Articolo 6 - COSTITUZIONE

La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
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Massime della Corte Costituzionale

Trovate 10 massime

Pronuncia 198/2020Depositata il 13/08/2020

Ricorso per conflitto tra poteri dello Stato - Mancata piena corrispondenza tra la delibera della Giunta regionale di autorizzazione a promuovere il conflitto e il ricorso - Manifesta inammissibilità del ricorso, nella parte in cui eccede la delibera.

È manifestamente inammissibile, per difetto di piena corrispondenza con la delibera di autorizzazione a proporre ricorso della Giunta regionale, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Regione Basilicata a seguito dell'approvazione, con delibera legislativa dell'8 ottobre 2019, della legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari, dell'inserimento dell'art. 1- bis , comma 3, nel testo del d.l. n. 26 del 2020 (che prevede la fissazione della data per la celebrazione del relativo referendum confermativo contestualmente a quella per le elezioni in alcune Regioni e per elezioni amministrative, nel c.d. election day ), nonché dell'emanazione del d.P.R. 17 luglio 2020 (di indizione del citato referendum ), con riferimento a tale decreto presidenziale e alle connesse censure relative alla fissazione della data per la celebrazione del referendum contestualmente a quella per le indicate elezioni. La delibera della Giunta regionale è, infatti, testualmente e inequivocabilmente limitata solo alla impugnativa della delibera legislativa dell'8 ottobre 2019.

Pronuncia 198/2020Depositata il 13/08/2020

Costituzione e leggi costituzionali - Approvazione di legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari - Indizione, con decreto-legge, del referendum confermativo per i giorni 20 e 21 settembre 2020 - Abbinamento alle elezioni suppletive, amministrative e regionali dell'anno 2020 (c.d. election day) - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri proposto dalla Regione Basilicata - Lamentata lesione della rappresentatività parlamentare riconosciuta alla Regione Basilicata, disparità di trattamento tra Regioni e rispetto alle Province autonome di Trento e di Bolzano, lesione delle minoranze linguistiche, del principio di uguaglianza nella partecipazione alla vita politica, nonché assenza dei presupposti di necessità e di urgenza - Carenza del requisito soggettivo del conflitto - Impossibilità dell'eventuale conversione in ricorso per conflitto di attribuzione tra enti - Inammissibilità del ricorso.

È dichiarato inammissibile, per carenza del requisito soggettivo previsto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Regione Basilicata, per violazione degli artt. 3, 6, 48, 51, 57, commi primo e terzo, 131 e 114, Cost. e la «compressione e invasione dei poteri di rappresentatività parlamentare attribuiti dalla Costituzione alla Regione Basilicata», nonché la violazione degli artt. 72, commi primo e quarto, 77, secondo comma, 138 e 139, Cost., nei confronti del Consiglio dei ministri, del Presidente del Consiglio dei ministri, dei Ministri dell'interno e della giustizia, della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, nonché della Regione autonoma Trentino Alto-Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in seguito all'approvazione in data 8 ottobre 2019 da parte del Parlamento della legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari. Né la Regione né singoli organi di essa possono essere considerati "poteri dello Stato" ai quali sia riconoscibile la legittimazione passiva: anche quando esercita poteri rientranti nello svolgimento di attribuzioni determinanti la propria sfera di autonomia costituzionale o di funzioni ad essa delegate, la Regione, infatti, non agisce come soggetto appartenente al complesso di autorità costituenti lo Stato, nell'accezione propria dell'art. 134 Cost. Né il ricorso per conflitto tra poteri dello Stato potrebbe convertirsi in ricorso per conflitto di attribuzione tra la Regione e lo Stato, perché palese, al di là di ogni altro profilo, l'intervenuto decorso del prescritto termine di decadenza di sessanta giorni. ( Precedenti citati: ordinanze n. 479 del 2005, n. 82 del 1978, n. 10 del 1967 nonché ordinanza 24 maggio 1990, senza numero ). La Corte costituzionale è chiamata, nella fase del giudizio sull'ammissibilità di ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, a stabilire in camera di consiglio, senza contraddittorio, se concorrano i requisiti di ordine soggettivo e oggettivo prescritti dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, e cioè se il conflitto risulti essere insorto tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere a cui appartengono e sia diretto a delimitare la sfera di attribuzioni dei poteri interessati, determinata da norme costituzionali. ( Precedente citato: ordinanza n. 256 del 2016 ). Sotto il profilo soggettivo, la nozione di "potere dello Stato", ai fini della legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione ( ex art. 37 della legge n. 87 del 1953), abbraccia tutti gli organi ai quali sia riconosciuta e garantita dalla Costituzione una quota di attribuzioni costituzionali o sia affidata una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita. ( Precedenti citati: ordinanze n. 17 del 2019, n. 88 del 2012, n. 87 del 2012 e n. 17 del 1978 ). Secondo la Corte costituzionale, deve negarsi in radice che gli enti territoriali possano qualificarsi come "potere dello Stato" nell'accezione propria dell'art. 134 Cost., essendo essi distinti dallo Stato, pur concorrendo tutti a formare la Repubblica nella declinazione risultante dall'art. 114, primo comma, Cost. ( Precedenti citati: ordinanze n. 11 del 2011, n. 264 del 2010, n. 84 del 2009 e n. 479 del 2005 ).

