Articolo 128 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono restituiti gli atti relativi alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 21 della legge della Provincia autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3 (come successivamente modificata) - impugnati in riferimento agli artt. 5, 114, 118 e 128 Cost. e all'art. 5 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige - in quanto, prevedendo che alcuni organi rappresentativi delle comunità siano eletti, in larga parte, a suffragio universale e diretto, avrebbero istituito nuovi enti dotati di autonomia politica, avrebbero sottratte ai Comuni rilevanti funzioni a favore di un ente di nuova istituzione, e attribuito alla Provincia, anziché alla Regione, la disciplina degli enti locali. Successivamente all'ordinanza di rimessione è infatti entrata in vigore la legge provinciale n. 12 del 2014, che ha modificato la legge provinciale n. 3 del 2006, innovando in profondità sia l'assetto istituzionale delle comunità, sia l'allocazione delle funzioni amministrative tra Provincia, comunità e Comuni; essa inoltre ha novellato anche la disposizione cui aveva dato attuazione la deliberazione della Giunta provinciale oggetto di impugnazione nel giudizio principale. Alla luce del profondo mutamento del complessivo quadro normativo di riferimento è disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente, al quale spetta compiere una nuova valutazione in ordine alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge della Regione Basilicata 24 dicembre 1992, n. 23 (Soppressione del Consorzio dei comuni non montani del Materano - Delega delle funzioni all'Amministrazione provinciale di Matera), impugnati in riferimento agli artt. 3, 97, 119 e 128 (vecchio testo) Cost., il thema decidendum deve essere precisato alla luce dell'esatta ricostruzione della vicenda contenziosa relativa al processo principale. Oggetto del contendere nel giudizio a quo è soltanto la pretesa avanzata dalla Provincia di Matera di non sopportare oneri finanziari, maturati nella precedente gestione del soppresso Consorzio, che non le sono propri, poiché, quale soggetto delegato dalla Regione a partire da una certa data, né direttamente, né indirettamente, ha partecipato alla loro formazione, trovando essi la loro origine in fatti precedenti alla delega di funzioni. Pertanto, le citate disposizioni sono censurate dal rimettente sotto il profilo che, nello stabilire la soppressione del Consorzio e nel trasferire le funzioni regionali, già delegate al Consorzio stesso, alla Provincia di Matera, il legislatore regionale non ha specificato affatto attraverso quali mezzi l'autorità delegata avrebbe dovuto far fronte ai rapporti economici sorti nel corso della gestione consortile, essendosi limitato a stabilire la successione della Provincia di Matera ed a disporre che le funzioni delegate fossero esercitate nei modi e nelle forme previste dalle leggi regionali che disciplinavano la gestione delle deleghe attribuite al soppresso Consorzio.
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., gli artt. 2 e 4 della legge della Regione Basilicata 24 dicembre 1992, n. 23 (Soppressione del Consorzio dei comuni non montani del Materano - Delega delle funzioni all'Amministrazione provinciale di Matera), nella parte in cui non prevedono modalità di finanziamento della spesa per la Provincia di Matera, in relazione alle passività maturate prima del passaggio a questa delle funzioni del soppresso Consorzio dei comuni non montani del Materano. L'impugnata disciplina, infatti, lede il principio fondamentale della finanza pubblica secondo cui, qualora l'esercizio di funzioni e servizi resi dalla pubblica amministrazione all'utenza, o comunque diretti al perseguimento di pubblici interessi collettivi, venga trasferito o delegato da una ad altra amministrazione, l'autorità che dispone il trasferimento o la delega è tenuta, pur nell'ambito della sua discrezionalità, a disciplinare gli aspetti finanziari dei relativi rapporti attivi e passivi e dunque anche il finanziamento