Articolo 656 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Il tendenziale collegamento della sospensione dell'ordine di esecuzione con i casi di accesso alle misure alternative costituisce un punto di equilibrio ottimale dal punto di vista del principio di eguaglianza-ragionevolezza. L'ingresso in carcere per condannati che si trovano nelle condizioni di poter chiedere una misura alternativa è problematico tanto dal punto di vista del principio di eguaglianza-ragionevolezza, quanto dal punto di vista della necessaria finalità rieducativa della pena. Infatti: a) l'ingresso in carcere determina sempre una brusca frattura dei legami del condannato con il proprio contesto familiare, sociale e - soprattutto - lavorativo, ostacolandone un percorso di risocializzazione che potrebbe essere già iniziato durante il processo, quando il condannato stesso si trovava in stato di libertà o era comunque sottoposto a misura cautelare non carceraria; b) quando la pena da scontare sia breve, è assai probabile che la decisione del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai interamente o quasi scontato la propria pena; c) ogni disallineamento tra i limiti temporali della pena ai fini della sospensione dell'ordine di esecuzione e quelli per l'accesso alle misure alternative concedibili sin dall'inizio dell'esecuzione della pena rende di fatto impossibile la concessione di misure alternative prima dell'ingresso in carcere, ogniqualvolta la condanna sia ancora contenuta nel limite che consentirebbe l'accesso alla misura ma sia superiore a quello fissato per la sospensione dell'ordine di esecuzione. Il che finisce per frustrare lo stesso intento perseguito dal legislatore nel dettare la disciplina della misura alternativa. ( Precedenti: S. 28/2022 - mass. 44619; S. 41/2018 - mass. 40066 ). (Nel caso di specie, è dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l'art. 656, comma 9, lett. a , cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo colposo di cui all'art. 423- bis , secondo comma, cod. pen. Non sussistono sufficienti ragioni per non applicare anche nel caso in esame la regola generale della sospensione dell'ordine di esecuzione, che vige per tutti i condannati a una pena contenuta in limiti che consentano l'accesso immediato a misure alternative alla detenzione, i quali non si trovino in stato di custodia cautelare in carcere al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Particolarmente illogica appare, in questo contesto, la disparità di trattamento tra i condannati per il delitto in esame e i condannati per quello, strutturalmente affine, di incendio colposo, posto a tutela dell'incolumità pubblica - e cioè della vita e dell'incolumità di una pluralità indeterminata di persone, dunque di un bene ancor più importante rispetto al patrimonio boschivo -, comunque punito con il medesimo quadro edittale previsto per l'incendio boschivo colposo. L'impossibilità di presentare domanda di ammissione ai benefici penitenziari in stato di libertà determinata dalla disposizione censurata dal GIP del Tribunale di Savona comporta, infine, un ostacolo alla funzione rieducativa della pena, che ridonda in questo caso in una violazione anche dell'art. 27, terzo comma, Cost.). ( Precedenti: S. 238/2021 - mass. 44303; S. 216/2019 - mass. 41621; S. 125/2016 - mass. 38890 ).
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Napoli in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. - dell'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della medesima norma non può essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri aggravato dall'uso di mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato. Tale divieto trova la propria ratio nella presunzione legislativa di particolare gravità del fatto e speciale pericolosità soggettiva manifestata dall'autore - presunzione che è comune a tutte le ipotesi aggravate previste dall'art. 291- ter del d.P.R. n. 43 del 1973 e che è a fondamento del loro inserimento unitario fra i reati di "seconda fascia" dell'art. 4- bis ordin. penit. -, tenuto conto della possibilità per il terzo di sottrarre il veicolo alla confisca ove dimostri di non averne potuto prevedere l'illecito impiego e di non essere incorso in un difetto di vigilanza. Non è preclusa inoltre la valutazione individualizzata del condannato, in relazione alla possibilità di accedere ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, la quale resta demandata al tribunale di sorveglianza in sede di esame dell'apposita istanza. ( Precedenti: S. 216/2019 - mass. 41621; S. 41/2018 - mass. 40066; S. 125/2016 - mass. 38890; O. 67/2020 - mass. 42632; O. 166/2010 ) .
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen., non sono accolte le eccezioni di inammissibilità formulate sul rilievo che la mancata sospensione dell'ordine di carcerazione per effetto della disposizione censurata sarebbe il frutto di errori interpretativi e applicativi. Le argomentazioni del rimettente - secondo cui, malgrado il carattere ostativo del titolo di reato dei maltrattamenti familiari in presenza di minori sia sopravvenuto al fatto-reato e persino alla formazione del giudicato, tuttavia l'ordine di esecuzione della condanna non avrebbe potuto essere sospeso in ragione del principio tempus regit actum , la cui operatività in materia esecutiva era imposta dal diritto vivente - sono tutt'altro che incoerenti rispetto al quadro interpretativo effettivamente consolidato al momento dell'ordinanza di rimessione, fermo che l' actus di riferimento temporale avrebbe dovuto individuarsi proprio nell'ordine di carcerazione. Il sindacato della Corte costituzionale sul giudizio di rilevanza della questione incidentale ha carattere "esterno", si arresta cioè alla soglia della "non implausibilità" della motivazione dell'ordinanza di rimessione. ( Precedenti citati: sentenze n. 59 del 2021, n. 32 del 2021, n. 22 del 2021, n. 15 del 2021, n. 267 del 2020 e n. 32 del 2020; ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47 del 2016 ).
Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte d'appello di Bologna in riferimento agli artt. 3, 13, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU - dell'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen., nella parte in cui, richiamando il secondo comma dell'art. 572 cod. pen, inserito dall'art. 9, comma 2, lett. b ), della legge n. 69 del 2019, prevede che il reato di maltrattamenti in famiglia commesso in presenza di minori è ostativo alla sospensione dell'ordine di esecuzione, senza prevedere un regime transitorio che dichiari applicabile tale norma solo ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge medesima. La disposizione censurata può e deve essere interpretata - in linea con la sopravvenuta sentenza costituzionale n. 32 del 2020 - nel senso che il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva nei confronti del condannato per il delitto di maltrattamenti aggravato dalla presenza di minori non si applica alla condanna per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge n. 69 del 2019. Modificando il quadro interpretativo del regime intertemporale delle novelle incidenti sulla esecuzione della pena a seguito di una complessiva rimeditazione della portata del divieto di retroattività di cui all'art. 25, secondo comma, Cost., la sentenza citata ha infatti affermato che la regola di diritto vivente secondo cui le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento dell'esecuzione, e non a quella in vigore al tempo della commissione del reato, soffre un'eccezione allorché la normativa sopravvenuta comporti una trasformazione in peius della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato, e che ciò vale anche per il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva, in ogni ipotesi in cui il legislatore, come nel caso di specie, estenda il novero dei reati ostativi senza una disciplina transitoria mirata ad escludere dall'inasprimento normativo i condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente. ( Precedenti citati: sentenze n. 193 del 2020 e n. 32 del 2020 ).
È ordinata la restituzione degli atti ai giudici rimettenti per un nuovo esame, alla luce del mutato contesto normativo, della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte d'appello di Roma, sez. terza penale, e dal GUP presso il Tribunale di Tivoli in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU - dell'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen., come integrato dall'art. 4- bis della legge n. 354 del 1975, a sua volta modificato dall'art. 1, comma 6, lett. b ), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui ha inserito i delitti contro la pubblica amministrazione - e, segnatamente, quelli di cui agli artt. 318 e 319 cod. pen. - nell'elenco di quelli "ostativi" ai sensi dell'art. 4- bis , comma 1, ordin. penit., così determinando il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena ai sensi della norma censurata, senza prevedere l'applicabilità della modifica normativa ai soli fatti di reato commessi successivamente alla sua entrata in vigore, nonché delle questioni di legittimità costituzionale - sollevate dalla Corte d'appello di Roma, sez. terza penale, dal Tribunale di Lagonegro e dal GUP presso il Tribunale di Belluno in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. - dell'art. 1, comma 6, lett. b ), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce all'art. 4- bis , comma 1, ordin. penit. il riferimento ai delitti di cui agli artt. 314, primo comma, 318 e 319 cod. pen. La sopraggiunta sentenza n. 32 del 2020 ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale del censurato art. 1, comma 6, lett. b ), della legge n. 3 del 2019, in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all'art. 4- bis , comma 1, della legge n. 354 del 1975 si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento, tra l'altro, alla disciplina del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione previsto dall'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen. Poiché le ordinanze di rimessione sono state pronunciate nell'ambito di incidenti di esecuzione promossi da condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, commessi anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, spetta ai rimettenti valutare in concreto l'incidenza delle sopravvenute modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate. ( Precedente citato: ordinanza n. 49 del 2020 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, a fronte del sopraggiungere di pronunce di illegittimità costituzionale spetta al rimettente valutare in concreto l'incidenza delle sopravvenute modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate. ( Precedenti citati: ordinanze n. 49 del 2020, n. 182 del 2019, n. 154 del 2018 e n. 26 del 2009 ).
Sono dichiarate manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal GIP del Tribunale di Salerno in funzione di giudice dell'esecuzione in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - dell'art. 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione della pena non può essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di cui all'art. 624- bis cod. pen. Questioni identiche sono già state dichiarate non fondate con la sentenza n. 216 del 2019, la quale ha affermato che il divieto censurato trova la propria ratio nella discrezionale, e non irragionevole, presunzione del legislatore circa la particolare gravità del fatto e la speciale pericolosità soggettiva del suo autore, e non esclude affatto la valutazione individualizzata del condannato rispetto alla possibile concessione di benefici penitenziari, che è comunque demandata al tribunale di sorveglianza in sede di esame della relativa istanza. Resta, peraltro, ferma la già segnalata opportunità di un intervento del legislatore per rimediare al difetto di coordinamento tra la disciplina processuale e quella sostanziale sui presupposti per accedere alle misure alternative alla detenzione con riferimento, in particolare, al rischio che la decisione del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai interamente o quasi scontato la propria pena. ( Precedente specifico citato: sentenza n. 216 del 2019 ).