Pronuncia 210/2018Depositata il 22/11/2018

Thema decidendum - Accoglimento della questione in via principale di legittimità costituzionale in riferimento ad uno dei parametri evocati - Assorbimento di questione ulteriore.

Accolta in parte qua la questione di legittimità costituzionale in via principale - per violazione dell'art. 99 dello statuto speciale regionale - dell'art. 1 commi 1, 2 e 4, della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 8 del 2017, resta assorbita la questione sollevata in riferimento all'art. 6 Cost.

Norme citate

  • legge della Regione autonoma Trentino Alto Adige-Art. 1, comma 1
  • legge della Regione autonoma Trentino Alto Adige-Art. 1, comma 2
  • legge della Regione autonoma Trentino Alto Adige-Art. 1, comma 4

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 6

Pronuncia 81/2018Depositata il 20/04/2018

Minoranze linguistiche e nazionali - Norme della Regione Veneto - Qualificazione del "popolo veneto" quale "minoranza nazionale" e conseguente disciplina - Ricorso del Governo - Violazione dei principi fondamentali di unità, indivisibilità, uguaglianza e di tutela delle minoranze linguistiche - Illegittimità costituzionale.

È dichiarata costituzionalmente illegittimità, per violazione degli artt. 2, 3, 5 e 6 Cost., la legge reg. Veneto n. 28 del 2016, che qualifica il "popolo veneto" come "minoranza nazionale" ai sensi della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, ratificata e recepita con legge n. 302 del 1997. Il compito di determinare gli elementi identificativi di una minoranza da tutelare non può che essere affidato alle cure del legislatore statale, in ragione della loro necessaria uniformità per l'intero territorio nazionale. I legislatori regionali e provinciali possono adottare atti normativi in materia, specialmente al fine di garantire e valorizzare l'identità culturale e il patrimonio storico delle proprie comunità, pur sempre però nel pieno rispetto di quanto determinato in materia dal legislatore statale, che si trova nella posizione più favorevole a garantire le differenze, proprio in quanto capace di garantire le comunanze e risulta, perciò, in grado di rendere compatibili pluralismo e uniformità, anche in attuazione del principio di unità e indivisibilità della Repubblica. Al legislatore regionale non è pertanto consentito configurare o rappresentare la "propria" comunità in quanto tale come "minoranza", perché riconoscere un tale potere significherebbe introdurre un elemento di frammentazione nella comunità nazionale contrario ai parametri evocati. ( Precedenti citati: sentenze n. 170 del 2010, n. 159 del 2009, n. 261 del 1995, n. 289 del 1987, n. 312 del 1983, n. 14 del 1965, n. 128 del 1963, n. 46 del 1961, n. 1 del 1961 e n. 32 del 1960 ). La tutela delle minoranze è refrattaria a una rigida configurazione in termini di "materia" da collocare in una delle ripartizioni individuate nel Titolo V della seconda parte della Costituzione; la sua attuazione in via di legislazione ordinaria richiede tanto l'intervento del legislatore statale, quanto l'apporto di quello regionale, perché i principi contenuti negli artt. 2, 3 e 6 Cost. si rivolgono sempre alla "Repubblica" nel suo insieme e pertanto impegnano tutte le sue componenti - istituzionali e sociali, centrali e periferiche - nell'opera di promozione del pluralismo, dell'eguaglianza e, specificamente, della tutela delle minoranze; sicché, sul piano legislativo, l'attuazione di tali principi esige il necessario concorso della legislazione regionale con quella statale. ( Precedente citato: sentenza n. 159 del 2009 ). La tutela delle minoranze - garantita dall'art. 6 Cost. con specifico riferimento alle minoranze linguistiche - è espressione dei fondamentali principi del pluralismo sociale (art. 2 Cost.) e dell'eguaglianza formale e sostanziale (art. 3 Cost.), che conformano l'intero ordinamento costituzionale e che per questo sono annoverati tra i suoi principi supremi, ed è considerata espressione paradigmatica di una più ampia e articolata garanzia delle identità e del pluralismo culturale, i cui principi debbono ritenersi applicabili a tutte le minoranze, siano esse religiose, etniche o nazionali, oltre che linguistiche; essa pertanto richiede l'apprestamento sia di norme ulteriori di svolgimento, sia di strutture o istituzioni finalizzate alla loro concreta operatività. ( Precedenti citati: sentenze n. 88 del 2011, n. 159 del 2009, n. 15 del 1996, n. 261 del 1995, n. 62 del 1992 e n. 28 del 1982 ).

