Articolo 123 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l'intervento di soggetti che ne siano privi, fermi restando per costoro, ove ne ricorrano i presupposti, gli altri mezzi di tutela giurisdizionale eventualmente esperibili. Ciò vale, a fortiori , alla luce dell'art. 4- ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione temporis , che consente alle formazioni sociali senza scopo di lucro e ai soggetti istituzionali portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità di presentare un'opinione scritta in qualità di amici curiae . ( Precedenti: S. 16/2021-mass. 43573; S. 3/2021-mass. 43358; S. 134/2020-mass. 43390; S. 56/2020-mass. 42159 ). (Nel caso di specie, è dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione, l'intervento ad adiuvandum spiegato dalla Associazione Legambiente Sicilia Aps nel giudizio di legittimità costituzionale - promosso dal Governo, in riferimento agli artt. 3, 117, secondo comma, lett. l e s , 123 e 127 Cost., nonché agli artt. 14 e 27 dello statuto della Regione Siciliana - dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 19 del 2021, che, al fine di fornire l'interpretazione autentica dell'art. 24 della legge reg. Siciliana n. 15 del 2004, che ha attuato il cosiddetto terzo condono edilizio, inserisce nella legge reg. Siciliana n. 16 del 2016 l'art. 25- bis , ai sensi del quale «resta ferma l'ammissibilità delle istanze presentate per la regolarizzazione delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta». L'associazione interveniente non è titolare di potestà legislativa).
È dichiarato estinto il processo - per rinuncia al ricorso, accettata dalla controparte - relativo alla questione di legittimità costituzionale, promossa con ricorso della Regione Lazio, dell'art. 25- septies , commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., nella legge n. 136 del 2018, concernente l'incompatibilità - anche per gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione - del conferimento e del mantenimento dell'incarico di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario delle Regioni rispetto all'espletamento di incarichi istituzionali presso la Regione soggetta a commissariamento.(Nella specie, la rinuncia fa seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata con la sentenza n. 247 del 2019 e all'uscita della Regione Lazio dal commissariamento, con rientro della stessa nella gestione ordinaria della sanità). La rinuncia al ricorso accettata dalla controparte costituita determina, ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l'estinzione del processo.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per impropria censura sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale - formulata dal Governo nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sezione prima, 21 febbraio 2019, n. 260, con cui è stato annullato il verbale n. 63 del 22 ottobre 2018 della VII commissione consiliare permanente del Consiglio regionale della Puglia, attestante la composizione della medesima commissione. La Regione ricorrente contesta la sussistenza stessa del potere del giudice amministrativo, che avrebbe agito in carenza assoluta di giurisdizione, ledendo le proprie attribuzioni, garantite dagli artt. 114, secondo comma, 117, 121, primo e secondo comma, 123 Cost., nonché riconosciute ai consiglieri regionali dall'art. 122, quarto comma, Cost. ( Precedenti citati: sentenze n. 2 del 2018, n. 235 del 2015 e n. 107 del 2015 ).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 123 Cost., l'art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, che prevede - nell'ambito della disciplina volta a regolare l'impatto olfattivo da attività antropiche - le modalità attraverso le quali è demandata alla Giunta regionale la possibilità di aggiornare l'Allegato tecnico della medesima legge regionale, all'interno del quale si rinvengono le indicazioni tecniche funzionali alla determinazione delle emissioni odorigene, alla stima previsionale dell'impatto olfattivo e alla determinazione dell'impatto olfattivo o dell'esposizione olfattiva. La norma regionale impugnata dal Governo, inglobando al suo interno l'Allegato tecnico, ha dato forza di legge alle relative disposizioni; certa dunque la forza di legge ascritta all'Allegato, la previsione in forza della quale se ne consente l'aggiornamento non può avere altro significato che quello dell'attribuzione alla Giunta regionale della potestà di innovare il dato legislativo, dando sostanza alla funzione tipicamente propria dei fenomeni di delegificazione, in violazione delle norme statutarie, rendendo dunque possibili modifiche allo stesso Allegato senza precisare le forme che dovrà assumere l'attività di delegificazione e dunque legittimando strumenti diversi da quello regolamentare. Secondo il costante orientamento costituzionale, tracciato con continuità precedentemente e successivamente alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, lo statuto, nell'ordinamento regionale, costituisce fonte sovraordinata rispetto alla legge regionale. Quest'ultima, dunque, se si pone in contrasto con la fonte statutaria interposta, viola l'art. 123 Cost. ( Precedenti citati: sentenze n. 119 del 2006, n. 993 del 1988 e n. 48 del 1983 ).
