametri costituzionali

Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.