Articolo 58 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59, comma 1, 83, commi 1, numero 5), e 2, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005) e degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (nel testo risultante dalla citata legge del 2005), impugnati, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost. nonché all'art. 3 del Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto contengono norme per l'elezione dei componenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica che non permettono al cittadino di esprimere la preferenza per i singoli candidati, ma lasciano allo stesso la sola possibilità di ratificare la scelta dei candidati già decisa dai partiti, attraverso un gioco di procedure nella formazione delle liste elettorali, determinando, in tal modo, unilateralmente la scelta dei candidati, i quali, pertanto, vengono ad assumere la qualifica e il ruolo di nominati e non già di eletti. Successivamente alle ordinanze di rimessione, tutte le impugnate disposizioni dei testi unici delle leggi elettorali di Camera e Senato sono state dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 1 del 2014, sicché è venuto meno l'oggetto delle questioni, perché a seguito di tale decisione, le predette norme sono state già rimosse dall'ordinamento con efficacia ex tunc . Inoltre, dalla stessa prospettazione emerge chiaramente che, per la definizione dei giudizi principali, il rimettente non è in alcun modo chiamato ad applicare le censurate norme elettorali, dovendo egli esclusivamente accertare la penale responsabilità di due cittadini extracomunitari, per i reati loro rispettivamente ascritti di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato e di violazione dell'ordine di lasciare il territorio medesimo. Nella specie, l'impugnazione delle menzionate norme elettorali si configura quale tentativo da parte del rimettente di proporre in via diretta un controllo di costituzionalità, che risulta surrettiziamente attivato, al di fuori dei limiti sanciti dagli artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23, secondo comma, della legge n. 87 del 1953, essendo del tutto carente il nesso di indispensabile pregiudizialità dello specifico scrutinio richiesto alla Corte rispetto agli esiti della decisione del giudizio principale. D'altra parte, la radicale mancanza d'incidentalità del richiesto vaglio delle norme neppure può dirsi colmata dalla affermazione - peraltro formulata in maniera del tutto apodittica - di una conseguente "non prescrittività" delle leggi approvate dai Parlamenti succedutisi dopo il dicembre del 2005 (e costituiti sulla base di norme elettorali incostituzionali) e quindi anche di quelle penali applicabili nei processi a quibus . - Per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle impugnate disposizioni dei testi unici delle leggi elettorali di Camera e Senato, v. la citata sentenza n. 1/2014. - Sulla manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale riguardanti norme già dichiarate costituzionalmente illegittime, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 321/2013, 294/2013, 280/2013 e 257/2013. - Sull'indispensabile requisito della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale, v., ex plurimis , le citate ordinanze nn. 306/2013, 196/2013, 176/2013 e 81/2013.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 10- bis (così come inserito dall'art. 1, comma 16, lett. a , della legge n. 94 del 2009) e 14, commi 5- quater e 5- bis (già inseriti dall'art. 13, comma 1, lett. b , della legge n. 189 del 2002 e sostituiti rispettivamente dai numeri 6 e 4 della lett. d del comma 1 dell'art. 3 del d.l. n. 89 del 2011), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, impugnati, in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost. nonché all'art. 3 del Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto contengono le norme incriminatrici dei reati di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato e di violazione dell'ordine di lasciare il territorio medesimo, oggetto della cognizione nei giudizi a quibus , approvate da un Parlamento di cui risulta dubbia la legalità ovvero la legittimità costituzionale della sua investitura. Infatti, il remittente si è esclusivamente limitato, in termini puramente assiomatici, a far cenno alla circostanza che, nei giudizi principali, si procede a carico di due cittadini extracomunitari per i predetti reati e ad asserire che le questioni sarebbero «rilevanti perché, se accolte, comporterebbero l'assoluzione del prevenuto». Pertanto, nell'ordinanza di rimessione manca ogni specifico riferimento - atto a permettere la necessaria verifica dell'asserita rilevanza delle questioni, sia nel loro complesso sia in rapporto alle singole censure - alle vicende concrete che hanno dato origine alle imputazioni ed alla loro effettiva riconducibilità ai paradigmi punitivi considerati. - Sul requisito della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale, v. le citate ordinanze nn. 175/2013, 84/2013 e 65/2013.
Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost., gli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. Le norme censurate, concernenti le modalità di espressione del voto per l'elezione dei componenti della Camera dei deputati, si inseriscono in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957), presentati «secondo un determinato ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione» (art. 18- bis , comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957). Le circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non è investita dalle censure, corrispondono per la Camera dei deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005) ai territori regionali, con l'eccezione delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono presenti due circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre (Lombardia). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957); e sono proclamati «eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima, secondo l'ordine di presentazione» nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957). In questo quadro, le disposizioni impugnate, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a determinare per intero la composizione della Camera, è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa, sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti, e compromette la libertà di voto del cittadino, chiamato a determinare l'elezione di tutti i deputati, votando un elenco spesso assai lungo di candidati, che difficilmente conosce. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati, rendono la disciplina in esame non comparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi ovvero da circoscrizioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto. Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto. - Per il principio secondo cui l'attribuzione ai partiti del compito di indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino, a condizione che quest'ultimo sia «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza», v. la citata sentenza n. 203/1975. - Sulle funzioni attribuite ai partiti politici dalle leggi elettorali, v. la citata ordinanza n. 79/2006. - Per l'affermazione secondo cui la libertà del voto di cui all'art. 48 Cost. è alla base del principio democratico, v. la citata sentenza n. 16/1978.
E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost., l'art. 14, comma 1, del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, nella parte in cui non consente all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. La norma censurata, concernente le modalità di espressione del voto per l'elezione dei componenti del Senato della Repubblica, si inserisce in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati «secondo un determinato ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione» (art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non è investita dalle censure, corrispondono sempre, per il Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza, che è definito, per il Senato, «di coalizione regionale» (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati «eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima, secondo l'ordine di presentazione» nella lista (art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993). In questo quadro, la disposizione impugnata, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a determinare per intero la composizione del Senato, è un voto per la scelta della lista, esclude ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa, sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti, e compromette la libertà di voto del cittadino, chiamato a determinare l'elezione di tutti i senatori, votando un elenco spesso assai lungo di candidati, che difficilmente conosce. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi ovvero da circoscrizioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto. Le condizioni stabilite dalla norma censurata sono, viceversa, tali da alterare per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto. - Per il principio secondo cui l'attribuzione ai partiti del compito di indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino, a condizione che quest'ultimo sia «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza», v. la citata sentenza n. 203/1975. - Sulle funzioni attribuite ai partiti politici dalle leggi elettorali, v. la citata ordinanza n. 79/2006. - Per l'affermazione secondo cui la libertà del voto di cui all'art. 48 Cost. è alla base del principio democratico, v. la citata sentenza n. 16/1978.