Pronuncia 111/2017

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 24, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come interpretato dall'art. 2, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dell'art. 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, nel procedimento vertente tra A. C. e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con ordinanza del 7 aprile 2016, iscritta al n. 207 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2017 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 24, comma 3, primo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come interpretato dall'art. 2, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e dell'art. 2, comma 21, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevate dal Tribunale ordinario di Roma, in riferimento agli artt. 3, 11, 37, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 157 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e all'art. 2 della direttiva 5 luglio 2006, n. 2006/54/CE, recante «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)», con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2017. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Silvana SCIARRA, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2017. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Silvana Sciarra

Data deposito: Fri May 12 2017 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

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Massime

Interpretazione della norma censurata - Non implausibilità dell'interpretazione affermata dal rimettente - Sufficienza ai fini della rilevanza - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 3, primo periodo, del d.l. n. 201 del 2011 (come interpretato dall'art. 2, comma 4, del d.l. n. 101 del 2013) e dell'art. 2, comma 21, della legge n. 335 del 1995, non è accolta l'eccezione di inammissibilità formulata per asserita erroneità dell'interpretazione posta a base della rilevanza. Non è infatti implausibile la valutazione del rimettente, secondo cui la dipendente pubblica che, alla data del 31 dicembre 2011, abbia maturato i requisiti di età e di anzianità assicurativa e contributiva per la pensione di vecchiaia senza esercitare il diritto a tale pensione dovrebbe essere collocata a riposo all'età di 65 anni, con la conseguenza che nel giudizio a quo non potrebbe essere accolta la domanda della ricorrente di rimanere in servizio fino all'età di 66 anni e tre mesi, asseritamente prevista per il collocamento a riposo dell'impiegato pubblico di sesso maschile che si trovi in analoga situazione. Secondo la giurisprudenza costituzionale, ai fini dell'ammissibilità della questione incidentale è sufficiente che la motivazione sulla rilevanza risulti non implausibile. ( Precedenti citati: sentenze n. 203 del 2016, n. 200 del 2016 e n. 133 del 2016 ).

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 24, comma 3
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 2, comma 4
  • legge-Art.
  • legge-Art. 2, comma 21

Unione europea - Primato del diritto dell'Unione - Obblighi per il giudice nazionale - Non applicazione delle disposizioni di diritto interno contrastanti con quelle dell'UE immediatamente applicabili, salvo il rispetto dei c.d. controlimiti all'adattamento.

La non applicazione delle disposizioni di diritto interno incompatibili con il diritto dell'Unione europea - non equiparabile in alcun modo a ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità delle stesse - rientra tra gli obblighi del giudice nazionale, vincolato all'osservanza del diritto dell'UE e alla garanzia dei diritti che lo stesso ha generato, con il solo limite del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona. ( Precedente citato: sentenza n. 389 del 1989 ).

Pensioni - Pensioni dei dipendenti pubblici - Impiegata che al 31 dicembre 2011 aveva maturato i requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia senza esercitare il diritto a tale pensione - Collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età - Ritenuta impossibilità di rimanere in servizio, a domanda, fino all'età di 66 anni e tre/sette mesi, asseritamente prevista per il collocamento a riposo dell'impiegato pubblico di sesso maschile che si trovi in analoga situazione - Denunciata violazione del principio di eguaglianza, della parità di diritti e di retribuzione della donna lavoratrice nonché del diritto primario e derivato dell'Unione europea - Diretta applicabilità di uno degli evocati principi europei - Conseguente inapplicabilità nel giudizio a quo della norma censurata e difetto di rilevanza - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 24, comma 3, primo periodo, del d.l. n. 201 del 2011 (conv., con modif., nella legge n. 214 del 2011), come interpretato dall'art. 2, comma 4, del d.l. n. 101 del 2013 (conv., con modif., nella legge n. 125 del 2013), e dell'art. 2, comma 21, della legge n. 335 del 1995, censurati dal Tribunale di Roma - in riferimento agli artt. 3 e 37, primo comma, Cost. e agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 157 del TFUE, all'art. 21 della CDFUE e all'art. 2 della direttiva 2006/54/CE - nella parte in cui imporrebbero il collocamento a riposo al raggiungimento del 65° anno di età dell'impiegata pubblica che alla data del 31 dicembre 2011 aveva maturato i requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia (con il raggiungimento del 61° anno di età e di 20 anni di contribuzione), impedendole di rimanere in servizio, a domanda, fino all'età di 66 anni e tre/sette mesi, corrispondente alla superiore età asseritamente prevista per il collocamento a riposo dell'impiegato pubblico di sesso maschile che si trovi in analoga situazione. Il rimettente ha prospettato il contrasto della normativa censurata con il principio di parità di retribuzione tra lavoratori senza distinzione di sesso, enunciato dall'art. 157 del TFUE, il quale - anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia - è norma direttamente applicabile dal giudice nazionale e lo vincola all'osservanza del diritto europeo, rendendo inapplicabile nel giudizio a quo la normativa censurata e, perciò, irrilevanti tutte le questioni sollevate. La complessità della materia, così come emerge dalle disposizioni censurate e dal quadro normativo in cui esse si inseriscono, avrebbe potuto tanto più indirizzare il giudice rimettente verso la strada del rinvio pregiudiziale alla Corte UE, al fine di verificare l'effettiva incompatibilità della normativa interna con il diritto a una effettiva parità di trattamento tra lavoratori uomini e donne. ( Precedenti citati: sentenze n. 226 del 2014, n. 267 del 2013, n. 86 e n. 75 del 2012, n. 227 e n. 28 del 2010, n. 284 del 2007; ordinanze n. 48 del 2017 e n. 207 del 2013 ).

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 24, comma 3
  • legge-Art.
  • decreto-legge-Art. 2, comma 4
  • legge-Art.
  • legge-Art. 2, comma 21

Parametri costituzionali