Norme citate

  • legge della Regione Veneto-Art.

Parametri costituzionali

Pronuncia 42/2017Depositata il 24/02/2017

Lingua - Lingua italiana - Ufficialità e primazia nell'ordinamento costituzionale - Funzione di vettore della storia e dell'identità della comunità nazionale a fronte della progressiva integrazione sovranazionale e della globalizzazione - Centralità, in rapporto e bilanciamento con altri principi costituzionali, particolarmente nella scuola e nelle università.

Come già affermato in relazione al "principio fondamentale" della tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.), la lingua è elemento fondamentale di identità culturale e mezzo primario di trasmissione dei relativi valori, ovvero elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare. Ciò vale del pari per l'unica lingua ufficiale del sistema costituzionale - la lingua italiana - la cui qualificazione, ricavabile per implicito dall'art. 6 Cost. ed espressamente ribadita nell'art. 1, comma 1, della legge n. 482 del 1999 (in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche), oltre che nell'art. 99 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale, teso a evitare che altre lingue possano essere intese come alternative alla lingua italiana o comunque tali da porre quest'ultima in posizione marginale. ( Precedenti citati: sentenza n. 88 del 2011, sulla tutela delle minoranze linguistiche come "principio fondamentale"; sentenze n. 62 del 1992, n. 15 del 1996, sul valore identitario della lingua; sentenza n. 28 del 1982, sull'italiano come "unica lingua ufficiale del sistema costituzionale"; sentenza n. 159 del 2009, sul primato della lingua italiana e sul rapporto con essa delle lingue minoritarie protette ). La lingua italiana è, nella sua ufficialità, e quindi primazia, vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall'art. 9 Cost. La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l'erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione non debbono costringerla in una posizione di marginalità: al contrario, e anzi proprio in virtù dell'emersione di tali fenomeni, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, bensì - lungi dall'essere una formale difesa di un retaggio del passato, inidonea a cogliere i mutamenti della modernità - diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell'identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell'italiano come bene culturale in sé. La centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana si coglie particolarmente nella scuola e nelle università, quali luoghi istituzionalmente deputati alla trasmissione della conoscenza nei vari rami del sapere e alla formazione della persona e del cittadino, e in tale contesto si incontra - combinandosi e, ove necessario, bilanciandosi - con altri principi costituzionali: ossia, con il principio d'eguaglianza, anche sotto il profilo della parità nell'accesso all'istruzione (diritto, questo, che la Repubblica, ai sensi dell'art. 34, terzo comma, Cost., ha il dovere di garantire, sino ai gradi più alti degli studi, ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi); con la libertà d'insegnamento, garantita ai docenti dall'art. 33, primo comma, Cost. (la quale, se è suscettibile di atteggiarsi secondo le più varie modalità, rappresenta pur sempre una prosecuzione ed una espansione della libertà della scienza e dell'arte); e con l'autonomia universitaria, riconosciuta e tutelata dall'art. 33, sesto comma, Cost. (che non deve peraltro essere considerata solo sotto il profilo dell'organizzazione interna, ma anche nel rapporto di necessaria reciproca implicazione con i diritti costituzionali di accesso alle prestazioni). ( Precedenti citati: sentenza n. 383 del 1998, sull'ordinamento unitario della pubblica istruzione e sull'autonomia universitaria; n. 240 del 1974, sulla libertà d'insegnamento; sentenza n. 7 del 1967, sulla funzione della scuola e delle università ).

