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Pronuncia 260/2020

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come inserito dall'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo), nonché degli artt. 3 e 5 della medesima legge n. 33 del 2019, promossi complessivamente dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario della Spezia con ordinanza del 6 novembre 2019, dalla Corte di assise di Napoli con ordinanza del 5 febbraio 2020 e dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Piacenza con ordinanza del 16 luglio 2020, iscritte, rispettivamente, ai numeri 1, 77 e 127 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 4, 27 e 38, prima serie speciale, dell'anno 2020. Visti gli atti di costituzione di F. F., di A. C. e di A. F., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 18 novembre 2020 il Giudice relatore Francesco Viganò; uditi gli avvocati Fabio Sommovigo per F. F., Alfonso Liccardo per A. C., Andrea Perini per A. F. e l'avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 18 novembre 2020.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevate - in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione - dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario della Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., sollevate - in riferimento agli artt. 3, 24 «anche in relazione agli artt. 2, 3 e 27», e 111, primo comma, Cost. - dalla Corte di assise di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. nonché dell'art. 3 della legge n. 33 del 2019, sollevate - in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. - dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Piacenza con l'ordinanza indicata in epigrafe; 4) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., sollevata - in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) - dalla Corte di assise di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe; 5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo), sollevata - in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 CEDU - dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale della Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2020. F.to: Giancarlo CORAGGIO, Presidente Francesco VIGANÒ, Redattore Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2020. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Francesco Viganò

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: CORAGGIO

Massime

Processo penale - Giudizio abbreviato - Casi di accesso - Imputati per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Esclusione, a seguito di novella legislativa - Asserita applicazione ai fatti consumati successivamente alla vigenza della novella - Denunciata irragionevolezza e violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevole durata del processo - Difetto di rilevanza - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale della Spezia in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. Il rimettente interpreta erroneamente l'art. 5 della legge n. 33 del 2019, secondo cui la novella - introdotta dal precedente art. 1, comma 1, lett. a ) -, applicandosi ai procedimenti concernenti i «fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore» della medesima va riferita ai reati consumatisi dopo tale data, anche allorché la condotta costitutiva del reato sia stata posta in essere prima, ma l'evento si sia verificato successivamente. È infatti evidente che la legge n. 33 del 2019 ha inteso derogare al principio generale tempus regit actum , dettando una disciplina transitoria speciale che confina espressamente la preclusione censurata ai soli procedimenti concernenti fatti commessi dopo la sua entrata in vigore; deroga che si giustifica in quanto la disciplina censurata, pur incidendo su disposizioni concernenti il rito, ha un'immediata ricaduta sulla tipologia e sulla durata delle pene applicabili in caso di condanna, e non può pertanto che soggiacere ai principi di garanzia che vigono in materia di diritto penale sostanziale, tra cui segnatamente il divieto di applicare una pena più grave di quella prevista al momento del fatto, come affermato anche dalla giurisprudenza EDU. Da ciò consegue che il giudice a quo avrebbe dovuto considerare applicabile all'imputato la disciplina processuale vigente al momento della condotta, e ammetterlo pertanto al giudizio abbreviato da lui richiesto. Se, in materia di successione di leggi processuali, vige, in via generale, il principio tempus regit actum - in forza del quale ciascun "atto" processuale è regolato dalla legge in vigore al momento dell'atto, e non da quella in vigore al momento in cui è stato commesso il fatto di reato per cui si procede - tuttavia una deroga a tale principio è giustificata con riferimento a tutte le norme processuali o penitenziarie che incidano direttamente sulla qualità e quantità della pena in concreto applicabile al condannato. Una delle rationes fondamentali del divieto di applicazione retroattiva di leggi penali che inaspriscano il trattamento sanzionatorio è infatti quella di assicurare che il consociato sia destinatario di un chiaro avvertimento circa le possibili conseguenze penali della propria condotta, sì da preservarlo da un successivo mutamento peggiorativo "a sorpresa" del trattamento penale della fattispecie, funzione che non può che essere riferita al momento del compimento della condotta, nel quale la norma esplica la sua capacità deterrente. ( Precedenti citati: sentenze n. 32 del 2020, n. 230 del 2012 e n. 394 del 2006 ).

