Articolo 133 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È dichiarata manifestamente inammissibile, per tardiva instaurazione del giudizio a quo e carente motivazione sulla non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal TAR per la Calabria in riferimento all'art. 133, secondo comma, Cost. - della legge della Regione Calabria n. 39 del 2017, che ha disposto la rettifica dei confini territoriali tra i Comuni di Belcastro e di Petronà, trasferendo la zona denominata "contrada Acquavona" dal Comune di Belcastro a quello di Petronà. L'atto di indizione del referendum di cui all'art. 133, secondo comma, Cost., che individua le popolazioni chiamate al voto referendario, è infatti immediatamente lesivo degli interessi legittimi dei Comuni interessati e di quanti ritengono di avere titolo per partecipare alla consultazione referendaria, ma non sono stati inclusi tra le popolazioni interessate al referendum stesso; in quanto tale, esso doveva essere oggetto di tempestiva impugnazione davanti al giudice amministrativo. Inoltre, in un giudizio avente come parametro quello evocato, la mancata considerazione di un atto procedimentale che illustra le ragioni in base alle quali il Consiglio regionale ha individuato le «popolazioni interessate» pregiudica l'intero presupposto argomentativo sviluppato dal rimettente. La Corte costituzionale ha il potere di dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale qualora riscontri l'implausibilità dei presupposti concernenti la legittima instaurazione del giudizio a quo. ( Precedenti citati: sentenza n. 52 del 2018, n. 276 del 2017, n. 269 del 2016, n. 245 del 2016 e n. 154 del 2015 ). Secondo costante giurisprudenza costituzionale, la corretta ricostruzione della fattispecie oggetto del giudizio a quo è richiesta non solo ai fini della valutazione della rilevanza, ma anche allo scopo di valutare la non manifesta infondatezza della questione sollevata. ( Precedenti citati: sentenze n. 56 del 2015 e n. 128 del 2014; ordinanza n. 209 del 2015 ). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la delibera di indizione del referendum è sindacabile in quanto tale dal giudice amministrativo sino a quando la legge di variazione circoscrizionale non sia in vigore, essendo tale soluzione frutto del necessario bilanciamento tra due principi: da una parte, l'effettività e immediatezza della tutela giurisdizionale, da assicurare, ai sensi dell'art. 113 Cost., a coloro che ricorrono avverso una delibera di indizione del referendum ritenuta illegittima; dall'altra, la discrezionalità politica del legislatore regionale in tema di variazioni circoscrizionali, ai sensi degli artt. 117 e 133 Cost. ( Precedente citato: sentenza n. 2 del 2018 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per assenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale della legge reg. Marche n. 15 del 2014, sollevata dal giudice a quo in riferimento all'art. 3 Cost. Nell'ordinanza di rimessione - che contiene ampi ed espliciti argomenti relativi all'asserita lesione dell'art. 133, secondo comma, Cost. - anche il riferimento al parametro della ragionevolezza, e perciò all'art. 3 Cost., emerge in almeno due occasioni e viene sinteticamente ma consapevolmente utilizzato in funzione valutativa dei criteri utilizzati dalla delibera regionale per selezionare la popolazione interessata alla consultazione referendaria oggetto del giudizio principale.
