Articolo 438 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte d'assise di Bologna in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 Cost. - dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., come inserito dall'art. 1, comma 1, lett. a ), della legge n. 33 del 2019, nella parte in cui non prevede che l'imputato seminfermo di mente per delitti puniti con l'ergastolo, riconosciuto parzialmente incapace di intendere o di volere al momento del fatto con perizia svolta in incidente probatorio, sia ammesso al rito abbreviato. Il divieto di giudizio abbreviato previsto dalla disposizione censurata è collegato alla comminatoria astratta della pena dell'ergastolo, mentre nessuna incidenza determina la circostanza che il giudice ritenga concretamente inapplicabile tale pena in seguito al giudizio di bilanciamento. Non sussiste pertanto la denunciata disparità di trattamento, perché l'elemento che vale ad impedire all'imputato seminfermo di mente, e non anche all'imputato minorenne, l'accesso al rito abbreviato non è da rinvenirsi nelle diverse conseguenze che discendono dalle rispettive attenuanti, quanto nella diversa regola di sistema - scaturente dalla sentenza n. 168 del 1994 - che impedisce di infliggere la pena perpetua al solo imputato minorenne. Non fondate sono anche le censure di violazione della finalità rieducativa della pena e della tutela della salute dell'imputato affetto da vizio parziale di mente, le quali si apprezzano non nell'ottica dell'accesso più o meno ampio al rito speciale, ma alla luce delle modalità di esecuzione della pena, posto che la misura di sicurezza deve essere conformata in modo da assicurare adeguati trattamenti e fattivo sostegno al riadattamento sociale del soggetto. ( Precedenti: O. 214/2021 - mass. 44330; S. 260/2020 - mass. 43104 - mass. 43106 - mass. 43107 - mass. 43108 - mass. 43109 - mass. 43110; S. 73/2020 - mass. 43274; S. 168/1994 - mass. 20541 - mass. 20542 ).
Non è manifestamente irragionevole o arbitraria la scelta legislativa di riconnettere il divieto di giudizio abbreviato alla comminatoria astratta della pena dell'ergastolo. Tale pena esprime infatti un giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale, ha ritenuto di formulare. ( Precedenti: S. 260/2020 - mass. 43109; O. 163/1992 - mass. 18330 ). (Nel caso di specie, è dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., come introdotto dall'art. 1, comma 1, lett a, della legge n. 33 del 2019, che prevede l'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo).
Una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, secondo comma, Cost. può essere ravvisata soltanto allorché l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa. ( Precedenti: S. 260/2020 - mass. 43108; S. 12/2016 - mass. 38706; S. 63/2009 - mass. 33224; S. 56/2009 - mass. 33203 ). (Nella specie, è dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal GUP del Tribunale di Rimini in riferimento all'art. 111, secondo comma, Cost. - dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., come introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. a ), della legge n. 33 del 2019, che non prevede che l'imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell'ergastolo. Il perseguimento della finalità che, rispetto ai reati più gravi previsti dall'ordinamento, sia celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali non è consentito alla Corte costituzionale sovrapporre la propria autonoma valutazione).
Nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, cod. proc. pen., il provvedimento con il quale il Presidente della sezione procedente del Tribunale di Lecce ha disposto la prosecuzione del giudizio a quo nonostante la pendenza dell'incidente di costituzionalità non elide la perdurante rilevanza delle questioni prospettate, che deve essere valutata al momento dell'ordinanza di rimessione. Dall'art. 18 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale si desume un principio generale di autonomia del giudizio incidentale di costituzionalità, che come tale non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione; la rilevanza delle questioni deve pertanto essere vagliata ex ante , con riferimento al momento della loro prospettazione, e permane anche nell'ipotesi patologica in cui il giudice procedente - revocando l'ordinanza di sospensione del processo a quo durante lo svolgimento dell'incidente di costituzionalità - abbia successivamente ritenuto di poter decidere a prescindere dalla decisione della Corte costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 84 del 2021 e n. 270 del 2020 ).