È ordinata la restituzione degli atti alla Corte di cassazione e alle Corti d'appello di Palermo e di Caltanissetta per un nuovo esame, alla luce dello ius superveniens , della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma Cost., dell'art. 1, comma 6, lett. b ), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui inserisce all'art. 4- bis , comma l, della legge n. 354 del 1975 il riferimento ai delitti di peculato di cui all'art. 314, primo comma, cod. pen. e di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319- quater , primo comma, cod. pen., da cui deriva il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena successivo al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 656, comma 9, cod. proc. pen.; nonché, in via subordinata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU, del combinato disposto dell'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen., come integrato dall'art. 4- bis ordin. penit., a sua volta modificato dall'art. l, comma 6, lett. b ), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui non prevede un regime transitorio che dichiari applicabile la modifica normativa ai soli fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore. La sopraggiunta sentenza n. 32 del 2020 ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale del censurato art. 1, comma 6, lett. b ), della legge n. 3 del 2019, in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all'art. 4- bis , comma 1, della legge n. 354 del 1975 si applichino anche ai condannati che, come nei giudizi a quibus , abbiano commesso il fatto anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in riferimento, tra l'altro, alla disciplina dell'ordine di esecuzione previsto dall'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen. ( Precedente citato: sentenza n. 32 del 2020 ). Secondo costante giurisprudenza costituzionale, a fronte del sopraggiungere di pronunce di illegittimità costituzionale spetta al giudice rimettente valutare in concreto l'incidenza delle sopravvenute modifiche sia in ordine alla rilevanza, sia in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate. ( Precedenti citati: ordinanze n. 182 del 2019, n. 154 del 2018 e n. 26 del 2009 ).
Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per mancata irragionevolezza della scelta legislativa, delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. L'eccezione è attinente al merito delle questioni medesime, e non alla loro ammissibilità.
Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Agrigento in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. - dell'art. 656, comma 9, lett. a ), cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non può essere disposta nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione, di cui all'art. 624- bis , comma primo, cod. pen. Il differente trattamento previsto per i condannati per furto in abitazione non è irragionevole rispetto a chi sia stato condannato per rapina semplice, in quanto il primo delitto è destinato a trasmodare, in relazione alla possibile, e statisticamente frequente, reazione della vittima, non già nel delitto di rapina semplice, bensì in quello di rapina aggravata, ai sensi dell'art. 628, terzo comma, n. 3- bis , cod. pen., per essere il fatto commesso nei medesimi luoghi del furto in abitazione, fattispecie compresa nell'elenco dei delitti di cui all'art. 4- bis , comma 1- ter , ordin. penit., per i quali pure opera il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione. Né può essere tacciato in termini di manifesta irragionevolezza il differente trattamento rispetto a chi sia stato condannato per furto con strappo (per il quale, dopo la sentenza n. 125 del 2016, non opera il divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione), ovvero per altre ipotesi di furto aggravato o pluriaggravato, in quanto il divieto censurato - lungi dal costituire un «aprioristico» automatismo legislativo - trova la propria ratio nella discrezionale, e non irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla particolare gravità del fatto e alla speciale pericolosità soggettiva evidenziata in tale delitto dalla violazione dell'altrui domicilio. Infine, la disciplina censurata non esclude affatto una valutazione individualizzata del condannato in relazione alla possibilità di concessione dei benefici penitenziari, restando detta valutazione demandata al tribunale di sorveglianza, cui il condannato, dopo l'inizio dell'esecuzione della pena, può rivolgere la sua istanza. Si segnala comunque al legislatore l'incongruenza cui può dar luogo il difetto di coordinamento attualmente esistente tra la disciplina processuale e quella sostanziale relativa ai presupposti per accedere alle misure alternative alla detenzione, in relazione alla situazione dei condannati nei cui confronti non è prevista la sospensione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ai quali - tuttavia - la vigente disciplina sostanziale riconosce la possibilità di accedere a talune misure alternative sin dall'inizio dell'esecuzione della pena. Ciò, in particolare, in relazione al rischio che la decisione del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai interamente o quasi scontato la propria pena.
Sono ammissibili le questioni incidentali di legittimità costituzionale quando il rimettente assolve con motivazione adeguata e convincente l'obbligo di verificare la praticabilità dell'interpretazione adeguatrice, argomentando che la lettera della disposizione cesurata - nella specie l'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. - non permette alcuna interpretazione costituzionalmente orientata. ( Precedenti citati: sentenze n. 253 del 2017, n. 36 del 2016 e n. 221 del 2015 ).