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Pronuncia 269/2017

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con le ordinanze del 2 maggio e del 25 ottobre 2016, rispettivamente iscritte al n. 208 del registro ordinanze 2016 e al n. 51 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2016 e n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2017. Visti gli atti di costituzione di Ceramica Sant'Agostino spa e di Bertazzoni spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella udienza pubblica del 7 novembre 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia; uditi gli avvocati Massimo Luciani e Massimo Coccia per la Ceramica Sant'Agostino spa e la Bertazzoni spa e gli avvocati dello Stato Agnese Soldani e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riuniti i giudizi, 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con l'ordinanza del 2 maggio 2016 (r.o. n. 208 del 2016); 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990, aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53, primo e secondo comma, Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con l'ordinanza del 25 ottobre 2016 (r.o. n. 51 del 2017). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2017. F.to: Paolo GROSSI, Presidente Marta CARTABIA, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2017. Il Direttore della Cancelleria F.to: Roberto MILANA

Relatore: Marta Cartabia

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: GROSSI

Massime

Giudizio a quo - Giurisdizione del rimettente - Eventuale difetto - Rilevabilità da parte della Corte costituzionale solo se macroscopico o manifesto - Esclusione in presenza di motivazione non implausibile a sostegno dell'esistenza della potestas iudicandi - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990, aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, come convertito, non è accolta l'eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice tributario in ordine ai contributi previsti dalla norma censurata a favore dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il difetto di giurisdizione non può ritenersi macroscopico né manifesto, dal momento che la CTP rimettente ha assolto adeguatamente all'onere di motivare la propria giurisdizione, riconoscendo al predetto contributo natura tributaria (anche con richiamo alla giurisprudenza costituzionale su analoghe contribuzioni ad altra autorità indipendente) e facendo leva sul principio della generalità della giurisdizione tributaria (secondo cui quest'ultima si estende a tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi e ha carattere pieno ed esclusivo) e sulla sua riconducibilità alle garanzie del "giudice naturale" per interpretare l'art. 133 cod. proc. amm. nel senso che la giurisdizione amministrativa sugli atti espressivi della funzione istituzionale dell'autorità indipendente non include quelli che attengono ai contributi dovuti per il finanziamento dell'autorità stessa. Né è sufficiente a far emergere un macroscopico difetto di giurisdizione o a far dubitare della plausibilità di tali argomentazioni l'isolata pronuncia delle sezioni unite della Cassazione che nega la natura tributaria del contributo dovuto ad altra autorità indipendente, senza pronunciarsi in alcun modo su quello spettante all'AGCM. ( Precedenti citati: sentenze n. 64 del 2008 e n. 256 del 2007 ). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la sussistenza della giurisdizione è un presupposto che concerne la legittima instaurazione del giudizio a quo, la cui valutazione è riservata al giudice rimettente, in forza del principio di autonomia del giudizio costituzionale rispetto ai vizi del giudizio a quo. Per questa ragione, il difetto di giurisdizione può essere rilevato dalla Corte costituzionale solo nei casi in cui appaia manifesto, così che nessun dubbio possa nutrirsi sul punto, dovendo invece la relativa indagine arrestarsi qualora il rimettente abbia espressamente motivato in modo non implausibile sulla esistenza della propria potestas iudicandi. ( Precedenti citati: sentenze n. 269 del 2016, n. 154 del 2015, n. 116 del 2013, n. 279 del 2012, n. 41 del 2011, n. 81 del 2010, n. 94 del 2009 e n. 241 del 2008 ). In linea generale, non è sufficiente a mettere in dubbio la plausibilità delle motivazioni addotte dal rimettente in tema di giurisdizione una contraria pronuncia delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, resa in un giudizio analogo a quello in cui la questione è stata sollevata (o addirittura nello stesso giudizio). ( Precedenti citati: sentenze n. 236 del 2015 e n. 119 del 2015 ).

Norme citate

  • legge-Art. 10, comma 7
  • legge-Art. 10, comma 7
  • decreto-legge-Art. 5 BIS, comma 1
  • legge-Art.

Unione Europea - Contrasto delle norme nazionali con le norme europee - Obblighi del giudice italiano a seconda che queste ultime siano dotate o prive di efficacia diretta - Applicazione, nel primo caso, della norma europea in luogo di quella interna e conseguente irrilevanza di questioni di legittimità costituzionale - Rimessione, nel secondo caso, di questione incidentale di legittimità costituzionale per incompatibilità comunitaria, salvo il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per le questioni di interpretazione o invalidità del diritto dell'Unione.

