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Pronuncia 1/2014

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica); degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altro con ordinanza del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2013. Visto l'atto di costituzione di Aldo Bozzi ed altri; udito nell'udienza pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro; uditi gli avvocati Claudio Tani, Aldo Bozzi e Felice Carlo Besostri per Aldo Bozzi ed altri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati); 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica); 3) dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013. F.to: Gaetano SILVESTRI, Presidente Giuseppe TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2014. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI

Relatore: Giuseppe Tesauro

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: SILVESTRI

Massime

Elezioni - Norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica - Sistema elettorale - Attribuzione di un premio di maggioranza non subordinato al raggiungimento di una soglia minima di voti - Impossibilità per l'elettore di esprimere una preferenza per i candidati - Eccepito difetto di rilevanza - Reiezione - Peculiarità e rilievo costituzionale delle questioni - Ammissibilità delle questioni.

Sono ammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 117, primo comma, Cost., anche alla luce dell'art. 3 del protocollo n. 1 della CEDU - degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, commi 1, n. 5, e 2, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, nonché degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533 (tutti nel testo in vigore risultante dalle modificazioni apportate dalla legge n. 270 del 2005), nelle parti in cui, rispettivamente, disciplinano l'attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato, nonché le modalità di espressione del voto come voto di lista, non consentendo all'elettore di esprimere alcuna preferenza. Infatti, come risulta dall'ampia e articolata motivazione dell'ordinanza di rimessione, nel giudizio principale è stata proposta un'azione di accertamento avente ad oggetto il diritto di voto, finalizzata - come tutte le azioni di tale natura, la cui generale ammissibilità è desunta dal principio dell'interesse ad agire - ad accertare la portata del diritto, ritenuta incerta. Ne consegue che il petitum oggetto del giudizio principale non risulta totalmente assorbito dalla pronuncia sulle questioni, in quanto residuerebbe la verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto. A ciò va aggiunto che, nella fattispecie in esame, le sollevate questioni hanno ad oggetto un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione; sicché la loro ammissibilità deriva, in via principale, dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale del diritto oggetto di accertamento, la cui portata, ad avviso del remittente, non risulta esattamente delineata dalla normativa elettorale impugnata. Ciò fa sorgere l'esigenza di garantire il principio di costituzionalità, che rende imprescindibile affermare il sindacato di costituzionalità, destinato a «coprire nella misura più ampia possibile l'ordinamento giuridico» anche con riferimento alle leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del Senato, «che più difficilmente verrebbero per altra via ad esso sottoposte». - Per il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui il controllo dell'ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, «va limitato all'adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum , separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il giudice remittente sia chiamato a decidere», v., tra le molte, la citata sentenza n. 263/1994. - Per il principio secondo cui, ai fini dell'apprezzamento della rilevanza dell'incidente di legittimità costituzionale, il riscontro dell'interesse ad agire e la verifica della legittimazione delle parti, nonché della giurisdizione del giudice rimettente sono rimessi alla valutazione del giudice a quo e non sono suscettibili di riesame da parte della Corte, qualora sorretti da una motivazione non implausibile, v., fra le più recenti, le citate sentenze nn. 91/2013, 280/2012, 279/2012, 61/2012 e 270/2010. Per il consolidato principio secondo cui «la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l'unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi», anche allo scopo di scongiurare «la esclusione di ogni garanzia e di ogni controllo» su taluni atti legislativi, v. le citate sentenze nn. 4/2000 e 59/1957. - Sul principio secondo cui il sindacato di costituzionalità «deve coprire nella misura più ampia possibile l'ordinamento giuridico» anche sulle leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del Senato, «che più difficilmente verrebbero per altra via ad esso sottoposte», v. le citate sentenze nn. 387/1996, 384/1991 e 226/1976.

Norme citate

  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 4, comma 2
  • decreto legislativo-Art. 14, comma 1
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 59
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 83, comma 1
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 83, comma 2
  • decreto legislativo-Art. 17, comma 2
  • decreto legislativo-Art. 17, comma 4

Parametri costituzionali

  • legge-Art. 23

Elezioni - Norme per l'elezione della Camera dei deputati - Sistema elettorale - Attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale - Previsione che l'Ufficio elettorale nazionale verifica se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi e che, in caso negativo, ad essa attribuisce il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza - Mancata subordinazione dell'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti - Meccanismo premiale che non supera lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza - Violazione del principio della rappresentanza democratica - Violazione del principio di eguaglianza del voto - Illegittimità costituzionale .

È costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. - l'art. 83, commi 1, n. 5, e 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361, che disciplina il premio di maggioranza assegnato per l'elezione della Camera dei deputati, stabilendo che: a) l'Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5), sulla base dall'attribuzione di seggi in ragione proporzionale; b) in caso negativo, che «ad essa viene ulteriormente attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale consistenza» (comma 2). La Carta costituzionale non impone un modello di sistema elettorale, lasciando alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema ritenuto più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. Le relative norme, pur essendo espressione di un'ampia discrezionalità legislativa, non sono però esenti da controllo in sede di giudizio di costituzionalità, se risultano manifestamente irragionevoli. Nella specie, le norme impugnate non superano lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza cui soggiacciono. Esse, infatti, nell'ambito del sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, prevedono un meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza che, in quanto combinato con l'assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio, è tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto. Pertanto, pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, esse dettano una disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti e che, quindi, non è proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente. - Per il principio secondo cui l'Assemblea costituente non intese imporre un modello di sistema elettorale, lasciando al legislatore ordinario la relativa scelta, v. la citata sentenza n. 429/1995. - Per il principio secondo cui la «determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa», v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 242/2012 e 107/1996; ordinanza n. 260/2002. - Per l'affermazione secondo cui il principio costituzionale di eguaglianza del voto esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di parità, ma non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore che dipende esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari, v. la citata sentenza n. 43/1961. - Per il principio secondo cui le norme relative ai sistemi elettorali, pur costituendo espressione dell'ampia discrezionalità legislativa, non sono esenti da controllo, essendo sempre censurabili in sede di giudizio di costituzionalità quando risultino manifestamente irragionevoli, v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 242/2012 e 107/1996; ordinanza n. 260/2002. - Sui profili di irrazionalità delle norme della legge elettorale della Camera relative all'attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, v. le citate sentenze nn. 16/2008, 15/2008 e 13/2012. - Sulle modalità di svolgimento della valutazione di proporzionalità utilizzata dalla Corte costituzionale per verificare le modalità di bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti in ambiti connotati da un'ampia discrezionalità legislativa, v. la citata sentenza n. 1130/1988. - Sul principio secondo cui le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull'espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione tipica ed infungibile», v. la citata sentenza n. 106/2002.

Norme citate

  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 83, comma 1
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 83, comma 2

Elezioni - Norme per l'elezione del Senato della Repubblica - Sistema elettorale - Attribuzione del premio di maggioranza su scala regionale - Previsione che l'Ufficio elettorale regionale verifica se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell'ambito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all'unità superiore e che, in caso negativo, ad essa attribuisce un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei segni assegnati alla regione, con arrotondamento all'unità superiore - Mancata subordinazione dell'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti - Meccanismo premiale che non supera lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza - Violazione del principio della rappresentanza democratica - Violazione del principio di eguaglianza del voto - Irrazionalità di un meccanismo che favorisce la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento - Compromissione del funzionamento della forma di governo parlamentare - Compromissione dell'esercizio della funzione legislativa - Illegittimità costituzionale .

È costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. - l'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, che disciplina il premio di maggioranza assegnato per le elezioni del Senato della Repubblica, prevedendo che l'Ufficio elettorale regionale, qualora la coalizione di liste o la singola lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi nell'ambito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione. L'attribuzione in siffatto modo del premio della maggioranza assoluta, in ambito regionale, alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto semplicemente un numero maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto del raggiungimento di una soglia minima, rende la relativa disciplina manifestamente irragionevole, per effetto della compressione della rappresentatività dell'assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la sovranità popolare, in misura sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito (garantire la stabilità di governo e l'efficienza decisionale del sistema), con violazione anche dell'eguaglianza del voto. Al difetto di proporzionalità in senso stretto della disciplina censurata si aggiunge l'inidoneità della stessa al raggiungimento dell'obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla disciplina omologa prevista per l'elezione della Camera dei deputati. In questo caso, infatti, stabilendosi che l'attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, si produce l'effetto che la maggioranza in seno all'assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell'insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l'esercizio della funzione legislativa, che l'art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di essere vanificato il risultato che si intende conseguire con un'adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo. E benché tali profili costituiscano, in larga misura, l'oggetto di scelte politiche riservate al legislatore ordinario, è doveroso, in sede di giudizio di legittimità costituzionale, verificare se la disciplina legislativa violi manifestamente, come nella specie, i principi di proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva dei suindicati parametri costituzionali. - Per il principio secondo cui l'Assemblea costituente non intese imporre un modello di sistema elettorale, lasciando al legislatore ordinario la relativa scelta, v. la citata sentenza n. 429/1995. Per il principio secondo cui la «determinazione delle formule e dei sistemi elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della scelta legislativa», v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 242/2012 e 107/1996; ordinanza n. 260/2002. - Per l'affermazione secondo cui il principio costituzionale di eguaglianza del voto esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di parità, ma non si estende al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore che dipende esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari, v. la citata sentenza n. 43/1961. - Per il principio secondo cui le norme relative ai sistemi elettorali, pur costituendo espressione dell'ampia discrezionalità legislativa, non sono esenti da controllo, essendo sempre censurabili in sede di giudizio di costituzionalità quando risultino manifestamente irragionevoli, v. le seguenti citate decisioni: sentenze nn. 242/2012 e 107/1996; ordinanza n. 260/2002. - Sui profili di irrazionalità delle norme della legge elettorale della Camera relative all'attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, v. le citate sentenze nn. 16/2008, 15/2008 e 13/2012. - Sulle modalità di svolgimento della valutazione di proporzionalità utilizzata dalla Corte costituzionale per verificare le modalità di bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti in ambiti connotati da un'ampia discrezionalità legislativa, v. la citata sentenza n. 1130/1988. - Sul principio secondo cui le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale» (art. 67 Cost.), si fondano sull'espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di «una caratterizzazione tipica ed infungibile», v. la citata sentenza n. 106/2002.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 17, comma 2
  • decreto legislativo-Art. 17, comma 4

