Articolo 126 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È dichiarato estinto - per rinuncia al ricorso in mancanza di costituzione in giudizio della Regione resistente - il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 21, 72 e 91 della delibera legislativa statutaria della Regione Basilicata n. 422 del 2016, promosse dal Governo in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lett. e ), in relazione all'art. 5, comma 9, del d.l. n. 95 del 2012 ed agli artt. 10, 14, 39, 50 e 63 del d.lgs. n. 118 del 2001, 117, terzo comma, e 126 Cost. (Nella specie, la rinuncia è motivata da modifica delle norme oggetto di censura, con conseguente venir meno delle ragioni per proseguire il giudizio di costituzionalità). In mancanza di costituzione in giudizio della Regione resistente, l'intervenuta rinuncia al ricorso in via principale determina l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. ( Precedenti citati: ordinanze n. 235 del 2016, n. 137 del 2016 e n. 27 del 2016 ).
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale - promossa dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna in riferimento agli artt. 116 Cost., 12, 13, comma 2, 19, 41, 48, 49, 54, 63 e 65 dello statuto friulano, e 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 26, 35, 50 e 54 dello statuto sardo - dell'art. 2, comma 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213), che prevede l'operatività, per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome, delle disposizioni del comma 1 in materia di finanza e di funzionamento degli enti locali compatibilmente con i propri statuti e le relative norme di attuazione. Infatti, fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria, il legislatore, specie in un contesto di grave crisi economica, può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle misure di finanza pubblica, prefigurato dall'art. 27 della legge n. 42 del 2009, di attuazione del federalismo fiscale previsto dall'art. 119 Cost., che, pur ponendo una vera e propria riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria di dette autonomie, ha pur sempre il rango di legge ordinaria, in quanto tale derogabile da atto successivo avente la medesima forza normativa. Pertanto, la clausola di salvaguardia di cui al comma 4 censurato non può essere considerata lesiva delle prerogative autonomistiche solo perché non prevede una procedura concertata, dal momento che quest'ultima non è costituzionalmente necessitata. - Sull'ammissibilità, nei giudizi in via principale, di questioni prospettate in termini dubitativi, v. le citate sentenze nn. 62/2012, 412/2001, 244/1997. - Per l'affermazione che, a mezzo della clausola di salvaguardia di cui all'art. 2, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012 i parametri statutari evocati assumono la "funzione di generale limite" per l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, nel senso che tale clausola ha la funzione di rendere queste ultime applicabili agli enti ad autonomia differenziata, «solo a condizione che, in ultima analisi, ciò avvenga nel "rispetto" degli statuti speciali», v. le citate sentenze nn. 215/2013, 241/2012, 64/2012 e 152/2011. - Per l'affermazione che l'art. 27 della legge n. 42 del 2009 pone una vera e propria riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata, così da configurarsi quale autentico presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti, v. le citate sentenze nn. 241/2012 e 71/2012. - Sulla possibilità per il legislatore, specie in un contesto di grave crisi economica, dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica, fermo il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria, v. le citate sentenze 198/2012 e 193/2012.
Non è fondata, per erroneità del presupposto interpretativo, la questione di legittimità costituzionale - promossa dalla Regione autonoma Sardegna in riferimento agli artt. 3 e 126 Cost., nonché 15, 35 e 50 dello statuto sardo - dell'art. 2, comma 5, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213), nella parte in cui prevede che il mancato adeguamento delle Regioni alle disposizioni dell'intero art. 2 determina «una grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126, primo comma, della Costituzione», con conseguente scioglimento del Consiglio regionale e contestuale rimozione del Presidente della Regione. Infatti, la norma impugnata richiama l'art. 126 Cost., che è pacificamente applicabile alle sole Regioni ordinarie, mentre la disciplina dello scioglimento dei Consigli regionali delle autonomie speciali è contenuta nei rispettivi statuti. - Per l'affermazione che l'art. 126 Cost. si riferisce esclusivamente alle Regioni a statuto ordinario, v. la citata sentenza n. 219/2013.
