Articolo 122 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
L'esonero da responsabilità dei componenti dell'organo consiliare regionale (sulla scia di consolidate giustificazioni dell'immunità parlamentare) è funzionale alla tutela delle più elevate funzioni di rappresentanza politica, in primis la funzione legislativa, volendosi garantire da qualsiasi interferenza di altri poteri il libero processo di formazione della volontà politica; pertanto le funzioni costituzionalmente previste non si esauriscono in quella legislativa, ma si allargano a comprendere le funzioni di indirizzo, di controllo e regolamentari riservate alle Regioni, nonché le altre conferite al Consiglio regionale dalla Costituzione e dalle leggi, incluse quelle di tipo amministrativo, purché strettamente finalizzate a garantire l'autonomo funzionamento dei Consigli regionali. È dunque insufficiente la forma amministrativa dell'atto adottato per escludere la prerogativa dell'insindacabilità. ( Precedenti: S. 235/2015 - mass. 38611; S. 107/2015 - mass. 38407; S. 337/2009 - mass. 34200; S. 195/2007 - mass. 31386; S. 392/1999 - mass. 24905; S. 289/1997 - mass. 23425; S. 69/1985 - mass. 10768; S. 81/1975 - mass. 7743 ). (Nel caso di specie, è dichiarato che non spettava allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, terza sez. giurisd. centrale di appello, adottare la sentenza 30 luglio 2021, n. 350, che, in parziale riforma della sentenza della Corte dei conti, sez. giurisd. per la Valle d'Aosta, 25 ottobre 2018, n. 5, ha accertato la responsabilità amministrativa, con conseguente condanna per danno erariale, dei consiglieri regionali della Regione autonoma Valle d'Aosta che hanno votato per l'approvazione della deliberazione del Consiglio regionale del 23 ottobre 2014, n. 823/XIV, di ricapitalizzazione della spa a totale partecipazione pubblica Casinò de la Vallée spa; ed è annullata, per l'effetto, la medesima sentenza n. 350 del 2021, nonché tutti gli atti e i provvedimenti consequenziali o comunque connessi. L'approvazione, mediante la delibera indicata, del piano di rafforzamento patrimoniale del Resort e Casinò di Saint-Vincent, consistente in un aumento di capitale fino a 60.000.000 di euro della Casinò de la Vallée spa, costituisce, pur rivestendo la forma di atto amministrativo, esercizio delle funzioni proprie del Consiglio, essendo la stessa un atto di indirizzo politico, espressivo di una scelta di ordine strategico della Regione. L'approvazione della delibera costituisce quindi una espressione di voto che, è, sotto ogni profilo, riconducibile all'esercizio di funzioni inerenti al nucleo caratterizzante delle funzioni consiliari, rispetto al quale l'art. 24 dello statuto speciale, al pari dell'art. 122, quarto comma, Cost., esclude la responsabilità - penale, civile e amministrativa - dei consiglieri regionali per le opinioni espresse e i voti dati).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Genova in riferimento agli artt. 117 e 122 Cost. e al principio di leale collaborazione - dell'art. 8, comma 1, lett. a ), del d.lgs. n. 235 del 2012, che prevede l'applicazione della misura cautelare della sospensione dalle cariche regionali come automatica conseguenza della condanna penale non definitiva per determinati reati, precludendo al giudice chiamato a pronunciarsi sul provvedimento sospensivo di valutare in concreto la proporzionalità tra i fatti oggetto di condanna e la stessa sospensione. Il nucleo essenziale della disciplina censurata è riconducibile alla materia di competenza statale esclusiva dell'ordine pubblico e sicurezza, che presenta carattere prevalente pur quando essa interferisca con la competenza regionale ex art. 122, primo comma, Cost. ( Precedenti citati: sentenze n. 36 del 2019, n. 118 del 2013, n. 352 del 2008, n. 25 del 2002, n. 288 del 1993, n. 218 del 1993 e n. 407 del 1992 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze e, qualora risulti impossibile comporre il concorso di competenze statali e regionali, tramite un criterio di prevalenza, non è costituzionalmente illegittimo l'intervento del legislatore statale, purché agisca nel rispetto del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie, che può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell'intesa. ( Precedenti citati: sentenze n. 251 del 2016, n. 1 del 2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 118 del 2013, n. 237 del 2009, n. 352 del 2008, n. 168 del 2008, n. 50 del 2008 e n. 288 del 1993 ).