Accolta, per violazione dell'art. 123 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della lege reg. Puglia n. 32 del 2018, risulta assorbito lo scrutinio sia dell'ulteriore censura prospettata sempre in riferimento alla ritenuta violazione dell'art. 123 Cost., sia della questione prospettata in riferimento all'art. 117, sesto comma, Cost.
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 117, quarto comma, e 123 Cost. - l'art. 1, commi 524, 525 e 529, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui prevedono che i provvedimenti ivi contemplati siano adottati dalla Giunta regionale. Le norme impugnate dalla Regione Veneto, nell'indicare specificamente l'organo regionale deputato a provvedere all'adempimento degli obblighi che lo Stato pone a carico della Regione (individuazione degli enti da sottoporre a piani di rientro e approvazione dei piani stessi), violano la competenza riservata alla Regione in materia di organizzazione amministrativa regionale, con conseguente applicazione della ripartizione di competenze stabilita autonomamente da ciascuna Regione tra i propri organi, in base alle proprie norme statutarie e legislative. ( Precedenti citati: sentenze n. 293 del 2012, n. 22 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387 del 2007 ).
È dichiarato estinto - per rinuncia parziale al ricorso, accettata dal Presidente del Consiglio dei ministri costituito in giudizio - il processo relativo alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, lett. b ), n. 1), del d.l. n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 164 del 2014, promossa dalla Regione Campania in riferimento agli artt. 97, 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, 120, 121 e 123, primo comma, Cost. Nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale la rinuncia alla impugnazione della parte ricorrente, accettata dalla resistente costituita, determina l'estinzione dei processi ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. ( Precedenti citati: ordinanze n. 49 del 2017, n. 264 del 2016, n. 171 del 2016, n. 62 del 2016 e n. 6 del 2016 ).
È ordinata la restituzione degli atti al TAR Piemonte perché, a fronte del mutamento del quadro normativo, proceda a un rinnovato esame della rilevanza e dei termini delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, 14 e 16 della legge reg. Piemonte n. 11 del 2012, censurati - in riferimento all'art. 123, primo e secondo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 4 e 8 dello Statuto reg. Piemonte - nella parte in cui prevedono il commissariamento e la soppressione delle comunità montane. La sopravvenuta legge regionale statutaria n. 7 del 2016, eliminando i riferimenti alle comunità montane contenuti nelle citate disposizioni dello Statuto regionale, per un verso ha modificato il quadro normativo proprio sotto il profilo in merito al quale il giudice a quo - investito dell'impugnazione degli atti regionali di selezione e nomina del commissario liquidatore della Comunità montana Alpi del Mare - ha ravvisato la rilevanza delle questioni sollevate; e, per altro verso, ha investito specificamente i parametri interposti evocati dal rimettente, in relazione all'art. 123, primo e secondo comma, Cost., a sostegno della configurazione delle comunità montane come enti "statutariamente necessari". Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, a fronte di un mutamento del quadro normativo che riguardi il parametro interposto, occorre restituire gli atti al giudice a quo affinché questi proceda a un rinnovato esame della rilevanza e dei termini delle questioni. ( Precedenti citati: ordinanze n. 102 del 2015 e n. 35 del 2015 ).
