Articolo 90 - COSTITUZIONE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
È priva di pregio l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nell'ambito del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente della Repubblica e fondata sul preteso carattere "prematuro" del conflitto in quanto asseritamente riferito alla "mera dichiarazioni di intenti" di procedere alla distruzione delle intercettazioni di conversazioni del Capo dello Stato con le formalità di legge. Premesso che la costante giurisprudenza costituzionale ritiene sufficiente ai fini della sussistenza dell'interesse a ricorrere anche la sola minaccia di lesione della sfera di attribuzioni, purché attuale e concreta, nel caso in esame poiché il comportamento della Procura di Palermo è inequivocabilmente espressivo della rivendicazione del potere-dovere di attivare le procedure di cui agli artt. 268 commi 4 e seguenti e 269, comma 2, c.p.p., la lesione temuta che il conflitto mira a scongiurare si connette proprio alla rivelazione del contenuto dei colloqui presidenziali ad ulteriori soggetti che inevitabilmente deriverebbe dal ricorso a dette procedure con il conseguente rischio di una loro generale diffusione, cosicché la reazione successiva al provvedimento del giudice sarebbe chiaramente tardiva, essendosi la lesione oramai irrimediabilmente prodotta. - Sulla necessità che i conflitti proposti avanti alla Corte siano attuali e concreti, v. cit. sentenza n. 106 del 2009 e ordinanza n. 404 del 2005. - Sulla sufficienza, ai fini dell'interesse a ricorrere, della minaccia di lesione, purché attuale e concreta, v. cit. sentenze n. 379 del 1996, n. 420 del 1995, ordinanza n. 84 del 1978.
È priva di pregio l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nell'ambito del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente della Repubblica in base alla quale il ricorrente avrebbe impropriamente utilizzato il conflitto per censurare un mero errore in procedendo da parte dell'autorità giudiziaria, ponendo una questione che attiene unicamente all'interpretazione e all'applicazione di norme processuali. Invero, a prescindere dalla circostanza che nel caso in esame non si discute di atti giurisdizionali, bensì solo di attività giudiziarie poste in essere dalla Procura della Repubblica, il conflitto è volto proprio a contestare la stessa esistenza nei confronti del ricorrente del potere, che la Procura ritiene spettarle, di intercettare i colloqui del Capo dello Stato, almeno allorché si tratti di captazioni "occasionali", e di utilizzare tali conversazioni presidenziali ai fini del procedimento, posto che proprio l'esistenza di tale potere costituisce il presupposto logico per la valutazione di "irrilevanza" delle conversazioni operata dalla Procura e della convinzione da essa manifestata della necessità di ricorrere per la loro distruzione alla udienza stralcio di cui all'art. 268 c.p.p. - Sui presupposti per sollevare conflitto di attribuzione tra poteri in relazione ad atti giurisdizionali, si vedano cit. sentenza n. 359 del 1999 e ordinanze n. 285 del 2011, n. 334 e n. 284 del 2008. In relazione al conflitto tra enti, si vedano cit. sentenze n. 195 e n. 39 del 2007, n. 326 e n. 276 del 2003.
È priva di pregio l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nell'ambito del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente della Repubblica fondata sulla "impossibilità giuridica del petitum" conseguente alla inesigibilità del comportamento asseritamente doveroso della Procura di distruggere essa stessa la documentazione delle intercettazioni delle conversazioni del Capo dello Stato, atteso che dal tenore complessivo del ricorso introduttivo - cui per costante giurisprudenza costituzionale si deve fare riferimento per determinare l'oggetto del conflitto - emerge che il ricorrente ha censurato il fatto che la Procura non abbia prontamente promosso la distruzione del materiale facendo istanza al giudice. Con ciò cade automaticamente anche la correlata eccezione di contraddizione tra petitum e ragioni addotte a sostegno. - Si vedano cit. le sentenze n. 88 e n. 87 del 2012, n. 106 del 2009 e le ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011.