della spesa necessaria per l'estinzione delle passività pregresse. Ciò che non può ritenersi conforme ai principi fondamentali della disciplina di tale settore, rinvenibili nella legislazione dello Stato, è la totale omissione, da parte del legislatore regionale, di ogni e qualsiasi disciplina a questo riguardo; omissione che può essere foriera di incertezza, la quale può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione. Nella specie, la Regione avrebbe dovuto dettare una specifica disciplina attinente al finanziamento della spesa per l'esercizio della delega da parte dell'Amministrazione provinciale, con riferimento al periodo precedente al conferimento della delega stessa e con riguardo alla situazione attiva e passiva esistente a tale data, in modo da tenere indenne la Provincia dagli oneri derivanti dalla passata gestione del Consorzio, prima istituito e poi soppresso con determinazioni legislative della medesima Regione. Siffatta omissione rende palesemente irragionevole la disciplina in esame. (Restano assorbite le ulteriori censure proposte in riferimento agli artt. 119 e 128, vecchio testo, Cost.) Sull'obbligatorietà, nel trasferimento di compiti da un'articolazione ad altra del complessivo apparato della pubblica amministrazione, della scelta di tenere indenne il soggetto subentrante dalle passività maturate nella gestione dell'ente sostituito o soppresso, le cui funzioni siano attribuite ad altro soggetto, v. le citate sentenze n. 364/2007, n. 116/2007, n. 437/2005 e n. 89/2000. Sul principio fondamentale della legislazione statale secondo cui le strutture pubbliche destinatarie di interventi di riforma devono iniziare ad operare completamente libere dai pesi delle passate gestioni, v. la citata sentenza n. 437/2005. Con riferimento alla legislazione della Regione Basilicata in materia di subingresso delle neoistituite aziende unità sanitarie locali nei rapporti giuridici attivi e passivi già posti in essere dalle preesistenti unità sanitarie locali, v. la citata sentenza n. 89/2000. Sul principio di parallelismo tra responsabilità di disciplina e di controllo e responsabilità finanziaria, v. la citata sentenza n. 416/1995.
E? manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 44 e 45 della legge della Regione Liguria 8 agosto 1994, n. 42, nella parte in cui dispongono che sono trasferiti al patrimonio delle unità sanitarie locali i beni mobili ed immobili già di proprietà dei Comuni con vincolo di destinazione alle Unità sanitarie locali, in riferimento all'art. 76 Cost., perché, dando attuazione al principio stabilito nell'art. 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, eccedono i limiti della delega conferita con la legge 23 ottobre 1992, n. 421, ed inoltre in riferimento agli artt. 5 e 128 Cost., perché ledono il principio fondamentale dell'autonomia degli enti locali. E? evidente, infatti, la manifesta infondatezza della censura di eccesso di delega, 'ex' art. 76 Cost., imputata, omisso medio, direttamente alla legge regionale. E? altresì, manifestamente infondata la questione sollevata in riferimento agli artt. 5 e 128 Cost., e comunque al principio (espresso anche dalla norma costituzionale abrogata) della salvaguardia dell'autonomia degli enti locali, atteso che questa Corte ha sempre risolto, negandole il necessario tono costituzionale, la questione ? alla presente assimilabile ? sollevata in sede di conflitto di attribuzione se avente quale suo sostanziale oggetto una 'rei vindicatio'. - Cfr. le sentenze n. 150/2003, n. 179/2004, n. 177/2005.
Cessazione della materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale proposta in via principale nei confronti di alcune disposizioni della legge della Regione Siciliana, approvata dall?Assemblea regionale siciliana il 20 aprile 2001, poiché, dopo la proposizione del ricorso, la legge siciliana è stata, infatti, promulgata con omissione di tutte le disposizioni censurate, venendo per conseguenza definitivamente meno la possibilità che ad esse sia conferita efficacia. - V. sentenza citata n. 352/1999.