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per mancato adempimento dell'obbligo di motivare sulla non manifesta infondatezza, della questione di legittimità costituzionale della legge reg. Marche n. 15 del 2014. Pur caratterizzandosi per alcune singolarità argomentative (nonché per alcune vere e proprie inesattezze, come, ad esempio, l'affermazione che la semplice prospettazione, ad opera della parte, di un'eccezione di legittimità costituzionale comporterebbe il sorgere, in capo al giudice, del dovere di sollevare la relativa questione), l'ordinanza di rimessione, complessivamente considerata, non manca di esporre le ragioni che inducono il rimettente a dubitare che il presupposto procedimentale della consultazione delle «popolazioni interessate» previsto dall'art. 133, secondo comma, Cost., sia stato correttamente rispettato, alla luce della giurisprudenza costituzionale sul punto e delle allegazioni del ricorrente nel giudizio principale, che vengono esplicitamente condivise.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Consiglio di Stato, sez. quinta, in riferimento agli artt. 3 e 133, secondo comma, Cost., della legge reg. Marche n. 15 del 2014, che dispone il distacco della frazione di Marotta dal Comune di Fano e la sua incorporazione nel Comune di Mondolfo, considerando quali «popolazioni interessate» cui sottoporre il relativo referendum consultivo i soli residenti nella frazione oggetto della proposta di distacco e quelli residenti nelle zone a questa immediatamente contigue. Il concetto di «popolazioni interessate» evoca un dato variabile, ricomprendendo anche gruppi di residenti interessati alla modifica non in modo diretto, ma in via mediata e indiretta; esso è caratterizzato da un certo «polimorfismo» e soggetto a interpretazioni diverse a seconda del procedimento di variazione territoriale che viene concretamente in considerazione negli artt. 132 e 133 Cost. Nel caso in esame la corretta determinazione del concetto di «popolazioni interessate» va specificamente rapportata a un caso di modifica delle circoscrizioni comunali (non già di istituzione di un nuovo Comune o di modifica della denominazione originaria). Va inoltre tenuto presente che la variazione è proposta in un ordinamento regionale che non stabilisce, in via generale e preventiva, criteri e direttive da applicare, nei casi concreti, per l'individuazione dei soggetti da chiamare alla consultazione in esame. Pertanto, la non adeguatezza dell'interpretazione del rimettente deriva, in primo luogo, dalla diseguale ampiezza dei due Comuni coinvolti e dal ben diverso numero di aventi diritto al voto in essi rispettivamente residenti; inoltre, dalla limitata estensione del territorio e della popolazione interessati direttamente dalla proposta di variazione; ancora, dalla particolare conformazione della frazione da trasferire, tutta costiera, molto più lontana dal centro di Fano che da quello di Mondolfo, e, per così dire, geograficamente collocata in modo evidente nella direzione di quest'ultimo Comune. Né è estranea a questa valutazione anche la necessità di considerare non immeritevole di protezione la peculiarità della situazione della "comunità" di Marotta, che induce a reputarla sociologicamente distinta. Né non può essere validamente utilizzato l'argomento fiscale; ogni variazione territoriale produce infatti un numero indeterminato di conseguenze, e queste non possono non estendersi allo stesso ambito tributario, eventualmente riguardando anche il bilancio dell'ente comunale che la variazione subisce, che ben può tradursi anche in un risparmio di spesa, connesso all'eventuale diminuzione dei residenti o dei servizi da erogare loro. ( Precedenti citati: sentenze n. 123 del 2019, n. 278 del 2011, n. 334 del 2004, n. 94 del 2000, n. 433 del 1995 e n. 453 del 1989 ). L'art. 133, secondo comma, Cost., non si riferisce né ai Comuni quali enti esponenziali di tutti i residenti, né alla totalità dei residenti stessi nei Comuni coinvolti dalla variazione, ma alle «popolazioni interessate», affidando, perciò al legislatore regionale, attraverso una legge che detti criteri generali, oppure al competente organo regionale, caso per caso, la delimitazione del perimetro delle popolazioni da consultare nel singolo procedimento di variazione. Risulta pertanto maggiormente aderente al suo significato la rinuncia a una definizione predefinita e "fissa", necessariamente coincidente con la totalità dei residenti nei Comuni coinvolti dalla variazione. La identificazione di tali popolazioni resta pur sempre affidata alla valutazione discrezionale dell'organo regionale competente, più o meno ampia a seconda dei casi, e sempre soggetta a verifica del giudice amministrativo o della Corte costituzionale, ad evitare il rischio che, attraverso un'artata perimetrazione dell'ambito delle popolazioni chiamate a esprimersi, il risultato del referendum venga significativamente orientato in partenza (c.d. gerrymandering). ( Precedente citato: sentenza n. 47 del 2003 ).
È dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 133, secondo comma, Cost., la legge reg. Siciliana n. 1 del 2018, che prevede, all'art. 1, che le variazioni di denominazione dei Comuni termali conseguano a una deliberazione dal Consiglio comunale, assunta a maggioranza dei due terzi, che acquista efficacia qualora non venga presentata, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, una petizione, sottoscritta da almeno un quinto di elettori del Comune interessato, e, all'art. 2, ne disciplina l'entrata in vigore. Sebbene le Regioni a statuto speciale possano dare attuazione al principio di necessaria consultazione delle popolazioni locali nelle forme procedimentali ritenute più opportune e il regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative rientri nella potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana, seppure "nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato", la disciplina recata dall'impugnato art. 1 - peraltro dettata da esigenze di celerità, semplificazione procedurale e risparmio di risorse finanziarie, che potrebbero valere non per i soli Comuni termali - non costituisce procedura idonea a soddisfare il citato principio costituzionale, che richiede che ogni proposta tesa al mutamento di denominazione debba, in principio, consentire il coinvolgimento dell'intera popolazione interessata, incidendo su un elemento non secondario dell'identità dell'ente esponenziale della collettività locale. Né la presentazione della petizione garantisce il rispetto del principio di autodeterminazione, mentre il fatto che, se essa manchi, si determini l'acquisto dell'efficacia della deliberazione del Consiglio comunale, contrasta con il fatto che l'adempimento attraverso cui si "sentono" le popolazioni interessate deve costituire una fase obbligatoria, dotata di autonoma evidenza nel procedimento di variazione territoriale. La disposizione impugnata, pertanto, effettua un'inammissibile attribuzione di significato ad una semplice inerzia, alla quale non può essere riconosciuto alcun valore giuridico, meno che mai quello di adesione alla modifica, all'esito di una "consultazione tacita"; inoltre, attribuendo un effetto di "veto" alla presentazione di una petizione sottoscritta da (almeno) un quinto di elettori dissenzienti, assegna a tale minoranza un incongruo potere di blocco, pur a fronte dell'asserito significato adesivo alla proposta di modifica, assegnato al comportamento di coloro (la maggioranza) che tale petizione non abbiano sottoscritto. Né rileva, ai fini del rispetto del principio contenuto nell'art. 133, secondo comma, Cost., che il Consiglio comunale interessato debba adottare la deliberazione di modifica della denominazione a maggioranza dei due terzi dei consiglieri, poiché l'interesse garantito dall'obbligo di consultazione è riferito direttamente alle popolazioni e non ai loro rappresentanti elettivi. L'illegittimità costituzionale della disciplina è, infine, aggravata in ragione dell'ambiguità della previsione secondo cui la delibera del Consiglio comunale "acquista efficacia" alla scadenza del termine previsto per la presentazione della petizione, nulla essendo chiarito rispetto alla necessità che sia una legge regionale a provvedere definitivamente. ( Precedenti citati: sentenze n. 21 del 2018, n. 2 del 2018, n. 36 del 2011, n. 237 del 2004, n. 47 del 2003, n. 94 del 2000 e n. 453 del 1989). L'art. 133, secondo comma, Cost., destinato alle Regioni a statuto ordinario, vincola le Regioni a statuto speciale, nella parte in cui riconosce il principio di necessaria consultazione delle popolazioni locali, radicato nella tradizione storica e connaturato all'articolato disegno costituzionale delle autonomie in senso pluralista. ( Precedenti citati: sentenza n. n. 2 del 2018, n. 214 del 2010, n. 237 del 2004, n. 94 del 2000, n. 279 del 1994, n. 453 del 1989, n. 107 del 1983 e n. 204 del 1981 ). La presentazione di istanze, richieste o petizioni non garantisce il rispetto del principio di autodeterminazione, soprattutto perché un conto è il momento dell'iniziativa, altro è quello della consultazione vera e propria dell'intera popolazione interessata, da condurre secondo modalità che garantiscano a tutti e a ciascuno adeguata e completa informazione e libertà di valutazione. ( Precedenti citati: sentenze n. 2 del 2018 e n. 453 del 1989 ). La denominazione di un Comune connota l'identità della popolazione facente parte dell'ente territoriale, poiché la toponomastica ha una fondamentale funzione comunicativa e simbolica, tesa a valorizzare nelle denominazioni le tradizioni del territorio. ( Precedente citato: sentenza n. 210 del 2018 ).
Sono rilevanti le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tar Lazio, sez. prima ter , in riferimento agli artt. 3, 5, 77, secondo comma, 95, 97, 114, 117, primo comma, in relazione all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale, e sesto comma, 118, 119 e 133, secondo comma, Cost. - dell'art. 14, commi 28, 28- bis , 29, 30 e 31 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, nonché l'art. 1, commi 110 e 111, della legge reg. Campania n. 16 del 2014, sussistendo il rapporto di pregiudizialità che il rimettente ravvisa tra tali questioni e la decisione definitiva del ricorso. L'eventuale illegittimità delle disposizioni censurate incide, infatti, sul procedimento principale, come richiesto dall'art. 23 della legge n. 87 del 1957 e costantemente confermato dalla giurisprudenza costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 67 del 2014, n. 91 del 2013, n. 236 del 2012 e n. 224 del 2012 ).