Non sono fondate, per erroneità del presupposto interpretativo, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 (nel testo introdotto dall'art. 1- bis , comma 1, del d.l. n. 174 del 2012); 2, commi 4 e 7; 4 (nel testo introdotto dall'art. 1- bis , comma 2, del d.l. n. 174 del 2012); e 6 (nel testo modificato dall'art. 3, comma 6, del d.l. n. 174 del 2012) del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), - impugnati dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento a plurimi parametri costituzionali e statutari. Infatti, le censurate disposizioni, non sono direttamente applicabili nei confronti dei soggetti ad autonomia speciale.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1, 2, 3 e 5, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, in conseguenza della fattispecie di "grave dissesto finanziario", impugnato dalla Regione Lazio in riferimento agli artt. 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione. La norma impugnata rafforza (e comunque è coerente con) il profilo di legalità che l'art. 126 Cost. pone a presidio dell'autonomia regionale, che rimane garantita dalla previsione che il potere di scioglimento e di rimozione non possa venire attivato, se non innanzi alla violazione di un puntuale precetto normativo, legittimamente imposto alla Regione; peraltro, l'articolazione della più ampia fattispecie di inosservanza delle leggi di coordinamento della finanza pubblica in una maggiormente dettagliata ipotesi di "grave dissesto finanziario" sviluppa, con coerenza, un principio espresso dall'art. 126 Cost., a vantaggio dell'autonomia costituzionale delle Regioni. - Sul potere sanzionatorio, v. citata sentenza n. 50 del 1959. - Sul coordinamento della finanza pubblica, v. citate sentenze n. 169 del 2007; n. 417 del 2005; n. 36 del 2004. - Sull'attribuzione allo Stato del compito di assicurarne il pieno soddisfacimento di tutelare l'unità giuridica ed economica dell'ordinamento, v. citata sentenza n. 274 del 2003. - In tema di potere sanzionatorio introdotto per mezzo della legge ordinaria, in coerenza con l'art. 126 Cost., v. citata sentenza n. 229 del 1989.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, in conseguenza della fattispecie di "grave dissesto finanziario", impugnato dalle Regioni Emilia-Romagna ed Umbria in riferimento all'art. 126 della Costituzione, poiché essi non descriverebbero "fatti specifici e puntuali" così gravi da poter giustificare l'attivazione del rimedio straordinario, in quanto invece la norma impugnata rafforza (e comunque è coerente con) il profilo di legalità che l'art. 126 Cost. pone a presidio dell'autonomia regionale, che rimane garantita dalla previsione che il potere di scioglimento e di rimozione non possa venire attivato, se non innanzi alla violazione di un puntuale precetto normativo legittimamente imposto alla Regione.
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, in conseguenza della fattispecie di "grave dissesto finanziario", impugnato dalla Regione Campania in riferimento agli artt. 122 e 126 della Costituzione avendo il legislatore proceduto ad "autoqualificare" il grave dissesto finanziario quale grave violazione di legge ai sensi dell'art. 126 Cost.; infatti la norma impugnata rafforza (e comunque è coerente con) il profilo di legalità che l'art. 126 Cost. pone a presidio dell'autonomia regionale che rimane garantita dalla previsione che il potere di scioglimento e di rimozione non possa venire attivato, se non innanzi alla violazione di un puntuale precetto normativo legittimamente imposto alla Regione.