Non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza delle intercettazioni di conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, operate nell'ambito del procedimento penale n. 11609/08. Non spettava, altresì, alla stessa Procura della Repubblica di omettere di chiedere al giudice l'immediata distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni indicate, ai sensi dell'art. 271, comma 3, del codice di procedura penale, senza sottoposizione della stessa al contraddittorio tra le parti e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del contenuto delle conversazioni intercettate. Invero dall'insieme dei principi costituzionali emerge che al Presidente della Repubblica, collocato al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e al di sopra delle parti politiche, sono attribuiti poteri di moderazione e stimolo, raccordo e persuasione, nei confronti degli altri poteri e che il suo ruolo di garante dell'equilibrio costituzionale e di "magistratura di influenza" richiede che egli affianchi, ai propri poteri formali che si estrinsecano nell'emanazione di atti determinati e puntuali, un uso discreto del "potere di persuasione" composto essenzialmente da attività informali fatte di incontri, comunicazioni, raffronti dialettici, per la cui efficacia e praticabilità sono essenziali la discrezione e la riservatezza di tal che il Presidente deve poter contare sulla assoluta riservatezza delle proprie comunicazioni. Il silenzio della Costituzione in ordine alla previsione di strumenti per rimuovere la preclusione all'utilizzo, nei confronti del Presidente, di mezzi di ricerca della prova invasivi, a differenza di quanto avviene per i membri del Parlamento e del Governo, e la mancanza di limitazioni esplicite per categorie di reati stabilite da norme costituzionali, lungi dal rappresentare una lacuna, è espressione della inderogabilità, in linea di principio, della riservatezza della sfera di comunicazioni del supremo garante dell'equilibrio tra poteri dello Stato, essendo l'unica eccezione a tale principio quella prevista allo scopo di accertare i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione di cui all'art. 90 Cost., laddove possono essere utilizzate anche le intercettazioni telefoniche previa deliberazione del Comitato parlamentare di cui all'art. 12 l. cost. n. 1 del 1953 e solo dopo che la Corte costituzionale abbia sospeso il Presidente dalla carica; previsione questa la quale implica che per tutte le altre fattispecie non sia possibile ipotizzare un livello di tutela inferiore. Nessuna rilevanza assume in proposito il carattere meramente casuale dell'intercettazione, atteso che il livello di salvaguardia non può abbassarsi in seguito a circostanze del tutto causali e imprevedibili, cosicché, in tal caso, il divieto di intercettazione impone all'autorità giudiziaria di non aggravare il vulnus alla riservatezza concretizzatosi nella captazione delle comunicazioni, adottando tutte le misure necessarie e utili per impedire la diffusione del contenuto delle intercettazioni, e, in particolare, l'obbligo di distruggere nel più breve tempo le registrazioni casualmente effettuate attraverso la procedura prevista dall'art. 271, comma 3, c.p.p. la quale nel caso di intercettazioni inutilizzabili per ragioni di ordine sostanziale, come quelle oggetto del presente conflitto, deve avvenire sotto il controllo del giudice e con l'esclusione della procedura camerale "partecipata", venendo altrimenti vanificato l'obiettivo di tutela di principi e diritti di rilievo costituzionale. - Sul dovere del giudice di attribuire ad ogni disposizione normativa il significato più aderente alle norme costituzionali, sollevando questione di costituzionalità solo laddove ciò non sia possibile v. cit. sent. n. 356 del 1996. - Sul necessario fondamento costituzionale delle prerogative costituzionali e sulla impossibilità per il legislatore ordinario di ampliare tali previsioni, v. citate sent. n. 262 del 2009, n. 24 del 2004, n. 148 del 1983. - Riguardo alla esistenza della c.d. immunità della sede quale applicazione e svolgimento delle norme costituzionali che garantiscono l'indipendenza riconosciuta agli organi costituzionali, v. citata sentenza n, 231 del 1975. - In relazione alla responsabilità del Presidente della Repubblica per il reati extrafunzionali, v. citata, la sentenza n. 154 del 2004. - In relazione alle intercettazioni telefoniche "indirette" si vedano le citate sentenze n. 114 e n. 113 del 2010, n. 390 del 2007, nonché le ordinanze n. 171 del 2011 e n. 263 del 2010. - Riguardo alla procedura regolata dall'art. 269, commi 2 e 3 c.p.p. e alla adozione del rito camerale in contraddittorio da esso previsto per la distruzione della documentazione di intercettazioni di conversazioni telefoniche, si veda la citata sentenza n. 463 del 1994. - Sulla necessità dell'udienza camerale nel contraddittorio tra le parti per la distruzione di documenti, supporti o atti recanti dati illegittimamente acquisiti inerenti comunicazioni telefoniche o telematiche in ipotesi in cui tali documenti costituiscano corpo del reato, si veda la sentenza cit., n. 173 del 2009.
È ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente della Repubblica, per violazione degli artt. 90 e 3 Cost. e «delle disposizioni di legge ordinaria che ne costituiscono attuazione», nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo, con il quale è stato richiesto alla Corte costituzionale di dichiarare - in relazione alla attività di intercettazione telefonica, effettuata su utenza di altra persona nell'ambito di un procedimento penale nel corso del quale sono state captate conversazioni del Presidente della Repubblica - che non spetta alla Procura della Repubblica omettere l'immediata distruzione delle intercettazioni telefoniche casuali di conversazioni del Presidente della Repubblica né di valutarne la «(ir)rilevanza» sottoponendole all'udienza prevista dall'art. 268 c.p.p. Sussistono i requisiti soggettivo e oggettivo per l'ammissibilità del ricorso. Sotto il primo profilo, sia il Presidente della Repubblica ricorrente, sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale sono legittimati al ricorso e ad essere parte del conflitto, in quanto organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono o che rappresentano. Quanto al secondo profilo, il ricorso è proposto a salvaguardia di prerogative del Presidente della Repubblica prospettate come insite nella garanzia dell'immunità prevista dall'art. 90 Cost. e nelle disposizioni di legge ordinaria ad esso collegate, fronte di lesioni in assunto realizzate o prefigurate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nello svolgimento dei propri compiti. - Sulla legittimazione del Presidente della Repubblica a sollevare conflitto a difesa delle attribuzioni ad esso costituzionalmente spettanti, v., citate, sentenze n. 200 del 2006 e n. 129 del 1981; ordinanze n. 354 del 2005 e n. 150 del 1980. - Sulla natura di potere dello Stato del Pubblico ministero, v., citate, le sentenze n. 88 e 87 del 2012, ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011. - Sulla natura di potere dello Stato da riconoscere al pubblico ministero, v., citate, le sentenze n. 88 e n. 87 del 2012, ordinanze n. 241 e n. 104 del 2011. - Sulla legittimazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ad agire e resistere nei giudizi per conflitto di attribuzione,v., citata ordinanza n. 60 del 1999.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124, censurato ove prevede che i processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione dalla carica e che la sospensione si applica anche ai processi per fatti antecedenti l'assunzione della carica, deve essere respinta l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza delle questioni che riguardano disposizioni non applicabili al Presidente del Consiglio dei ministri, unico imputato nei giudizi principali. Infatti, le disposizioni censurate costituiscono, sul piano oggettivo, una disciplina unitaria, che riguarda inscindibilmente le alte cariche dello Stato in essa previste, con la conseguenza che un'eventuale pronuncia di incostituzionalità limitata alle norme riguardanti solo una di tali cariche aggraverebbe l'illegittimità della disciplina, creando ulteriori motivi di disparità di trattamento. >-V., citata, sentenza n. 24 del 2004, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140.