Sono dichiarate inammissibili - per difetto di motivazione sulla rilevanza - le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio, sez. prima ter, in riferimento agli artt. 3, 5, 77, secondo comma, 95, 97, 114, 117, primo comma, in relazione all'art. 3 della Carta europea dell'autonomia locale, e sesto comma, 118, 119 e 133, secondo comma, Cost., dell'art. 14, commi 26 e 27, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., nella legge n. 122 del 2010, e successivamente modificato dall'art. 19, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012, conv. con modif., nella legge n. 135 del 2012, che stabiliscono l'obbligo dei Comuni di esercitare le funzioni fondamentali di cui sono titolari e provvedono alla loro elencazione. Il rimettente non indica le ragioni che depongono per l'applicabilità delle citate disposizioni e per la pregiudizialità delle questioni ai fini della risoluzione della controversia nel giudizio principale, ove l'interesse alla tutela azionata dai ricorrenti è scaturito dalla preclusione a gestire le funzioni fondamentali autonomamente, dato l'obbligo loro imposto, in quanto Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (o a 3.000, se montani), di esercitarle in forma associata. ( Precedenti citati: sentenze n. 224 del 2018, n. 209 del 2017 e n. 119 del 2017 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio, sez. prima ter, in riferimento agli artt. 114, 119 e 133, secondo comma, Cost., dell'art. 14, commi 28, 28-bis, 29, 30 e 31, del d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., nella legge n. 122 del 2010, e successivamente modificato dall'art. 19, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012, conv., con modif., nella legge n. 135 del 2012, che disciplina l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali da parte dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (o 3.000, se montani). Esclusa l'esistenza di una riserva costituzionale di esercizio individuale delle funzioni fondamentali - che renderebbe illegittimi gli stessi istituti associativi degli enti locali a prescindere dalla loro obbligatorietà - la prospettazione è palesemente insostenibile, riguardando l'intervento del legislatore statale le modalità di esercizio delle funzioni fondamentali e non presentando, pertanto, alcuna attinenza con la disciplina che regola l'istituzione di nuovi Comuni o la modifica delle loro circoscrizioni, e non prevedendo la fusione dei piccoli Comuni. ( Precedente citato: sentenza n. 44 del 2014 ).
Non è accolta l'eccezione di tardività della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge reg. Trentino-Alto Adige n. 8 del 2017, nella parte in cui utilizza la denominazione «Sèn Jan di Fassa-Sèn Jan» anziché quella di «San Giovanni di Fassa-Sèn Jan». L'intesa precedentemente raggiunta dal Commissario del Governo con la Giunta regionale sulla data d convocazione del referendum non influisce sulla tempestività dell'impugnazione davanti la Corte costituzionale della legge regionale adottata ex art. 133 Cost., in quanto non può considerarsi quale tacito assenso alla denominazione suddetta, a prescindere da ogni considerazione sulla effettiva possibilità, per il Commissario del Governo, di muovere rilievi alla predetta denominazione o di impugnare i relativi atti amministrativi. ( Precedente citato: sentenza n. 2 del 2018 ). Gli eventuali vizi del procedimento referendario ex art. 133 Cost. si traducono in vizio formale della legge, preservando, in tal modo, e senza ledere la giurisdizione del giudice amministrativo, la posizione della Corte costituzionale, alla quale l'art. 134 Cost. affida in via esclusiva il compito di garantire la legittimità costituzionale della legislazione anche regionale. ( Precedenti citati: sentenza n. 2 del 2018 ). L'impugnazione, da parte dello Stato, delle leggi regionali adottate ex art. 133 Cost., non è soggetta ad alcuna condizione di procedibilità, poiché la mancata soddisfazione finirebbe per determinare la decadenza dall'esercizio di un potere costituzionalmente sancito dall'art. 127 Cost.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge reg. Sardegna n. 4 del 2017, che dispone la modificazione dei confini dei Comuni di Magomadas e Tresnuraghes, promosso dal Governo in riferimento all'art. 45 dello statuto speciale e dell'art. 133, secondo comma, Cost., non è accolta l'eccezione d'inammissibilità proposta dalla resistente perché il parametro costituzionale evocato è riferibile soltanto alle Regioni a statuto ordinario. Tale parametro, certamente destinato alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia vincola, nella parte in cui riconosce il principio di autodeterminazione delle popolazioni locali, anche le Regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune. ( Precedente citato: sentenza n. 453 del 1989 ).