La riserva di statuto regionale (art. 123, primo comma, Cost.), cui è sottoposta la disciplina della prorogatio degli organi elettivi regionali, non comporta che, in mancanza di previsioni statutarie espressamente limitative, i poteri dei suddetti organi possano considerarsi tutti genericamente prorogati, dovendo ritenersi immanente all'istituto della prorogatio l'esistenza di limiti all'esercizio dei poteri. In ragione di tale principio generale, il silenzio dello statuto (in specie, della Regione Calabria) sui poteri esercitabili dal Consiglio regionale in prorogatio va interpretato come facoltizzante solo l'esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessitati e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili. Nel periodo di prorogatio il Consiglio regionale è pertanto tenuto a limitare i contenuti dei provvedimenti legislativi a quelle disposizioni che appaiano "indifferibili e urgenti" al fine di fronteggiare situazioni di pericolo imminente, ovvero che appaiano necessitate sulla base di obblighi fissati dal legislatore statale o comunitario. ( Precedenti citati: sentenze n. 157 del 2016, n. 158 del 2015, n. 81 del 2015, n. 64 del 2015, n. 55 del 2015 e n. 44 del 2015; n. 68 del 2010; nonché, sulla riserva di statuto regionale in materia, sentenza n. 196 del 2003 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, l'istituto della cosiddetta prorogatio - concernente le fattispecie in cui coloro che sono nominati a tempo a coprire uffici rimangono in carica, ancorché scaduti, fino all'insediamento dei successori - non incide sulla durata del mandato degli organi elettivi, e segnatamente dei Consigli regionali, ma riguarda solo l'esercizio dei poteri nell'intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato - prima della quale non vi può essere prorogatio - e l'entrata in carica del nuovo organo eletto. ( Precedenti citati: sentenza n. 181 del 2014 e n. 196 del 2003; sentenza n. 208 del 1992 ).
È dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 123 Cost., in relazione all'art. 18 dello statuto regionale - l'art. 1, comma 1, lett. a ), della legge della Regione Calabria n. 19 del 2014, per la parte in cui elimina il rinvio [contenuto nell'art. 1, comma 2, secondo periodo, della legge elettorale regionale n. 1 del 2005] all'intero art. 5, comma 1, della legge costituzionale n. 1 del 1999, anziché al solo ultimo periodo del comma 1 di tale articolo. La disposizione censurata dal TAR Calabria rientra tra quelle adottate dal Consiglio regionale nel periodo di prorogatio per adeguare la legge elettorale calabrese ai rilievi formulati dal Governo con il ricorso n. 59 del 2014 e scongiurare il pericolo di invalidazione delle imminenti elezioni regionali. Tale obiettivo consente di ravvisare il carattere necessario e indifferibile - e dunque la legittimità - dell'intervento dell'organo legislativo in prorogatio esclusivamente con riguardo alle modifiche direttamente volte a conformare la legge elettorale regionale alle censure governative. Poiché queste ultime contestavano la possibilità di seggi consiliari aggiuntivi oltre il numero massimo stabilito dall'art. 14 del d.l. n. 138 del 2011, per adeguarsi ad esse era sufficiente eliminare il rinvio all'ultimo periodo del citato art. 5, comma 1, che consente il ricorso al seggio aggiuntivo per la nomina a consigliere regionale del candidato classificatosi secondo alle elezioni per la carica di Presidente della Giunta. La disposizione censurata ha invece eliminato il rinvio all'intero art. 5, comma 1, con la conseguenza di sopprimere la previsione dell'assegnazione del seggio consiliare al candidato c.d. miglior perdente, la quale, essendo estranea agli interventi resi necessari dai rilievi governativi, era sottratta ai poteri esercitabili dal Consiglio regionale in regime di prorogatio . ( Precedenti citati: sentenza n. 157 del 2016; ordinanza n. 285 del 2014, dichiarativa dell'estinzione del processo relativo al ricorso statale n. 59 del 2014 ) .