Il contrasto con il diritto dell'Unione europea condiziona l'applicabilità della norma interna - e di conseguenza [esclude] la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale che si intendano sollevare sulla medesima - soltanto quando la norma europea è dotata di efficacia diretta, giacché in tal caso spetta al giudice nazionale comune valutare la compatibilità comunitaria della normativa interna, utilizzando, se del caso, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e nell'ipotesi di contrasto non ricomponibile in via interpretativa, applicare egli stesso la disposizione dell'UE in luogo della norma nazionale, così da soddisfare, ad un tempo, il primato del diritto dell'Unione e lo stesso principio di soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.), dovendosi per tale intendere la disciplina del diritto che lo stesso sistema costituzionale gli impone di osservare e applicare. Viceversa, quando una disposizione di diritto interno diverge da norme dell'Unione europea prive di effetti diretti, il giudice comune, senza delibare preventivamente i profili compatibili con il diritto europeo, deve sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale, spettando poi alla Corte costituzionale giudicare ed eventualmente caducare la legge, sia in riferimento ai parametri europei (come veicolati dagli artt. 11 e 117 Cost.), sia in relazione agli altri parametri costituzionali interni. ( Precedenti citati: sentenze n. 227 del 2010, n. 28 del 2010, n. 75 del 2012, n. 284 del 2007 e n. 170 del 1984; ordinanze n. 2 del 2017, n. 207 del 2013, n. 249 del 2001, n. 38 del 1995, n. 244 del 1994, n. 269 del 1991, n. 79 del 1991, n. 8 del 1991, n. 450 del 1990, n. 389 del 1990, n. 78 del 1990 e n. 152 del 1987 ).

Thema decidendum - Ordine di esame delle questioni nel giudizio in via principale - Verifica di conformità delle norme impugnate alle regole sul riparto interno delle competenze - Carattere preliminare rispetto alla censura di violazione di norme dell'Unione europea.

Nei giudizi costituzionali in via di azione, la verifica della conformità della norma impugnata alle regole di competenza interna è preliminare al controllo del rispetto dei princìpi comunitari. ( Precedenti citati: sentenze n. 197 del 2014. n. 245 del 2013, n. 127 del 2010 e n. 120 del 2010 ).

Unione europea - Carta dei diritti fondamentali dell'UE - Sovrapponibilità dei principi e i diritti da essa enunciati con quelli garantiti dalla Costituzione italiana - Obblighi del giudice italiano in caso di violazioni di diritti della persona che infrangano le garanzie apprestate da entrambe - Rimessione della questione incidentale di legittimità costituzionale, salvo il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per le questioni di interpretazione o invalidità del diritto dell'Unione.

Fermi restando i principi del primato e dell'effetto diretto del diritto dell'Unione europea come consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - cui il Trattato di Lisbona ha attribuito effetti giuridici vincolanti, equiparandola ai Trattati (art. 6, par. 1, TUE) - costituisce parte del diritto dell'Unione dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale, giacché i principi e i diritti in essa enunciati intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana (e dalle Costituzioni nazionali degli altri Stati membri), sicché può darsi il caso che la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione, sia quelle codificate dalla CDFUE. In tali casi, essendo una legge oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla CDFUE in un ambito di rilevanza comunitaria, deve essere sollevata la questione di legittimità costituzionale - salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell'Unione ai sensi dell'art. 267 TFUE - poiché le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento con effetti erga omnes della Corte costituzionale, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di legittimità costituzionale a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134 Cost.). La Corte costituzionale giudicherà alla luce dei parametri costituzionali interni, ed eventualmente anche di quelli europei (ex artt. 11 e 117, primo comma, Cost.), comunque secondo l'ordine che di volta in volta risulti maggiormente appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla CDFUE siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali (art. 6 TUE e art. 52, comma 4, della CDFUE), in un quadro di leale cooperazione fra i sistemi di garanzia e di valorizzazione del dialogo tra le Corti nazionali e la Corte di giustizia, così garantendo la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). ( Precedente citato: ordinanza n. 24 del 2017, sul dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia ).

Amministrazione pubblica - Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) - Sistema di finanziamento - Imposizione di un contributo obbligatorio a carico delle sole società di capitale con fatturato superiore a 50 milioni di euro e fissazione di un limite massimo di contribuzione (non superiore a cento volte la misura minima) - Denunciata disparità di trattamento e violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione tributaria - Omessa previa valutazione di compatibilità delle norme interne con disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dotate di efficacia diretta - Difetto di motivazione sulla rilevanza - Inammissibilità delle questioni.

