Articolo 87 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarati inammissibili - per assenza del requisito soggettivo - i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposti da Giulio Marcon, Giuseppe Civati, Beatrice Brignone e Andrea Maestri, nella qualità di membri della Camera dei deputati nella XVII legislatura, nei confronti del Governo della Repubblica italiana, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione all'omessa presentazione del progetto di legge di autorizzazione alla ratifica del "Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica italiana", firmato a Roma il 2 febbraio 2017. Le attribuzioni dedotte dai ricorrenti (potere di discussione, di emendamento e di voto sui disegni di legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali) sono riconducibili alle prerogative delle quali - per espressa previsione costituzionale (art. 72, quarto comma, riserva di assemblea; e art. 80 Cost., riserva di legge formale) - è titolare esclusivamente l'assemblea, e non il suo singolo componente, cosicché solo ad essa è rimessa la valutazione dell'opportunità di insorgere avverso possibili violazioni, non essendo configurabile alcuna concorrenza tra la legittimazione attiva del singolo parlamentare e quella della Camera di appartenenza. Rimane peraltro impregiudicata la questione se in altre situazioni siano configurabili attribuzioni individuali di potere costituzionale, per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a ricorrere allo strumento del conflitto tra poteri dello Stato. ( Precedenti citati: sentenza n. 225 del 2001; ordinanze n. 277 del 2017 e n. 177 del 1998 ). La legittimazione ad adire la Corte costituzionale con lo strumento del conflitto tra poteri dello Stato si fonda sull'esistenza di una sfera protetta di attribuzioni, delle quali si lamenti la lesione; ciò vale anche in riferimento alle prerogative parlamentari, che non possono non implicare un potere dell'organo a tutela del quale sono disposte. ( Precedente citato: sentenza n. 1150 del 1988 ). Con riferimento alla riserva di assemblea di cui all'art. 72, quarto comma, Cost., la garanzia connessa con la competenza dell'assemblea plenaria discende dal sistema delle norme costituzionali che definiscono le attribuzioni delle Camere rispetto ai trattati internazionali (artt. 80 ed 87 Cost.). ( Precedente citato: sentenza n. 295 del 1984 ).
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate in relazione agli artt. 2, 3, 10, 11, 13, 24, 25, 27, 80, 87 e 117 della Costituzione (quanto a quest'ultimo, in riferimento alle norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5 e 16 del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito dei migranti, e all'art. 7 della Convenzione delle Nazioni Unite del 20 novembre 1989, sui diritti del fanciullo) - dell'art. 10- bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a ), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato. Le ordinanze di rimessione presentano infatti carenze sia in punto di descrizione della fattispecie concreta - limitandosi a riportare, nell'epigrafe, il capo di imputazione, che si rivela, tuttavia, mera e generica parafrasi della norma incriminatrice - sia in ordine alla motivazione sulla rilevanza, affermata in termini puramente assiomatici. La mancanza di ogni concreta indicazione sulle vicende oggetto dei giudizi a quibus e sulla loro effettiva riconducibilità al paradigma punitivo considerato, atta a permettere la verifica dell'asserita rilevanza delle questioni sia nel loro complesso che in rapporto alle singole censure prospettate, preclude pertanto lo scrutinio nel merito delle questioni medesime. - Per precedenti declaratorie di inammissibilità con analoghe motivazioni su questioni simili inerenti la medesima norma oggetto di scrutinio, v. le richiamate ordinanze n. 65, n. 64, n. 32 e n. 13 del 2011, n. 253 del 2010.
Nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano in relazione a "indebite pressioni" che, nel corso dell'attività di indagine sul sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, sarebbero state esercitate sugli indagati affinché rivelassero il segreto di Stato da loro opposto, ed in relazione ad attività di intercettazione "a tappeto" sulle utenze telefoniche intestate al SISMI, non possono ritenersi fondate le censure mosse, avendo le stesse ad oggetto condotte non tutelabili mediante l'istituto del conflitto tra poteri dello Stato. Sotto il profilo della utilizzabilità processuale del contenuto delle intercettazioni, l'Autorità giudiziaria non potrà porre a fondamento delle sue determinazioni elementi conoscitivi che risultassero coperti dal segreto di Stato. - Sul punto, citata, sentenza n. 110/1998.
E' ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Milano in relazione al decreto di rinvio a giudizio emesso il 16 febbraio 2007 nei confronti di alcuni funzionari del SISMI e di agenti di un servizio straniero. Infatti, il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela del segreto di Stato, e il GUP è legittimato a resistere nel conflitto, in quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, è competente a dichiarare definitivamente, nell'esercizio delle proprie funzioni, la volontà del potere cui appartiene. In ordine al profilo oggettivo, è lamentata dal ricorrente la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri la tutela del segreto di Stato. - Sulla legittimazione del Presidente del Consiglio dei ministri a sollevare conflitti, v. citate, sentenze n. 487/2000, n. 410 e n. 110/1998, n. 86/1977, ordinanze n. 320 e n. 321/1999, n. 266/1998 e n. 426/1997. - Sulla legittimazione del GUP a essere parte di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato v., citate, sentenza n. 225/2001, ordinanza n. 102/2000. - Sulla responsabilità del Presidente del Consiglio del ministri in ordine alla tutela del segreto di Stato, v., citate, sentenze n. 487/2000, nn. 410 e 110/1998, n. 86/1977, ordinanze n. 321 e 320/1999, n. 266/1998 e n. 426/1997.
E' ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Presidente del consiglio dei Ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in relazione alla attività di indagine - ed alla successiva richiesta di rinvio a giudizio del 5 dicembre 2006 - svolta nei confronti di funzionari del Sismi, di agenti di un servizio straniero e di altri, volta ad acquisire elementi di conoscenza su circostanze incise dal segreto di Stato. Sussistono, infatti, i requisiti soggettivo e oggettivo per l'ammissibilità del ricorso, per un verso, essendo legittimato a sollevare il conflitto il Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni, per altro, sussistendo la legittimazione a resistere del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in quanto, ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, è il titolare diretto ed esclusivo dell'attività di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale. Infine, quanto al profilo oggettivo del conflitto, è lamentata dal ricorrente la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, la tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato medesimo. - In relazione alla legittimazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, quale organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, v., citate, sentenze nn. 487/2000, 410 e 110/1998, 86/1977; ordinanze nn. 320 e 321/1999, 266/1998 e 426/1997. - In relazione alla legittimazione del Pubblico Ministero ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato v., citate, sentenze nn. 487/2000, 410 e 110/1998; ordinanze nn. 321/1999, 266/1998 e 426/1997; nonché sentenze nn. 58/2004, 345/2001, 57/2000 ed ordinanze nn. 73/2006, 404/2005, 232/2003 e 521/2000. - In relazione alla tutela del segreto di Stato quale strumento destinato a salvaguardare la sicurezza dello Stato medesimo, v. sentenze nn. 487/2000, 410 e 110/1998, 86/1977; ordinanze nn. 321 e 320/1999, 266/1998 e 426/1997.
Non spetta al Ministro della Giustizia di impedire la prosecuzione del procedimento volto alla adozione della determinazione del Presidente della Repubblica relativa alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi e conseguente va annullato l'impugnata nota ministeriale del 24 novembre 2004, con la quale il Ministro della Giustizia aveva opposto il proprio rifiuto di dare corso alla predetta determinazione del Capo dello Stato. Ed invero, una volta recuperato l'atto di clemenza alla sua funzione di mitigare o elidere il trattamento sanzionatorio per eccezionali ragioni umanitarie, risulta evidente la necessità di riconoscere nell'esercizio di tale potere - conformemente anche alla lettera dell'art. 87, undicesimo comma, Cost. - una potestà decisionale del Capo dello Stato, quale organo super partes , «rappresentante dell'unità nazionale», estraneo a quello che viene definito il "circuito" dell'indirizzo politico-governativo, e che in modo imparziale è chiamato ad apprezzare la sussistenza in concreto dei presupposti umanitari che giustificano l'adozione del provvedimento di clemenza, sicché, qualora il Presidente della Repubblica abbia sollecitato il compimento dell'attività istruttoria ovvero abbia assunto direttamente l'iniziativa di concedere la grazia, il Guardasigilli, non potendo rifiutarsi di dare corso all'istruttoria e di concluderla, determinando così un arresto procedimentale, può soltanto rendere note al Capo dello Stato le ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento, in quanto ammettere che il Ministro possa o rifiutarsi di compiere la necessaria istruttoria o tenere comunque un comportamento inerte, equivarrebbe ad affermare che egli disponga di un inammissibile potere inibitorio, una sorta di potere di veto, in ordine alla conclusione del procedimento volto all'adozione del decreto di concessione della grazia voluto dal Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, nella delineata ipotesi in cui il Ministro Guardasigilli gli abbia fatto pervenire le sue motivate valutazioni contrarie all'adozione dell'atto di clemenza, ove non le condivida, adotta direttamente il decreto concessorio, esternando nell'atto le ragioni per le quali ritiene di dovere concedere ugualmente la grazia, malgrado il dissenso espresso dal Ministro, con la conseguenza che, a fronte della determinazione presidenziale favorevole alla adozione dell'atto di clemenza, la controfirma del decreto concessorio, da parte del Ministro della Giustizia, costituisce l'atto con il quale il Ministro si limita ad attestare la completezza e la regolarità dell'istruttoria e del procedimento seguito e che l'assunzione della responsabilità politica e giuridica del Ministro controfirmante, a norma dell'art. 89 della Costituzione, trova il suo naturale limite nel livello di partecipazione del medesimo al procedimento di concessione dell'atto di clemenza. > >- Sulla peculiare connotazione funzionale del potere di grazia, che tende a favorire l'emenda del reo e il suo reinserimento nel tessuto sociale, v. sentenza n. 134/1976. > >- Sul consolidato orientamento che, con implicito riferimento al principio di separazione dei poteri, esclude ogni coinvolgimento di esponenti del Governo nella fase dell'esecuzione delle sentenze penali di condanna, in ragione della sua giurisdizionalizzazione ed in ossequio al principio secondo il quale solo l'autorità giudiziaria può interloquire in materia di esecuzione penale, v. citate sentenze n. 274/1990, n. 114/1979, n. 192/1976, n. 204 e n. 110/1974.