Prospettazione della questione incidentale - Asserita discrezionalità del legislatore nella configurazione degli istituti processuali - Attinenza al merito - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., non è accolta l'eccezione d'inammissibilità in ragione, essenzialmente, della discrezionalità del legislatore nella configurazione delle preclusioni all'accesso ai riti abbreviati. L'eccezione attiene al merito delle questioni sollevate.

Processo penale - Giudizio abbreviato - Casi di accesso - Imputati per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Esclusione, a seguito di novella legislativa - Denunciata violazione del diritto alla dignità e alla riservatezza, di difesa e del principio del giusto processo - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate Corte di assise di Napoli in riferimento agli artt. 24 «anche in relazione agli artt. 2, 3 e 27», e 111, primo comma, Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. L'accesso ai riti alternativi costituisce parte integrante del diritto di difesa - che nel caso di specie si assume violato - soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni; di talché, seppure esso deve essere garantito - quanto meno nel recupero dei vantaggi sul piano sanzionatorio che l'accesso tempestivo al rito avrebbe consentito - ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato - per effetto di un errore del PM nella formulazione dell'imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza, ovvero di una modifica dell'imputazione nel corso del processo -, tuttavia, dall'art. 24 Cost. non può dedursi un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall'ordinamento processuale penale. Neppure sussiste la lamentata violazione del diritto alla dignità e alla riservatezza dell'imputato, sebbene la pubblicità delle udienze sia concepita, anche in via convenzionale (artt. 6, comma 1, CEDU, 47, comma 2, CDFUE e art. 14, comma 1, Patto internazionale dei diritti civili e politici), come una sua garanzia soggettiva. Nei processi relativi ai reati più gravi, che maggiormente colpiscono l'ordinata convivenza civile e addirittura ledono il nucleo dei diritti fondamentali delle vittime, il mero consenso dell'imputato non basta infatti a fondare un suo diritto costituzionale - opposto, e anzi speculare, al suo diritto alla pubblicità delle udienze - alla celebrazione di un processo "a porte chiuse", al riparo del controllo dell'opinione pubblica. ( Precedenti citati: sentenze n. 14 del 2020 e n. 373 del 1992 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, se è ben vero che la facoltà di chiedere i riti alternativi - quando è riconosciuta - costituisce una modalità, tra le più qualificanti ed incisive, di esercizio del diritto di difesa, è altrettanto vero che la negazione legislativa di tale facoltà in rapporto ad una determinata categoria di reati non ne vulnera il nucleo incomprimibile. ( Precedenti citati: sentenze n. 95 del 2015, n. 273 del 2014, 237 del 2012, n. 333 del 2009, n. 219 del 2004 e n. 148 del 2004 ). La dimensione di diritto fondamentale - quale garanzia soggettiva dell'imputato e del suo diritto di difesa - riconosciuta alla pubblicità dei processi dalle carte internazionali dei diritti alle quali il nostro ordinamento è vincolato non esaurisce la ratio del principio medesimo, che nel suo nucleo essenziale costituisce altresì - sul piano oggettivo-ordinamentale - un connotato identitario dello stato di diritto, in chiave di garanzia di imparzialità ed obiettività di un processo che si svolge sotto il controllo dell'opinione pubblica, quale corollario sia del principio secondo cui la giustizia è amministrata in nome del popolo (art. 101, primo comma, Cost.), sia della garanzia di un giusto processo (art. 111, primo comma, Cost.) ( Precedente citato: sentenza n. 373 del 1992 ).