Parametri costituzionali

Pronuncia 42/2017Depositata il 24/02/2017

Università e istituzioni di alta cultura - Internazionalizzazione degli atenei - Rafforzamento "anche" attraverso l'attivazione di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera - Ritenuta possibilità per gli atenei di predisporre interi corsi di studio in una lingua diversa dall'italiano - Denunciata violazione del primato della lingua italiana, della parità nell'accesso all'istruzione universitaria e della libertà d'insegnamento - Insussistenza alla stregua di interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata - Possibilità per gli atenei di affiancare corsi universitari in lingua italiana e in lingua straniera, nonché di attivare esclusivamente in lingua straniera singoli insegnamenti - Non fondatezza della questione, nei sensi di cui in motivazione.

Sono dichiarate non fondate, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Consiglio di Stato, sez. sesta giur., in riferimento agli artt. 3, 6 e 33 Cost. - dell'art. 2, comma 2, lett. l), della legge n. 240 del 2010, a norma del quale il rafforzamento dell'internazionalizzazione delle università può avvenire "anche" attraverso l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera. L'obiettivo dell'internazionalizzazione degli atenei - che la censurata disposizione legittimamente intende perseguire, consentendo ad essi di proporre agli studenti una offerta formativa alternativa e di attirare discenti dall'estero - deve essere soddisfatto senza pregiudicare i principi costituzionali del primato della lingua italiana, della parità nell'accesso all'istruzione universitaria e della libertà d'insegnamento. Tali principi sarebbero illegittimamente sacrificati ove la disposizione censurata fosse interpretata nel senso che agli atenei sia consentito predisporre una generale offerta formativa che contempli interi corsi di studio impartiti esclusivamente in una lingua diversa dall'italiano, poiché l'esclusività della lingua straniera estrometterebbe integralmente e indiscriminatamente la lingua ufficiale della Repubblica dall'insegnamento universitario di interi rami del sapere, imporrebbe per l'accesso ai corsi la conoscenza di una lingua diversa dall'italiano, ostacolando il raggiungimento dei "gradi più alti degli studi" da parte dei soggetti, pur capaci e meritevoli, che non la conoscano affatto, e potrebbe essere lesiva della libertà d'insegnamento, incidendo significativamente sulle modalità di svolgimento dell'attività dei docenti e discriminandoli all'atto del conferimento degli insegnamenti in base a una competenza (conoscenza della lingua straniera) estranea a quelle verificate in sede di reclutamento nonché al sapere specifico che deve essere trasmesso ai discenti. Affinché sia compatibile con gli artt. 3, 6 e 33 Cost. (cui va aggiunto il non evocato, ma pertinente art. 34 Cost.), la disposizione censurata va interpretata nel senso (consentito dal suo portato semantico) di attribuire, alle università che lo ritengano opportuno, la possibilità di affiancare all'erogazione di corsi universitari in lingua italiana corsi in lingua straniera, nonché (in considerazione delle peculiarietà e delle specificità di determinati settori scientifico-disciplinari) di attivare esclusivamente in lingua straniera singoli insegnamenti, fermo restando che a tale ulteriore facoltà gli atenei, nell'ambito della propria autonomia, debbono far ricorso secondo ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza, così da garantire pur sempre una complessiva offerta formativa rispettosa del primato della lingua italiana, del principio d'eguaglianza, del diritto all'istruzione e della libertà d'insegnamento. Le legittime finalità dell'internazionalizzazione degli atenei non possono ridurre la lingua italiana, all'interno dell'università italiana, a una posizione marginale e subordinata, obliterando quella funzione, che le è propria, di vettore della storia e dell'identità della comunità nazionale, nonché il suo essere, di per sé, patrimonio culturale da preservare e valorizzare. L'autonomia universitaria riconosciuta dall'art. 33 Cost. deve pur sempre svilupparsi "nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato" e, prima ancora, dai diversi principi costituzionali che nell'ambito dell'istruzione vengono in rilievo.