Sono dichiarate inammissibili, per erroneità delle premesse interpretative, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. - degli artt. 438, comma 6, e 458, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui il GIP rigetti la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, l'imputato possa tempestivamente, nella fase dedicata alle questioni preliminari, riproporre la richiesta di rito alternativo al giudice del dibattimento, e che questo possa sindacare la decisione del GIP ed ammettere il rito chiesto dall'imputato. Le modifiche apportate alle disposizioni censurate, rispettivamente, dalle leggi n. 33 del 2019 e n. 103 del 2017, hanno lasciato inalterato il loro contenuto precettivo in relazione alle parti non modificate, assicurando così la perdurante efficacia, senza soluzione di continuità, della sentenza n. 169 del 2003. La lacuna denunciata dal rimettente è pertanto insussistente, giacché l'imputato che si sia visto rigettare la richiesta di giudizio abbreviato condizionato - in sede di udienza preliminare, ovvero dopo la notifica del decreto di giudizio immediato - ben può riproporla al giudice del dibattimento prima della dichiarazione di apertura. Una diversa soluzione ermeneutica, del resto, non solo sarebbe incompatibile con gli artt. 3 e 24 Cost., ma si scontrerebbe con l'art. 136 Cost., violando il giudicato costituzionale. ( Precedenti citati: sentenze n. 169 del 2003 e n. 922 del 1988; ordinanze n. 125 del 2020 e n. 105 del 2020 ).
Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale della Spezia in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. Il rimettente interpreta erroneamente l'art. 5 della legge n. 33 del 2019, secondo cui la novella - introdotta dal precedente art. 1, comma 1, lett. a ) -, applicandosi ai procedimenti concernenti i «fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore» della medesima va riferita ai reati consumatisi dopo tale data, anche allorché la condotta costitutiva del reato sia stata posta in essere prima, ma l'evento si sia verificato successivamente. È infatti evidente che la legge n. 33 del 2019 ha inteso derogare al principio generale tempus regit actum , dettando una disciplina transitoria speciale che confina espressamente la preclusione censurata ai soli procedimenti concernenti fatti commessi dopo la sua entrata in vigore; deroga che si giustifica in quanto la disciplina censurata, pur incidendo su disposizioni concernenti il rito, ha un'immediata ricaduta sulla tipologia e sulla durata delle pene applicabili in caso di condanna, e non può pertanto che soggiacere ai principi di garanzia che vigono in materia di diritto penale sostanziale, tra cui segnatamente il divieto di applicare una pena più grave di quella prevista al momento del fatto, come affermato anche dalla giurisprudenza EDU. Da ciò consegue che il giudice a quo avrebbe dovuto considerare applicabile all'imputato la disciplina processuale vigente al momento della condotta, e ammetterlo pertanto al giudizio abbreviato da lui richiesto. Se, in materia di successione di leggi processuali, vige, in via generale, il principio tempus regit actum - in forza del quale ciascun "atto" processuale è regolato dalla legge in vigore al momento dell'atto, e non da quella in vigore al momento in cui è stato commesso il fatto di reato per cui si procede - tuttavia una deroga a tale principio è giustificata con riferimento a tutte le norme processuali o penitenziarie che incidano direttamente sulla qualità e quantità della pena in concreto applicabile al condannato. Una delle rationes fondamentali del divieto di applicazione retroattiva di leggi penali che inaspriscano il trattamento sanzionatorio è infatti quella di assicurare che il consociato sia destinatario di un chiaro avvertimento circa le possibili conseguenze penali della propria condotta, sì da preservarlo da un successivo mutamento peggiorativo "a sorpresa" del trattamento penale della fattispecie, funzione che non può che essere riferita al momento del compimento della condotta, nel quale la norma esplica la sua capacità deterrente. ( Precedenti citati: sentenze n. 32 del 2020, n. 230 del 2012 e n. 394 del 2006 ).
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., non è accolta l'eccezione d'inammissibilità in ragione, essenzialmente, della discrezionalità del legislatore nella configurazione delle preclusioni all'accesso ai riti abbreviati. L'eccezione attiene al merito delle questioni sollevate.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate Corte di assise di Napoli in riferimento agli artt. 24 «anche in relazione agli artt. 2, 3 e 27», e 111, primo comma, Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. L'accesso ai riti alternativi costituisce parte integrante del diritto di difesa - che nel caso di specie si assume violato - soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni; di talché, seppure esso deve essere garantito - quanto meno nel recupero dei vantaggi sul piano sanzionatorio che l'accesso tempestivo al rito avrebbe consentito - ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato - per effetto di un errore del PM nella formulazione dell'imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza, ovvero di una modifica dell'imputazione nel corso del processo -, tuttavia, dall'art. 24 Cost. non può dedursi un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall'ordinamento processuale penale. Neppure sussiste la lamentata violazione del diritto alla dignità e alla riservatezza dell'imputato, sebbene la pubblicità delle udienze sia concepita, anche in via convenzionale (artt. 6, comma 1, CEDU, 47, comma 2, CDFUE e art. 14, comma 1, Patto internazionale dei diritti civili e