È dichiarato estinto il processo - per rinuncia al ricorso, accettata dalla controparte - relativo alla questione di legittimità costituzionale, promossa con ricorso della Regione Lazio, dell'art. 25- septies , commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., nella legge n. 136 del 2018, concernente l'incompatibilità - anche per gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione - del conferimento e del mantenimento dell'incarico di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario delle Regioni rispetto all'espletamento di incarichi istituzionali presso la Regione soggetta a commissariamento.(Nella specie, la rinuncia fa seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata con la sentenza n. 247 del 2019 e all'uscita della Regione Lazio dal commissariamento, con rientro della stessa nella gestione ordinaria della sanità). La rinuncia al ricorso accettata dalla controparte costituita determina, ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l'estinzione del processo.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità - per impropria censura sul modo di esercizio della funzione giurisdizionale - formulata dal Governo nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sezione prima, 21 febbraio 2019, n. 260, con cui è stato annullato il verbale n. 63 del 22 ottobre 2018 della VII commissione consiliare permanente del Consiglio regionale della Puglia, attestante la composizione della medesima commissione. La Regione ricorrente contesta la sussistenza stessa del potere del giudice amministrativo, che avrebbe agito in carenza assoluta di giurisdizione, ledendo le proprie attribuzioni, garantite dagli artt. 114, secondo comma, 117, 121, primo e secondo comma, 123 Cost., nonché riconosciute ai consiglieri regionali dall'art. 122, quarto comma, Cost. ( Precedenti citati: sentenze n. 2 del 2018, n. 235 del 2015 e n. 107 del 2015 ).
È dichiarato non fondato, in riferimento all'art. 122, quarto comma, Cost., il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti sorto promosso dalla Regione Puglia a seguito della sentenza del TAR Puglia, sede di Bari, sezione prima, 21 febbraio 2019, n. 260, con cui è stato annullato il verbale n. 63 del 22 ottobre 2018 della VII commissione consiliare permanente del Consiglio regionale della Puglia, attestante la composizione della medesima commissione. L'impugnata sentenza non chiama i consiglieri regionali "a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni" e perciò non lede la prerogativa dell'insindacabilità loro garantita dal parametro evocato.
È dichiarato che non spettava allo Stato, e per esso alla Procura reg. della Corte dei conti presso la sez. giurisd. per l'Emilia-Romagna, di convenire in giudizio per responsabilità amministrativa per danno erariale - asseritamente provocato dall'affidamento dell'incarico di capo di gabinetto del Presidente dell'Assemblea legislativa regionale a persona priva del diploma di laurea - il Presidente del Consiglio regionale e i componenti dell'Ufficio di Presidenza di detto Consiglio, in carica al momento dell'adozione delle relative delibere e, di conseguenza è annullato, in tale parte, il relativo atto di citazione in giudizio. La formazione del Gabinetto - e segnatamente la nomina del Capo di Gabinetto - incidono direttamente sull'attività normativa del Consiglio regionale, in quanto si tratta di una struttura centrale e strategica che, in diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio regionale, condiziona il buon andamento dei lavori assembleari. Pertanto, l'atto di nomina del Capo di Gabinetto appartiene agli atti di autorganizzazione dell'Ufficio di Presidenza, con incidenza diretta e significativamente rilevante - e, nella specie, con una connotazione di evidente essenzialità - nell'attività legislativa del Consiglio regionale, meritevole di essere presidiato dalla garanzia costituzionale dell'autonomia della potestà organizzativa di supporto all'attività legislativa del Consiglio stesso, ai sensi dell'art. 122 Cost. Né rileva la circostanza della necessità, o meno, della laurea per ricoprire l'incarico di Capo di Gabinetto, poiché altamente fiduciario, basato su valutazioni soggettive legate alla consonanza politica e personale con il titolare dell'organo politico che nomina e che può avvenire, in base alla normativa vigente, intuitu personae , senza predeterminazione di alcun rigido criterio che debba essere osservato. ( Precedenti