Norme citate

  • legge-Art. 2, comma 2

Parametri costituzionali

Pronuncia 269/2014Depositata il 03/12/2014

Minoranze linguistiche - Impiego pubblico - Norme della Provincia di Trento - Istituto cimbro di Luserna - Incarico di direttore - Possibilità che sia conferito a un soggetto privo dei requisiti per la nomina a dirigente, "purché in possesso di professionalità e attitudine alla direzione" - Ricorso del Governo - Asserita violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione - Insussistenza - Disposizione giustificata dal principio della tutela delle minoranze linguistiche - Non fondatezza della questione.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 77 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011, n. 18, impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui, inserendo il comma 1- bis nell'art. 8- bis della legge provinciale n. 18 del 1987, consente che l'incarico di direttore dell'Istituto cimbro di Luserna sia affidato anche a un soggetto privo dei requisiti per la nomina a dirigente, purché in possesso di professionalità e attitudine alla direzione. I cimbri costituiscono una piccola minoranza linguistica germanofona, la cui entità può essere stimata in circa un migliaio di persone, concentrate per lo più nel comune di Luserna ove ha sede l'Istituto che ha lo scopo di promuovere le conoscenze della cultura e delle tradizioni di tale minoranza storica. Tenendo conto delle difficoltà di reclutamento all'interno di una così ristretta cerchia di persone, la disposizione impugnata consente di non applicare i requisiti stabiliti dalla legislazione provinciale sugli incarichi dirigenziali (artt. 24 e 28 della legge provinciale n. 7 del 1997) al fine di permettere che a capo dell'istituto possa essere posta una persona che conosca la lingua cimbra e la cultura di tale popolazione. La disposizione è dunque giustificata dal principio della tutela delle minoranze linguistiche garantito dall'art. 6 Cost., dallo statuto trentino e dalle relative norme di attuazione. Essa appare conforme ai principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, nel presupposto, non esplicitato ma chiaramente desumibile dalla disciplina dell'Istituto cimbro, che tale soluzione si renda necessaria per affidare l'incarico in questione a un esperto della lingua e della cultura dei cimbri. D'altra parte, la norma de qua deve essere intesa nel senso che la professionalità richiesta sia da valutarsi con specifico riferimento alla conoscenza della lingua e della cultura cimbra, in modo che la deroga da essa posta sia subordinata alla condizione che la persona candidata all'incarico di direttore sia esperto conoscitore della lingua e della cultura della minoranza protetta. - Sull'inidoneità di un'indicazione soltanto parziale dei parametri interposti (nella deliberazione del Consiglio dei ministri) a determinare l'inammissibilità di una censura, ben potendo la difesa tecnica, nell'esercizio della sua discrezionalità, integrare i motivi di doglianza, v., ex plurimis , la citata sentenza n. 290/2009.

Norme citate

  • legge della Provincia autonoma di Trento-Art. 77

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 3
  • Costituzione-Art. 6
  • Costituzione-Art. 97
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 2
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 92
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 102
  • decreto legislativo-Art.

Pronuncia 215/2013Depositata il 18/07/2013

Istruzione - Minoranze linguistiche - Dimensionamento della rete scolastica - Assegnazione del dirigente scolastico titolare e del direttore dei servizi amministrativi titolare alle autonomie scolastiche costituite da almeno 600 alunni - Riduzione del parametro a 400 alunni in presenza di "aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche" - Disposizione che attribuisce alla predetta locuzione il significato di aree "nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera" - Impossibilità di ricorrere a tale criterio rispetto ad aree nelle quali la specificità linguistica non è straniera - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Asserita ingiustificata discriminazione della lingua e della comunità friulana - Insussistenza - Applicabilità della clausola di salvaguardia di cui all'art 24- bis dello stesso decreto-legge censurato - Non fondatezza della questione.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 16, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), impugnato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 3 dello statuto speciale di autonomia, 3 e 6 Cost., in quanto - stabilendo che, ai fini dell'applicazione dei parametri previsti dagli artt. 19, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 e 4, comma 69, della legge n. 183 del 2011, per aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica si intendono quelle nelle quali siano presenti minoranze di lingua madre straniera - ha un contenuto limitativo della precedente disciplina che, in tema di dimensionamento della rete scolastica, prevedeva l'assegnazione del dirigente scolastico titolare e del direttore dei servizi amministrativi titolare alle autonomie scolastiche costituite da almeno 600 alunni oppure da almeno 400 alunni in presenza di aree geografiche caratterizzate da «specificità linguistica». Il legislatore statale ha determinato una rilevante contrazione dell'ambito applicativo della precedente regolamentazione (esteso, prima del censurato intervento normativo, alle tre minoranze linguistiche storiche friulana, tedesca e slovena presenti nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia), che comporta l'impossibilità di ricorrere a tale criterio rispetto ad aree in cui la specificità linguistica non è straniera; ciò determina un'ingiustificata discriminazione della lingua e della comunità friulana e, quindi, un contrasto con il richiamato parametro statutario. Tuttavia, la norma denunciata non è applicabile alla Regione ricorrente poiché è da ritenere operante la clausola di salvaguardia posta dall'art. 24- bis del medesimo d.l., che ha la precisa funzione di renderne applicabili le disposizioni agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che ciò avvenga nel rispetto degli statuti speciali e di escluderne l'applicazione ove, come nella specie, sussista un contrasto. - Sulla funzione della clausola di salvaguardia posta dall'art. 24- bis del d.l. n. 95 del 2012, v. la citata sentenza n. 241/2012.