Elezioni - Norme per l'elezione della Camera dei deputati - Sistema elettorale che consente all'elettore di scegliere solo una lista di partito, cui è rimessa la designazione di tutti i candidati - Impossibilità per l'elettore di esprimere una preferenza per i candidati - Violazione dei principi del mandato diretto e del voto libero e personale - Illegittimità costituzionale in parte qua - Assorbimento di ulteriore questione.

Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost., gli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. Le norme censurate, concernenti le modalità di espressione del voto per l'elezione dei componenti della Camera dei deputati, si inseriscono in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957), presentati «secondo un determinato ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione» (art. 18- bis , comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957). Le circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non è investita dalle censure, corrispondono per la Camera dei deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005) ai territori regionali, con l'eccezione delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono presenti due circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre (Lombardia). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957); e sono proclamati «eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima, secondo l'ordine di presentazione» nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957). In questo quadro, le disposizioni impugnate, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a determinare per intero la composizione della Camera, è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa, sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti, e compromette la libertà di voto del cittadino, chiamato a determinare l'elezione di tutti i deputati, votando un elenco spesso assai lungo di candidati, che difficilmente conosce. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati, rendono la disciplina in esame non comparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi ovvero da circoscrizioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto. Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto. - Per il principio secondo cui l'attribuzione ai partiti del compito di indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino, a condizione che quest'ultimo sia «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza», v. la citata sentenza n. 203/1975. - Sulle funzioni attribuite ai partiti politici dalle leggi elettorali, v. la citata ordinanza n. 79/2006. - Per l'affermazione secondo cui la libertà del voto di cui all'art. 48 Cost. è alla base del principio democratico, v. la citata sentenza n. 16/1978.

Norme citate

  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 4, comma 2
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 59

Parametri costituzionali

Elezioni - Norme per l'elezione del Senato della Repubblica - Sistema elettorale che consente all'elettore di scegliere solo una lista di partito, cui è rimessa la designazione di tutti i candidati - Impossibilità per l'elettore di esprimere una preferenza per i candidati - Violazione dei principi del mandato diretto, e del voto libero e personale - Illegittimità costituzionale in parte qua - Assorbimento di ulteriore questione.

E' costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 67 Cost., l'art. 14, comma 1, del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, nella parte in cui non consente all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati. La norma censurata, concernente le modalità di espressione del voto per l'elezione dei componenti del Senato della Repubblica, si inserisce in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati «secondo un determinato ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione» (art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali, la cui disciplina non è investita dalle censure, corrispondono sempre, per il Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza, che è definito, per il Senato, «di coalizione regionale» (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati «eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima, secondo l'ordine di presentazione» nella lista (art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993). In questo quadro, la disposizione impugnata, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a determinare per intero la composizione del Senato, è un voto per la scelta della lista, esclude ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa, sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti, e compromette la libertà di voto del cittadino, chiamato a determinare l'elezione di tutti i senatori, votando un elenco spesso assai lungo di candidati, che difficilmente conosce. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi ovvero da circoscrizioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la libertà del voto. Le condizioni stabilite dalla norma censurata sono, viceversa, tali da alterare per l'intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto. - Per il principio secondo cui l'attribuzione ai partiti del compito di indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di voto del cittadino, a condizione che quest'ultimo sia «pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza», v. la citata sentenza n. 203/1975. - Sulle funzioni attribuite ai partiti politici dalle leggi elettorali, v. la citata ordinanza n. 79/2006. - Per l'affermazione secondo cui la libertà del voto di cui all'art. 48 Cost. è alla base del principio democratico, v. la citata sentenza n. 16/1978.