Processo penale - Giudizio abbreviato - Casi di accesso - Imputati per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Esclusione - Denunciata violazione dei principi convenzionali dell'equo processo e della prevedibilità della legge - Carente motivazione - Manifesta infondatezza della questione.

È dichiarata manifestamente infondata, per carente motivazione, la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di assise di Napoli in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo. L'unica decisione citata a supporto del principio del giusto processo è quella della Corte EDU, 8 dicembre 2015, Mihail-Alin Podoleanu contro Italia - per cui gli Stati contraenti non sono costretti dalla Convenzione a prevedere delle procedure semplificate, lasciando intenzionalmente aperta la questione se i principi dell'equo processo impongano di non privare arbitrariamente un imputato della possibilità di chiederne l'adozione -, ma che non viene in considerazione nel caso di specie, in cui si discute piuttosto della legittimità costituzionale della scelta legislativa di precludere in radice l'accesso al giudizio abbreviato agli imputati di reati puniti con l'ergastolo. Scelta legislativa, quest'ultima, che non sembra incontrare alcun ostacolo sul piano convenzionale.

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 117
  • Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali-Art. 6
  • Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali-Art. 7

Processo penale - Giudizio abbreviato - Casi di accesso - Imputati per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Esclusione, a seguito di novella legislativa - Denunciata violazione dei principi di presunzione di non colpevolezza e della ragionevole durata del processo - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale di Piacenza in riferimento agli artt. 27, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., nonché dell'art. 3 della legge n. 33 del 2019, il primo che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo, e il secondo che - abrogando il secondo e il terzo periodo dell'art. 442, comma 2, cod. proc. pen. -, ha eliminato le pene eventualmente applicabili in luogo dell'ergastolo (con o senza isolamento diurno) in esito al giudizio abbreviato. La preclusione del giudizio abbreviato è oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito. Né esiste un diritto di rango costituzionale ad accedere a qualsiasi rito alternativo per qualunque imputato, potendo l'ordinamento processuale condizionarne l'accesso alla discrezionalità del legislatore, salvi i limiti della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. Inoltre, l'inflizione della pena presuppone sempre la prova della responsabilità dell'imputato, che dovrà in ogni caso essere oggetto di puntuale dimostrazione da parte del PM, al metro dello standard probatorio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" (art. 533 cod. proc. pen.); infine, va considerato che nemmeno nel giudizio ordinario l'imputato sarà indefettibilmente punito con la pena dell'ergastolo, ove ritenuto colpevole, ben potendo essergli riconosciute anche in quella sede circostanze attenuanti che potrebbero determinare l'applicazione di una pena detentiva temporanea. Quanto, infine, all'ultimo parametro evocato, la nozione di "ragionevole" durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento particolarmente delicato tra i molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici e privati coinvolti, su uno sfondo fattuale caratterizzato da risorse umane e organizzative necessariamente limitate; pertanto, alla luce delle legittime finalità perseguite dal legislatore, per cui è opportuna la celebrazione di processi pubblici innanzi alle corti di assise per i reati puniti con l'ergastolo, non può ritenersi che la dilatazione dei tempi medi di risoluzione dei processi relativi a questi reati, pur certamente prodotta dalla disciplina censurata, determini di per sé un risultato di "irragionevole" durata di tali processi. Occorre una cautela speciale nell'esercizio del controllo, in base all'art. 111, secondo comma, Cost., della legittimità costituzionale delle scelte processuali compiute dal legislatore, al quale compete individuare le soluzioni più idonee a coniugare l'obiettivo di un processo in grado di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Sicché una violazione del principio della ragionevole durata del processo potrà essere ravvisata soltanto allorché l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa. ( Precedenti citati: sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 del 2009 e n. 56 del 2009 ).