Norme citate

  • decreto-legge-Art. 14, comma 16
  • legge-Art.

Parametri costituzionali

Pronuncia 238/2012Depositata il 26/10/2012

Professioni - Titolo professionale straniero - Riconoscimento del titolo di maestro di sci conseguito in Montenegro dal sig. Marco Oddera, ai fini dell'esercizio in Italia della professione - Ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano - Asserita lesione della competenza legislativa primaria della Provincia in materia di maestri di sci e delle relative competenze amministrative - Insussistenza di una lesione della competenza costituzionale della Provincia di Bolzano - Inammissibilità del ricorso.

Deve essere dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti dello Stato, in relazione al provvedimento del Capo dell'ufficio dello sport presso la Presidenza del Consiglio dei ministri del 1° giugno 2011, di riconoscimento del titolo di maestro di sci conseguito in Montenegro, poiché non sussiste la lesione della competenza costituzionale della ricorrente. Infatti, il provvedimento statale impugnato è stato rilasciato sulla base del presupposto della presentazione di una domanda di esercizio della professione in Italia e con la clausola espressa della «previa iscrizione al Collegio regionale dei Maestri di sci dove svolgerà la professione» e, quindi, non contrasta con la competenza legislativa primaria attribuita alla Provincia autonoma di Bolzano in materia di riconoscimento del titolo di maestro di sci ai fini dell'esercizio della professione nel suo territori, che matura soltanto con la richiesta di iscrizione al relativo albo. - Sulla necessità, ai fini dell'ammissibilità del conflitto di attribuzione, della necessità del livello costituzionale del medesimo, le Regioni possono sollevare conflitto di attribuzione qualora l'atto oggetto del conflitto provochi una lesione della sfera costituzionale di competenza, ai sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

Norme citate

  • decreto dirig. gen. Pres. Consiglio dei ministri-Art.

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 6
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 8
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 1
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 8
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 16

Pronuncia 340/2011Depositata il 22/12/2011

Finanza regionale - Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Nota del Ministero dell'economia e delle finanze che sostiene l'applicabilità dell'obbligo di comunicazione dei dati sul patrimonio ai sensi della legge n. 191 del 2009 anche nei confronti dei comuni delle Province autonome e delle Province autonome stesse - Ricorso per conflitto di attribuzione della provincia autonoma di Bolzano - Natura puramente informativa dell'atto impugnato - Difetto di attitudine lesiva delle attribuzioni costituzionali - Inammissibilità del ricorso.

E' inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione, proposto dalla Provincia autonoma di Bolzano nei confronti dello Stato, in relazione all'e-mail del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro, datata 1° giugno 2010, avendo tale atto una portata puramente informativa, siccome adottato dal supporto informatico appositamente istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze al solo scopo di rispondere al quesito proposto proprio dal Consorzio dei Comuni siti nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano, sull'ambito di applicazione dell'art. 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009, risolvendosi in un mero parere tecnico, non vincolante. Esso, conseguentemente, non ha alcuna portata vincolante nei confronti delle amministrazioni alle quali è indirizzato, non contenendo alcuna manifestazione di volontà, che sia peraltro riconducibile ad un organo dell'amministrazione legittimato a rappresentare lo Stato e ad esprimerne appunto la volontà all'esterno, che si risolva nell'affermazione di una competenza propria dello Stato nell'ambito indicato. Sull'inidoneità lesiva della sfera di competenza regionale di atti relative ad una fase interna e meramente provvisoria: sentenze n. 97 del 2003, n. 73 del 2005, n. 334 del 2006.

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 3
  • Costituzione-Art. 6
  • Costituzione-Art. 97
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 8
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 9
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art.
  • statuto regione Trentino Alto Adige-Art. 16
  • legge-Art. 39

Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.