politici), come una sua garanzia soggettiva. Nei processi relativi ai reati più gravi, che maggiormente colpiscono l'ordinata convivenza civile e addirittura ledono il nucleo dei diritti fondamentali delle vittime, il mero consenso dell'imputato non basta infatti a fondare un suo diritto costituzionale - opposto, e anzi speculare, al suo diritto alla pubblicità delle udienze - alla celebrazione di un processo "a porte chiuse", al riparo del controllo dell'opinione pubblica. ( Precedenti citati: sentenze n. 14 del 2020 e n. 373 del 1992 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, se è ben vero che la facoltà di chiedere i riti alternativi - quando è riconosciuta - costituisce una modalità, tra le più qualificanti ed incisive, di esercizio del diritto di difesa, è altrettanto vero che la negazione legislativa di tale facoltà in rapporto ad una determinata categoria di reati non ne vulnera il nucleo incomprimibile. ( Precedenti citati: sentenze n. 95 del 2015, n. 273 del 2014, 237 del 2012, n. 333 del 2009, n. 219 del 2004 e n. 148 del 2004 ). La dimensione di diritto fondamentale - quale garanzia soggettiva dell'imputato e del suo diritto di difesa - riconosciuta alla pubblicità dei processi dalle carte internazionali dei diritti alle quali il nostro ordinamento è vincolato non esaurisce la ratio del principio medesimo, che nel suo nucleo essenziale costituisce altresì - sul piano oggettivo-ordinamentale - un connotato identitario dello stato di diritto, in chiave di garanzia di imparzialità ed obiettività di un processo che si svolge sotto il controllo dell'opinione pubblica, quale corollario sia del principio secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo (art. 101, primo comma, Cost.), sia della garanzia di un giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) ( Precedente citato: sentenza n. 373 del 1992 ).
È dichiarata manifestamente infondata, per carente motivazione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di assise di Napoli in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. L'unica decisione citata a supporto del principio del giusto processo è quella della Corte EDU, 8 dicembre 2015, Mihail-Alin Podoleanu contro Italia - per cui gli Stati contraenti non sono costretti dalla Convenzione a prevedere delle procedure semplificate, lasciando intenzionalmente aperta la questione se i principi dell'equo processo impongano di non privare arbitrariamente un imputato della possibilità di chiederne l'adozione -, ma che non viene in considerazione nel caso di specie, in cui si discute piuttosto della legittimità costituzionale della scelta legislativa di precludere in radice l'accesso al giudizio abbreviato agli imputati di reati puniti con l'ergastolo. Scelta legislativa, quest'ultima, che non sembra incontrare alcun ostacolo sul piano convenzionale.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale di Piacenza in riferimento agli artt. 27, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., nonché dell'art. 3 della legge n. 33 del 2019, il primo che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo, e il secondo che - abrogando il secondo e il terzo periodo dell'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. -, ha eliminato le pene eventualmente applicabili in luogo dell'ergastolo (con o senza isolamento diurno) in esito al giudizio abbreviato. La preclusione del giudizio abbreviato è oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito. Né esiste un diritto di rango costituzionale ad accedere a qualsiasi rito alternativo per qualunque imputato, potendo l'ordinamento processuale condizionarne l'accesso alla discrezionalità del legislatore, salvi i limiti della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. Inoltre, l'inflizione della pena presuppone sempre la prova della responsabilità dell'imputato, che dovrà in ogni caso essere oggetto di puntuale dimostrazione da parte del PM, al metro dello standard probatorio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" (art. 533 cod. proc. pen.); infine, va considerato che nemmeno nel giudizio ordinario l'imputato sarà indefettibilmente punito con la pena dell'ergastolo, ove ritenuto colpevole, ben potendo essergli riconosciute anche in quella sede circostanze attenuanti che potrebbero determinare l'applicazione di una pena detentiva temporanea. Quanto, infine, all'ultimo parametro evocato, la nozione di "ragionevole" durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento particolarmente delicato tra i molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati coinvolti, su uno sfondo fattuale caratterizzato da risorse umane e organizzative necessariamente limitate; pertanto, alla luce delle legittime finalità perseguite dal legislatore, per cui è opportuna la celebrazione di processi pubblici innanzi alle corti di assise per i reati puniti con l'ergastolo, non può ritenersi che la dilatazione dei tempi medi di risoluzione dei processi relativi a questi reati, pur certamente prodotta dalla disciplina censurata, determini di per sé un risultato di "irragionevole" durata di tali processi. Occorre una cautela speciale nell'esercizio del controllo, in base all'art. 111, secondo comma, Cost., della legittimità costituzionale delle scelte processuali compiute dal legislatore, al quale compete individuare le soluzioni più idonee a coniugare l'obiettivo di un processo in grado di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicché una violazione del principio della ragionevole durata del processo potrà essere ravvisata soltanto allorché l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa. ( Precedenti citati: sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 del 2009 e n. 56 del 2009 ).