Processo penale - Giudizio abbreviato - Casi di accesso - Imputati per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Esclusione, a seguito di novella legislativa - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale di Piacenza e dalla Corte d'Assise di Napoli in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., nonché, quanto al primo rimettente, dell'art. 3 della legge n. 33 del 2019, che, rispettivamente, preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo, e abroga il secondo e il terzo periodo dell'art. 442, comma 2, cod. proc. pen., eliminando le pene eventualmente applicabili in luogo dell'ergastolo (con o senza isolamento diurno) in esito al giudizio abbreviato. Non è irragionevole nel trattamento una disciplina processuale che precluda, in via generale, l'accesso al giudizio abbreviato a tutti indistintamente gli imputati dei reati puniti con l'ergastolo, poiché tale pena segnala un giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale non oggetto di censure ha formulato. Quanto poi all'allegata disparità di trattamento che si creerebbe tra l'ipotesi in cui, in esito al dibattimento, dovesse essere riconosciuta l'insussistenza dell'aggravante dalla quale dipende la preclusione al giudizio abbreviato, e l'ipotesi in cui tale aggravante fosse bensì ritenuta sussistente ma "elisa", in forza dell'art. 69 cod. pen., da una o più circostanze attenuanti equivalenti o prevalenti, tale situazione è comune alla generalità delle ipotesi in cui la legge penale, sostanziale o processuale, subordina l'applicazione di un dato istituto alla condizione che sia prevista una determinata pena massima per il reato per cui si procede. La regola generale di cui all'art. 4 cod. proc. pen. - per cui, ai fini della determinazione di tale pena massima si tiene conto delle sole circostanze aggravanti a effetto speciale, ma non di quelle attenuanti che possano egualmente concorrere nel caso concreto -, seguita anche dalla norma censurata, ha una solida ragionevolezza, esprimendo un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata. Né appaiono manifestamente irragionevoli o arbitrarie la finalità perseguita - cioè conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l'ergastolo, precludendo la possibilità per i relativi imputati di accedere al giudizio abbreviato e al conseguente sconto di pena -, né i mezzi individuati per raggiungerle, ciò anche con riferimento alle ipotesi in cui l'imputato abbia reso piena confessione durante le indagini, e i fatti risultino già compiutamente accertati. ( Precedenti citati: sentenze n. 95 del 2015 e n. 176 del 1991; ordinanze n. 455 del 2006 e n. 163 del 1992 ).

Parametri costituzionali

Processo penale - Giudizio abbreviato - Casi di accesso - Imputati per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo - Esclusione, a seguito di novella legislativa - Ritenuta applicazione anche ai fatti commessi antecedentemente alla vigenza della novella - Denunciata violazione del principio convenzionale dell'equo processo - Erroneo presupposto interpretativo - Manifesta infondatezza della questione.

È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal GUP del Tribunale della Spezia in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 7 CEDU, dell'art. 5 della legge n. 33 del 2019, per cui il nuovo art. 438, comma 1- bis , cod. proc. pen., che preclude l'applicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con l'ergastolo, si applica soltanto ai «fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge». Al contrario di quanto presupposto, la ratio della disposizione censurata depone inequivocabilmente a favore dell'interpretazione secondo cui essa identifica il tempus commissi delicti nel momento di commissione della condotta criminosa, nel quale la norma svolge la propria funzione di orientamento della condotta dei consociati. Così interpretata, la disposizione si pone in conformità, anziché in contrasto, con il divieto di applicazione retroattiva della legge penale, sancito - oltre che dallo stesso art. 25, secondo comma, Cost. - dall'art. 7 CEDU, escludendo che una disciplina di natura processuale ma avente effetti peggiorativi sulla pena applicabile in caso di condanna, come quella stabilita nel suo complesso dalla legge n. 33 del 2019, possa applicarsi a condotte commesse prima della sua entrata in vigore, ancorché l'evento costitutivo del reato si sia verificato successivamente.

Norme citate

  • legge-Art. 5

Parametri costituzionali

  • Costituzione-Art. 117
  • Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali-Art. 7