citati: sentenze n. 269 del 2016, n. 304 del 2010, n. 337 del 2009, n. 392 del 1999, n. 289 del 1997, n. 100 del 1986, n. 69 del 1985, n. 81 del 1975 e n. 211 del 1972 ). L'immunità dei consiglieri regionali di cui all'art. 122, quarto comma, Cost., in materia di insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, può esser fatta valere anche da chi non è più consigliere regionale o presidente dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, ma tale era al momento dell'adozione delle relative delibere. ( Precedente citato: sentenza n. 252 del 1999, con riferimento all'immunità parlamentare di cui all'art. 68, primo comma, Cost. ). Le delibere dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio, quando hanno natura di atti amministrativi estranei - o comunque non strettamente coessenziali - all'organizzazione dell'attività legislativa del Consiglio, si collocano all'esterno della sfera di autonomia costituzionalmente garantita, pur costituendo legittimo esercizio di un potere. Tale è, in particolare, l'attività di gestione delle risorse finanziarie, che resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilità civile, penale e contabile. ( Precedenti citati: sentenze n. 235 del 2015 e n. 292 del 2001 ). Le Regioni possono dettare, in ragione della specificità degli uffici di diretta collaborazione e in deroga ai criteri di selezione dettati dall'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, propri, autonomi, criteri selettivi, che tengano conto della peculiarità dell'incarico in conseguenza del necessario rapporto fiduciario con l'organo politico. Ciò è tanto più vero per il Capo di Gabinetto che, collocato in posizione apicale, opera in diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio regionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 53 del 2012, n. 7 del 2011, n. 34 del 2010, n. 293 del 2009 e n. 104 del 2007 ).
Sono dichiarati inammissibili, per tardività e difetto di legittimazione, i ricorsi per conflitto di attribuzione promossi - in riferimento all'art. 122, quarto comma, Cost. - da tre ex componenti del Consiglio della Regione Lazio, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio della stessa Procura della Repubblica del 20 settembre 2016, nella quale sono stati contestati ai ricorrenti, nella loro qualità di consiglieri della Regione Lazio, i reati di cui agli artt. 81, 110 e 323 cod. pen. I ricorsi sono stati proposti oltre il termine prescritto dall'art. 39, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, decorrente dalla notificazione della richiesta di rinvio a giudizio, quale atto che ha dato origine ai conflitti. Va d'altra parte rilevato che il singolo consigliere regionale non è titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette che giustificano la sua legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione intersoggettivo, in quanto l'art. 39, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 attribuisce tale legittimazione solo al Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa, e, comunque, con riferimento all'autonomia organizzativa e contabile dei consigli regionali, deve escludersi che il singolo consigliere regionale sia titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette che possano giustificarla. ( Precedenti citati: sentenze n. 328 del 2010, n. 121 del 2005 e n. 132 del 1976; ordinanza n. 195 del 2004 ).
Per costante giurisprudenza costituzionale l'identità formale degli enunciati di cui all'art. 68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost., non riflette una compiuta assimilazione tra le assemblee parlamentari ed i Consigli regionali. Diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, le attribuzioni dei Consigli si inquadrano nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità; sul piano dell'autonomia organizzativa e contabile. Inoltre, i Consigli regionali godono, in base a norme costituzionali, di talune prerogative analoghe a quelle tradizionalmente riconosciute al Parlamento, ma, al di fuori di queste espresse previsioni, non possono essere assimilati ad esso, quanto meno ai fini della estensione di una disciplina che si presenta essa stessa come eccezionale e derogatoria e che conseguentemente non copre procedure e atti previsti soltanto da leggi regionali. ( Precedenti citati: sentenze n. 39 del 2014, n. 337 del 2009, n. 279 del 2008, n. 301 del 2007, n. 292 del 2001, n. 245 del 1995, n. 69 del 1985 e n. 81 del 1975 ).