Sono dichiarate inammissibili, per difetto di motivazione sulla rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla CTP di Roma in riferimento agli artt. 3 e 53, primo e secondo comma, Cost., dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990, aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, come convertito. Posto che nel giudizio a quo il ricorrente non ha dedotto la violazione di diritti fondamentali codificati nella CDFUE, ma della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi all'interno dell'UE, previste da disposizioni dei Trattati (artt. 49 e 56 TFUE) di cui è invocata la diretta efficacia, non si versa in un caso in cui la non applicazione della legge nazionale trasmoda inevitabilmente in una sorta di inammissibile sindacato diffuso di costituzionalità, con la conseguenza che il rimettente aveva l'onere di delibare se l'applicabilità della legge interna nel giudizio sottoposto al suo esame fosse preclusa dalla normativa comunitaria immediatamente applicabile. L'ordinanza di rimessione non adempie a tale onere, poiché non offre alcuna considerazione in merito alla denunciata violazione del diritto dell'Unione europea ed afferma anzi di doverne posticipare l'esame all'esito della decisione delle questioni di legittimità costituzionale prospettate in riferimento agli evocati parametri interni. ( Precedente citato: sentenza n. 111 del 2017 ).

Norme citate

  • legge-Art. 10, comma 7
  • legge-Art. 10, comma 7
  • decreto-legge-Art. 5 BIS, comma 1
  • legge-Art.

Rilevanza della questione incidentale - Positiva verifica di compatibilità comunitaria delle disposizioni censurate - Motivazione non implausibile del rimettente - Sufficienza - Ammissibilità della questione.

Ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990, non è implausibile la motivazione del giudice a quo, che ha escluso il prospettato contrasto della normativa interna con la libertà di stabilimento (art. 49 TFUE) e con la libertà di prestazione di servizi (art. 56 TFUE), affermando che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la prima non può essere invocata da una società italiana, con sede in Italia, avverso una normativa italiana, mentre la seconda non è ostacolata dall'imposizione di contributi volti al finanziamento di enti controllori, purché tali contributi siano destinati esclusivamente alla copertura dei costi dell'autorità e siano proporzionati, obiettivi e trasparenti.

Norme citate

  • legge-Art. 10, comma 7
  • legge-Art. 10, comma 7
  • decreto-legge-Art. 5 BIS, comma 1
  • legge-Art.

Rilevanza della questione incidentale - Motivazione non implausibile del giudice rimettente - Ammissibilità della questione - Rigetto di eccezione preliminare.

Non è accolta l'eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990, nella parte in cui, attribuendo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato la facoltà di apportare variazioni alla misura e alle modalità di contribuzione al finanziamento della stessa AGCM, senza predeterminare i criteri da seguire, violerebbe la riserva di legge ex art. 23 Cost. Il rimettente afferma, con motivazione non implausibile, che, in caso di accoglimento della questione, verrebbe meno la disposizione normativa che offre base legale al provvedimento impositivo e alla delibera di diniego della restituzione, dei quali è chiesto l'annullamento nel giudizio a quo, onde non rileva che, in assenza di delibera dell'Autorità, il contributo sarebbe stato addirittura superiore.

Norme citate

  • legge-Art. 10, comma 7
  • legge-Art. 10, comma 7
  • decreto-legge-Art. 5 BIS, comma 1
  • legge-Art.

Parametri costituzionali

Amministrazione pubblica - Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) - Contributo obbligatorio agli oneri per il suo funzionamento - Natura - Tributo atipico, non riconducibile né alla categoria di tassa né a quella di imposta.

Il contributo obbligatorio all'Autorità garante della concorrenza e del mercato - posto dall'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990 a carico delle sole società di capitali che abbiano realizzato ricavi superiori a 50 milioni di euro, con fissazione di una soglia massima di contribuzione - ha natura tributaria, dal momento che ha carattere coattivo, prescinde completamente da qualsiasi rapporto sinallagmatico con l'AGCM, è connessa a un presupposto economico che viene assunto a indice di capacità contributiva ed è destinato a finanziare le spese di funzionamento dell'Agenzia in relazione ai servizi che essa è istituzionalmente chiamata a svolgere. L'imposizione tributaria in esame costituisce, peraltro, una forma atipica di contribuzione, che non è riconducibile alla categoria delle "tasse", ma si differenzia dalle "imposte" in senso stretto. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire pubbliche spese. Si deve cioè trattare di un prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva, espressivo dell'idoneità di tale soggetto all'obbligazione tributaria. ( Precedenti citati: sentenze n. 70 del 2015 e n. 102 del 2008 ).