È costituzionalmente illegittimo, per violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 138 Cost., l'art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124, che prevede che i processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione dalla carica e che la sospensione si applica anche ai processi per fatti antecedenti l'assunzione della carica. Le prerogative di organi costituzionali, in quanto derogatorie al principio di eguaglianza, devono essere stabilite con norma costituzionale, mentre il legislatore ordinario può solo intervenire per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli preclusa ogni integrazione o estensione dello stesso. La norma denunciata, la cui ratio , al pari di quella della norma oggetto della sentenza n. 24 del 2004, è quella di proteggere la funzione pubblica, assicurando ai titolari di alcune alte cariche il sereno svolgimento delle loro funzioni attraverso l'attribuzione di uno specifico status protettivo, costituisce una prerogativa, in quanto introduce un'ipotesi di sospensione del processo penale che si risolve in una deroga al principio di eguaglianza. Infatti, la sospensione dei processi è derogatoria rispetto al regime processuale comune e, applicandosi solo ai titolari di quattro cariche dello Stato, introduce un'evidente disparità di trattamento tra essi e gli altri cittadini che, pure, svolgono attività che la Costituzione considera parimenti impegnative e doverose. Inoltre, la violazione del principio di eguaglianza rileva anche con riferimento alle alte cariche prese in considerazione, sotto il profilo sia della disparità fra i Presidenti e i componenti degli organi costituzionali, sia della parità di trattamento tra cariche tra loro disomogenee. Restano assorbite le questioni relative all'irragionevolezza intrinseca della disciplina e ogni altra questione non esaminata. >-Sul fatto che il legislatore, in tema di prerogative, può intervenire solo per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, v., citate, sentenze n. 149/2007, n. 120/2004, n. 3000/1984, n. 148/1983 e n. 4/1965. >-Sull'istituto del legittimo impedimento a comparire v., citate, sentenze n. 451/2005, n. 391 e n. 39/2004 e n. 225/2001.
E' inammissibile il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato proposto dal senatore Francesco Cossiga, in qualità di ex Presidente della Repubblica, in relazione alla sentenza della Corte d'appello di Roma del 23 settembre 2004, n. 4024. Premesso che i conflitti intersoggettivi aventi ad oggetto atti di natura giurisdizionale non possono risolversi in mezzi impropri di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, perché avverso gli errori in iudicando di diritto sostanziale o processuale valgono i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni, nella specie il ricorrente, il quale, con la sentenza impugnata - resa in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione di precedente sentenza della stessa Corte d'appello di Roma -, è stato condannato al risarcimento del danno morale in relazione a dichiarazioni rese quando ricopriva la carica di Presidente della Repubblica, si duole del mancato rispetto, da parte della Corte d'appello, dei princípi di diritto stabiliti dalla Corte di cassazione, e chiede quindi alla Corte costituzionale di sostituirsi al giudice di legittimità nel controllo della corretta applicazione dei princípi di diritto enunciati dallo stesso giudice. - Sui limiti all'ammissibilità dei conflitti di attribuzione in relazione ad atti giurisdizionali, v. le citate sentenze n. 27/1999, n. 154/2004, n. 2, n. 150, n. 222 e n. 223/2007.
E? ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato proposto dal senatore a vita Francesco Cossiga, nella qualità di 'ex' Presidente della Repubblica, nei confronti della Corte di appello di Roma, in relazione alla sentenza n. 4024 del 23 settembre 2004, pronunciata dalla suddetta Corte di appello, in sede di rinvio, nel giudizio civile contro di lui promosso dal senatore Pierluigi Onorato per il risarcimento del danno derivante da dichiarazioni (ritenute diffamatorie) pronunciate dal Presidente Cossiga nel corso del mandato presidenziale. Infatti, sotto il profilo soggettivo, la Corte ha già ritenuto la legittimazione del senatore Cossiga, come 'ex' Presidente della Repubblica, a proporre conflitto fra poteri dello Stato nei confronti di atti del potere giudiziario. Sotto il profilo oggettivo, il ricorso deduce la lesione da parte dell'autorità giudiziaria, per il tramite dell'impugnata decisione, delle prerogative costituzionali di un 'ex' Presidente della Repubblica, come riconosciute da questa Corte nella sentenza n. 154 del 2004. - Vedi, citata, ordinanza n. 455/2002.
Nel giudizio riguardante il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato proposto dal senatore a vita Francesco Cossiga, nella qualità di 'ex' Presidente della Repubblica, nei confronti della Corte di appello di Roma, va disposta, a norma dell'art. 37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, la notificazione del ricorso anche al Presidente della Repubblica in carica, la cui posizione costituzionale, in relazione alle questioni di principio circa l'immunità di cui all'art. 90 della Costituzione, è oggetto della decisione della Corte di appello di Roma e del ricorso per conflitto di attribuzione. - Vedi, citata, sentenza n. 154/2004.