Sono dichiarate inammissibili, per l'inadeguata ricostruzione del quadro normativo, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Palermo in riferimento agli artt. 3, 51 e 122 Cost. e all'art. 5 dello statuto regionale, degli artt. 10-ter e 10-quater della legge reg. Siciliana n. 29 del 1951, nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità con la carica di deputato regionale per colui che sia stato dichiarato in via definitiva contabilmente responsabile per fatti compiuti nella qualità di amministratore ovvero di impiegato dell'amministrazione regionale o di enti da essa dipendenti o vigilati e non abbia ancora estinto il relativo debito. La questione in riferimento all'art. 5 statuto reg. Siciliana è inammissibile per difetto assoluto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, mentre l'art. 122 Cost. è evocato senza dare conto delle ragioni per cui esso sarebbe applicabile in una materia assegnata alla competenza della Regione Siciliana in base al suo statuto speciale. È altresì inammissibile la questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost., perché il quadro normativo, assunto a tertium comparationis, sulla cui base il giudice a quo prospetta l'irragionevolezza della denunciata lacuna legislativa, è ricostruito in modo largamente incompleto e erroneo, sulla premessa che il regime di incompatibilità dei consiglieri regionali sia tuttora caratterizzato da una rigida disciplina statale unitaria. Il rimettente non tiene conto dell'evoluzione della disciplina in materia di cause di incompatibilità dei consiglieri regionali originata, per le Regioni ordinarie, dalla revisione dell'art. 122 Cost., né dà adeguatamente conto della produzione legislativa in materia delle Regioni a statuto speciale. Anche il confronto con le disposizioni legislative delle altre autonomie speciali risulta incompleto (oltre che erroneo per quanto riguarda la Sardegna), perché manca ogni riferimento alla normativa dettata da quelle titolari di potestà legislativa primaria. ( Precedenti citati: sentenze n. 80 del 2018, n. 27 del 2015, n. 251 e n. 165 del 2014, n. 331 del 2013, n. 288 del 2013, con riferimento ai giudizi in via principale, ma con argomentazioni estensibili ai giudizi incidentali, n. 204 del 2013 e n. 114 del 2013; ordinanze n. 244 del 2017, n. 276 del 2013 e n. 143 del 2010; ordinanze n. 223 del 2003 e n. 383 del 2002 ).
La riserva di statuto regionale (art. 123, primo comma, Cost.), cui è sottoposta la disciplina della prorogatio degli organi elettivi regionali, non comporta che, in mancanza di previsioni statutarie espressamente limitative, i poteri dei suddetti organi possano considerarsi tutti genericamente prorogati, dovendo ritenersi immanente all'istituto della prorogatio l'esistenza di limiti all'esercizio dei poteri. In ragione di tale principio generale, il silenzio dello statuto (in specie, della Regione Calabria) sui poteri esercitabili dal Consiglio regionale in prorogatio va interpretato come facoltizzante solo l'esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessitati e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili. Nel periodo di prorogatio il Consiglio regionale è pertanto tenuto a limitare i contenuti dei provvedimenti legislativi a quelle disposizioni che appaiano "indifferibili e urgenti" al fine di fronteggiare situazioni di pericolo imminente, ovvero che appaiano necessitate sulla base di obblighi fissati dal legislatore statale o comunitario. ( Precedenti citati: sentenze n. 157 del 2016, n. 158 del 2015, n. 81 del 2015, n. 64 del 2015, n. 55 del 2015 e n. 44 del 2015; n. 68 del 2010; nonché, sulla riserva di statuto regionale in materia, sentenza n. 196 del 2003 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, l'istituto della cosiddetta prorogatio - concernente le fattispecie in cui coloro che sono nominati a tempo a coprire uffici rimangono in carica, ancorché scaduti, fino all'insediamento dei successori - non incide sulla durata del mandato degli organi elettivi, e segnatamente dei Consigli regionali, ma riguarda solo l'esercizio dei poteri nell'intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato - prima della quale non vi può essere prorogatio - e l'entrata in carica del nuovo organo eletto. ( Precedenti citati: sentenza n. 181 del 2014 e n. 196 del 2003; sentenza n. 208 del 1992 ).