Norme citate

  • legge-Art. 10, comma 7
  • legge-Art. 10, comma 7
  • decreto-legge-Art. 5 BIS, comma 1
  • legge-Art.

Amministrazione pubblica - Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) - Sistema di finanziamento - Imposizione di un contributo obbligatorio a carico delle sole società di capitale con fatturato superiore a 50 milioni di euro e fissazione di un limite massimo di contribuzione (non superiore a cento volte la misura minima) - Denunciata disparità di trattamento e violazione dei principi di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione tributaria - Insussistenza - Scelte discrezionali del legislatore non arbitrarie né irragionevoli - Non fondatezza delle questioni.

Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla CTP di Roma in riferimento agli artt. 3 e 53, primo e secondo comma, Cost., dell'art. 10, commi 7-ter e 7-quater, della legge n. 287 del 1990, aggiunti dall'art. 5-bis, comma 1, del d. l. n. 1 del 2012, conv., con modif., nella legge n. 27 del 2012. La scelta discrezionale del legislatore di porre il contributo obbligatorio agli oneri di funzionamento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato - la cui natura è tributaria - esclusivamente a carico delle società di capitale con fatturato superiore a 50 milioni di fatturato non è arbitraria né irragionevole, giacché tali imprese, per la significativa presenza sul mercato che le contraddistingue, sono le destinatarie prevalenti dell'attività dell'AGCM e quindi le maggiori responsabili della relativa spesa; né, di contro, rileva che l'attività dell'AGCM possa indirizzarsi talvolta anche verso soggetti non tenuti alla contribuzione (imprenditori c.d. sotto-soglia, pubbliche amministrazioni, imprese senza stabile organizzazione in Italia e consumatori). Neppure è irragionevole, pur non trattandosi di soluzione costituzionalmente obbligata, il riferimento a una determinata dimensione del fatturato, poiché il tributo non ha come sua causa impositionis una nuova forma di prelievo sul reddito, ma intende far concorrere al finanziamento dell'Autorità i soggetti cui principalmente si rivolge l'attività di garanzia della stessa. Infine. l'assenza di progressione e la presenza di un tetto massimo alla contribuzione sono coerenti con la descritta finalità del tributo, rispondendo alle ragionevoli esigenze equitative di contenere il carico economico del singolo imprenditore e, nel contempo, di impedire il c.d. rischio di "cattura" del controllore da parte del controllato, ossia la creazione di una ristretta cerchia di finanziatori egemoni, che possano, anche solo di fatto, compromettere l'indipendenza dell'AGCM. ( Precedenti citati: sentenze n. 240 del 2017, n. 70 del 2015, n. 102 del 2008, n. 256 del 2007, n. 156 del 2001, n. 21 del 1996 e n. 158 del 1985 ). Per costante giurisprudenza costituzionale, al legislatore spetta un'ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s'ispira l'attività di imposizione fiscale, con il solo il limite della non arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza e sproporzione. ( Precedente citato: sentenza n. 240 del 2017 ). Il legislatore gode di un'ampia discrezionalità nell'individuare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva, che, quale idoneità del soggetto all'obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale. ( Precedente citato: sentenza n. 156 del 2001 ). Secondo un orientamento spesso ribadito della giurisprudenza costituzionale, il principio di progressività si riferisce all'ordinamento tributario nel suo complesso e non alla singola imposta. ( Precedenti citati: sentenze n. 21 del 1996 e n. 158 del 1985 ).

Norme citate

  • legge-Art. 10, comma 7
  • legge-Art. 10, comma 7
  • decreto-legge-Art. 5 BIS, comma 1
  • legge-Art.

Prestazioni personali e patrimoniali - Riserva di legge - Carattere relativo - Conseguenze - Necessità che la legge indichi compiutamente il soggetto e l'oggetto della prestazione - Possibilità di intervento complementare e integrativo della pubblica amministrazione circoscritto alla specificazione quantitativa (e, qualche volta, anche qualitativa) della prestazione.

La riserva di legge prevista dall'art. 23 Cost. ha carattere relativo e dunque, pur non consentendo alla legge di limitarsi a conferire un potere regolativo attraverso una "norma in bianco", è rispettata quando la legge determina sufficienti criteri direttivi e traccia le linee generali della disciplina. Con riguardo alle prestazioni patrimoniali imposte, il rispetto della riserva si traduce nell'onere per il legislatore di indicare compiutamente il soggetto e l'oggetto della prestazione imposta, mentre l'intervento complementare e integrativo da parte della pubblica amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima, senza che residui la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie della stessa p.a. ( Precedenti citati: sentenze n. 69 del 2017 e n. 83 del 2015 ).

Parametri costituzionali