Norme citate

  • decreto legislativo-Art. 14, comma 1

Parametri costituzionali

ELEZIONI - NORME PER L'ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA - DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI L'ATTRIBUZIONE DEI PREMI DI MAGGIORANZA E LA LIMITAZIONE DELLA PREFERENZA DELL'ELETTORE ALLA LISTA - IDONEITA' DELLA NORMATIVA RIMASTA IN VIGORE A GARANTIRE IL RINNOVO DELLE ASSEMBLEE PARLAMENTARI - DECORRENZA DEGLI EFFETTI DELLA SENTENZA A PARTIRE DALLA SUCCESSIVA CONSULTAZIONE ELETTORALE - ININFLUENZA SULLE ELEZIONI SVOLTE IN APPLICAZIONE DELLE NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI E SUGLI ATTI CHE LE CAMERE ADOTTERANNO PRIMA DEL LORO RINNOVO, IN CONSIDERAZIONE DEL FONDAMENTALE PRINCIPIO DI CONTINUITA' DELLO STATO.

La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle impugnate disposizioni per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (concernenti l'attribuzione dei premi di maggioranza e la limitazione della preferenza dell'elettore alla lista) è complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, delle assemblee parlamentari, poiché stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l'attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate. Si tratta di un meccanismo di natura proporzionale, depurato dell'attribuzione del premio di maggioranza, nel quale è consentita l'espressione di un voto di preferenza per i candidati. Non rientra tra i compiti della Corte valutare l'opportunità e/o l'efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione, quest'ultima, connessa alla natura costituzionalmente necessaria della legge elettorale. Per quanto riguarda la possibilità per l'elettore di esprimere un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque non incidono sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell'organo, possono essere risolti mediante l'impiego degli ordinari criteri d'interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già vigenti. In ogni caso, simili eventuali inconvenienti, riguardanti, tra l'altro, le modalità di redazione delle schede elettorali, potranno essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia, ferma la possibilità per il legislatore di correggere, modificare o integrare la disciplina residua. Infine, la decisione di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa rimasta in vigore, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere. Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Infatti, il principio della cd. retroattività delle sentenze di accoglimento vale soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida. Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali, rilevando, nella specie, il principio fondamentale della continuità dello Stato, che si realizza in concreto attraverso la continuità dei suoi organi costituzionali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. - Sulla necessità che la normativa elettorale sia sempre, anche in caso di sua accertata parziale illegittimità costituzionale, complessivamente idonea a garantire il rinnovo in ogni momento dell'organo costituzionale elettivo, v., da ultimo, la citata sentenza n. 13/2012. - Per l'affermazione che le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie, in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali», v. le citate sentenze nn. 13/2012 (ove è altresì sottolineata l'esigenza di scongiurare l'eventualità di paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica), 16/2008, 15/2008, 13/1999, 26/1997, 5/1995, 32/1993, 47/1991 e 29/1987. - Per il principio secondo cui non rientra tra i compiti della Corte valutare l'opportunità e/o l'efficacia del meccanismo elettorale, risultante dallo scrutinio di costituzionalità, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione, quest'ultima, connessa alla natura costituzionalmente necessaria della legge elettorale, v. la citata sentenza n. 32/1993, ove è altresì sottolineata la possibilità per il legislatore di correggere, modificare o integrare la disciplina residua. - Sull'irrilevanza di eventuali inconvenienti legati alla possibilità per l'elettore di esprimere un voto di preferenza, a patto che non incidano sull'operatività del sistema elettorale né paralizzino la funzionalità dell'organo, v. la citata sentenza n. 32/1993. - Sull'ammissibilità del referendum relativo alla preferenza unica, v. la citata sentenza n. 47/1991. - Per l'affermazione che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento, alla stregua dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata (principio solitamente enunciato con il ricorso alla formula della c.d. retroattività di dette sentenze), vale soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida, v. la citata sentenza n. 139/1984.

Norme citate

  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 4, comma 2
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 59
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 83, comma 1
  • decreto del Presidente della Repubblica-Art. 83, comma 2
  • decreto legislativo-Art. 14, comma 1
  • decreto legislativo-Art. 17, comma 2
  • decreto legislativo-Art. 17, comma 4

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