E? ammissibile - in base ad una preliminare ed interlocutoria valutazione, che lascia impregiudicata ogni ulteriore e diversa determinazione, relativamente anche ai profili attinenti alla stessa ammissibilità del ricorso - il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente della Repubblica nei confronti del Ministro della giustizia, «in relazione al rifiuto, da questi opposto, di dare corso alla determinazione, da parte del Presidente della Repubblica, di concedere la grazia ad Ovidio Bompressi», rifiuto risultante dalla nota del 24 novembre 2004 inviata dal medesimo Ministro al Capo dello Stato.
Nel giudizio con il quale il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 24, 87, 88, 113, 114, 117 secondo comma, lett. f), terzo, quarto, quinto e sesto comma, 121, 122, 123, 126 e 134 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 14, comma 2, 20, comma 2, lettera b), 39, comma 3, 40, comma 1, 41, comma 2, 43, comma 2, 50, comma 3, 64, 76, comma 1, lettera b), dello statuto della Regione Liguria approvato in prima deliberazione il 27 luglio 2004 ed in seconda deliberazione il 28 settembre 2004, e pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Liguria n. 9 del 6 ottobre 2004, la rinuncia al ricorso, per essersi la Regione adeguata ai rilievi formulati, in assenza di parte costituita comporta, ai sensi dell'articolo 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l'estinzione del processo. - Estinzione del processo, in assenza di parte costituita, a seguito di rinuncia al ricorso nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale: ordd. n. 6 del 2005 e n. 234 del 1999.
Inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 della legge 29 marzo 2001, n. 135, sollevate in riferimento agli articoli 3, 5, 87, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, agli articoli 1 e 2 della legge 15 marzo 1997, n. 59 ed agli articoli 43 e 44 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Non risulta, infatti, che, nel periodo anteriore all?entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, le disposizioni censurate abbiano in pratica prodotto effetti lesivi tali da determinare un?invasione nella sfera di attribuzioni delle Regioni ricorrenti. Essendo, invece, pacifico che dopo il nuovo titolo V della Costituzione le Regioni ben possono esercitare in materia di turismo tutte quelle attribuzioni di cui ritengano di essere titolari ? come anche confermato nel quadro normativo conseguente all?emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 settembre 2002, di attuazione della legge denunciata ?, attraverso una disciplina legislativa che può essere anche sostitutiva di quella statale, risulta chiara la sopravvenuta carenza d?interesse delle Regioni ricorrenti all?annullamento delle disposizioni statali censurate. - In tema di ammissibilità di una disciplina regionale anche sostitutiva di quella statale, menzionata la sentenza n. 510/2002.
Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 70 e 71, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 414, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38, 76 e 87 della Costituzione, nella parte in cui prevedono la soppressione del Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto e pongono, a carico dei lavoratori già in servizio prima della soppressione, un obbligo contributivo maggiorato rispetto agli altri dipendenti. Infatti, a) la maggiore ritenuta previdenziale concerne i dipendenti che, pur transitati nel regime dell'assicurazione generale, continuano a beneficiare 'pro rata' del più favorevole trattamento assicurato dal Fondo soppresso; b) il termine stabilito per l'esercizio della delega legislativa non è superato se nel termine viene emanato il decreto presidenziale - in cui si sostanzia l'esercizio della funzione - a nulla rilevando che la sua pubblicazione - fatto esterno all'esercizio della funzione delegata - sia successiva; c) sono inconferenti, rispetto al vizio di eccesso di delega, le critiche riferite al contenuto dei criteri direttivi stabiliti dalla legge delega. - Sul punto sub a) v. citata ordinanza n. 164/2002. - Sul punto sub b) v. citate sentenze n. 34/1960, n. 91/1962, n. 425/2000.