E? costituzionalmente illegittima la delibera legislativa (disegno di legge n. 1176) approvata dall?Assemblea regionale siciliana il 2 maggio 2001, nella parte in cui estende ad amministrazioni diverse da quella regionale il diritto a conseguire l?anticipato collocamento a riposo, originariamente previsto per i soli dipendenti della Regione dall?art. 39 della legge regionale n. 10 del 2000. La disciplina delle condizioni soggettive per il collocamento a riposo ed il conseguente accesso alle prestazioni previdenziali è, infatti, connessa ad una normativa che costituisce principio fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica (art.1, comma 2, della legge 8 agosto 1995, n. 335), come tale idonea ad imporsi a qualunque tipo di potestà legislativa regionale. Anche ad ammettere che le determinazioni di cui alla disciplina impugnata siano da intendere come misure straordinarie di riforma di apparati pubblici pletorici ? invocandosi, per ciò, una competenza legislativa regionale di cui alla lettera o) dell?art. 14 dello Statuto speciale ? si rileva che l'esodo di una quota così rilevante di pubblici dipendenti ritenuti "in esubero", fissata in una misura massima e generalizzata a tutti gli enti considerati, senza alcuna valutazione analitica e selettiva e senza alcuna considerazione delle esigenze specifiche degli enti colpiti dalla misura, viola lo 'status' di autonomia degli enti locali previsto dagli articoli 5 e 128 della Costituzione (nella versione anteriore alla riforma del 2001). Questo motivo di incostituzionalità è ulteriormente rafforzato dalla disposizione del terzo comma dell'art. 1 della delibera, che in modo del tutto generico pone a carico degli enti presso i quali il personale presta servizio gli oneri finanziari conseguenti al pensionamento anticipato, in contrasto non solo con l'onere imposto dall'articolo 81, quarto comma, della Costituzione ma, una seconda volta, con il principio di autonomia degli enti locali e, potenzialmente, anche con l'interesse di questi al buon funzionamento dei propri apparati amministrativi. Né un eventuale regolamento di esecuzione ? ipotizzato dalla difesa regionale per la più opportuna e analitica disciplina, ma cui nella delibera impugnata manca qualsiasi accenno ? potrebbe sopperire alla previsione delle risorse necessarie per far fronte alle spese conseguenti alle determinazioni legislative, previsione che deve essere anch'essa fatta per legge. Resta superfluo l'esame dell'ulteriore censura prospettata in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 2, della legge 11 dicembre 2000, n. 365, di conversione del decreto-legge 12 ottobre 2000, n. 279. La materia del taglio dei boschi rientrava, infatti, espressamente nella competenza regionale dell'agricoltura e foreste (art. 117 della Costituzione nel testo anteriore alla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione); l'attribuzione ai comuni di funzioni diverse da quelle esclusivamente locali nella materia non poteva essere disposta con legge statale, occorrendo un intervento legislativo della Regione.
Il riferimento dell'ordinanza di rimessione - oltre che all'art. 128 Cost., abrogato dall'art. 9, secondo comma, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 anteriormente alla data di adozione delle ordinanze di rimessione - anche all'art. 5 Cost. appare sufficiente a radicare validamente l'instaurato giudizio di legittimità costituzionale a causa della sua natura di principio costituzionale generale, applicabile quindi anche nei confronti di una Regione ad autonomia speciale, qual è la Sicilia.
Premesso che alla discrezionalità del legislatore (statale, regionale o provinciale) spetta graduare le forme di partecipazione dei Comuni al procedimento di elaborazione dei piani paesistici regionali, a condizione tuttavia - anche nell'àmbito di una Regione ad autonomia speciale, qual è la Regione Siciliana - che non si estromettano né si escludano sostanzialmente tali enti dalle decisioni riguardanti il proprio territorio, non può ritenersi che l'impianto del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 determini una illegittima compressione delle potestà comunali, dal momento che esso consente - al contrario di quanto sostenuto dal giudice rimettente - idonee modalità partecipative degli enti locali sia nella fase tecnica di redazione sia in quella di approvazione del Piano territoriale paesistico (nella specie, delle Isole Eolie). Non è, pertanto, fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, sollevata in riferimento agli artt. 5 e 128 della Costituzione. - Sulla discrezionalità legislativa in ordine ai poteri urbanistici dei Comuni, sentenze richiamate n. 378/2000, n. 357/1998, n. 286/1997, n. 83/1997, n. 61/1994. - Sulla tutela dell'ambiente e del territorio come valore costituzionale protetto dall'art. 9 Cost., sentenze citate n. 378/2000 e n. 85/1998. - Sul bilanciamento tra l'interesse alla partecipazione degli enti comunali nel procedimento di approvazione di piani regionali urbanistici e l'interesse alla tutela ambientale e culturale, sentenze citate n. 83/1997 e n. 357/1988.
L'art. 14 della legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 10 - che riafferma i principî generali sulla partecipazione degli interessati ai procedimenti amministrativi - pur escludendo dal suo ambito applicativo gli atti di pianificazione, opera un mero rinvio alla disciplina di settore, per la quale sono stati appena disattesi (v. massima D) i rilievi di costituzionalità sollevati. Pertanto non può dirsi fondata la questione proposta nei confronti della stessa disposizione, in riferimento agli artt. 5 e 128 Cost.