E' costituzionalmente illegittimo, in relazione all'art. 126 Cost., l'art. 2, commi 2, 3 e 5, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che contiene disposizioni che definiscono compiutamente gli effetti del grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario; difatti, l'art. 126 Cost. ha compiuto scelte precise in ordine al riparto delle competenze costituzionali tra gli organi investiti dell'applicazione del potere sanzionatorio, non comparendo tra questi ultimi la Corte dei conti, mentre al parere affidato alla Commissione parlamentare per le questioni regionali non è attribuito carattere vincolante. L'impugnato art. 2, comma 2, esige, invece, che il Capo dello Stato possa adottare il decreto di scioglimento e rimozione solo su parere conforme della Commissione, per di più espresso a maggioranza di due terzi, donde l'alterazione dell'asse della decisione rispetto alla previsione costituzionale, poiché il Presidente della Repubblica è tenuto ad esercitare il potere, uniformandosi al parere che proviene dalle Camere. Parimenti, il conferimento alla Corte dei conti della funzione di accertare la «diretta responsabilità, con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale» spezza indebitamente il delicato equilibrio con cui la Costituzione ha conciliato la sfera di stretta legalità propria della "violazione di legge" con la concomitante dimensione di discrezionalità politica sottesa alla rimozione e vertente sulla gravità della violazione: il comma 2 della norma impugnata, nella parte in cui prevede questo intervento, senza tuttavia specificarne presupposti, natura e tempi di svolgimento, viola anche per tale profilo l'art. 126 Cost. e il principio di ragionevolezza, la lesione del quale senz'altro qui ridonda sulle attribuzioni costituzionali della Regione. In queste condizioni, l'organo di governo della Regione viene assoggettato ad un procedimento sanzionatorio, di per sé contraddittorio rispetto all'urgenza del decidere, e comunque dai tratti così indefiniti, da rendere incerte le prospettive di esercizio della carica, in danno dell'autonomia regionale. Fondate sono altresì le questioni sollevate con riferimento al fatto che la rimozione colpisce il Presidente della Giunta in ragione di attività svolte non in tale veste, ma nella qualità di commissario ad acta nominato, e diretto, dal Governo; infatti, l'attività del commissario nominato dal Governo in caso di inottemperanza della Regione all'obbligo di redigere il piano di rientro, inserendosi nell'ambito del potere sostitutivo esercitabile dallo Stato nei confronti della Regione, è perciò direttamente imputabile al primo, che si assume l'onere del processo coartato di risanamento delle finanze regionali; conseguentemente, la norma impugnata incorre nella violazione dell'art. 126 Cost., là dove contestualmente pretende di imputare la responsabilità di tali attività direttamente alla Regione, sanzionandone gli organi in caso di fallimento. - Sul potere sostitutivo dello Stato di cui all'art. 120 Cost., v. citate sentenze n. 78 del 2011, n. 2 del 2010 e n. 193 del 2007. - Sul procedimento sanzionatorio dell'organo di governo della Regione, v. citate sentenze n.12 del 2006, n. 81 del 1979 e 50 del 1959.
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, in conseguenza della fattispecie di "grave dissesto finanziario", impugnato dalle Regioni Emilia-Romagna ed Umbria in riferimento agli artt. 24, 100, 103, secondo comma, 120, 122 e 126 della Costituzione, e ai principi di ragionevolezza e leale collaborazione, poiché, nonostante tale disposizione conservi una propria autonomia logico-giuridica, pur cadute le previsioni che, in base alla fattispecie di «grave dissesto finanziario» in materia sanitaria, permettevano di procedere in forza dell'art. 126 Cost., dette sollevate questioni non recano alcuna motivazione idonea a contestare la legittimità costituzionale, in sé e per sé, della fattispecie indicata dalla norma impugnata, quale fondamento per l'applicazione di ulteriori previsioni del d.lgs. n. 149 del 2011.
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che prevede lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, in conseguenza della fattispecie di "grave dissesto finanziario", impugnato dalla Regione Lazio in riferimento agli artt. 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, poiché, nonostante tale disposizione conservi una propria autonomia logico-giuridica, pur cadute le previsioni che, in base alla fattispecie di «grave dissesto finanziario» in materia sanitaria, permettevano di procedere in forza dell'art. 126 Cost., dette sollevate questioni non recano alcuna motivazione idonea a contestare la legittimità costituzionale, in sé e per sé, della fattispecie indicata dalla norma impugnata, quale fondamento per l'applicazione di ulteriori previsioni del d.lgs. n. 149 del 2011.