Articolo 191 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Il giudice a quo non può riproporre, nel medesimo grado di giudizio, una questione già dichiarata non fondata, in quanto una simile iniziativa si porrebbe in contrasto con il disposto dell'ultimo comma dell'art. 137 Cost., secondo cui contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione. Il rimettente può rivolgersi nuovamente alla Corte, dopo la declaratoria di non fondatezza, solo ove proponga una questione diversa dalla precedente in rapporto agli elementi che la identificano: ossia norme censurate, profili di incostituzionalità dedotti e argomentazioni svolte a sostegno della ritenuta illegittimità costituzionale. Di contro, il giudice a quo è abilitato a sollevare una seconda volta la medesima questione nello stesso giudizio quando questa Corte abbia emesso una pronuncia a carattere non decisorio, fondata su motivi rimovibili dal rimettente, dato che, in tal caso, la riproposizione non collide con la previsione dell'art. 137, ultimo comma, Cost. Ciò, alla ovvia condizione che il giudice a quo abbia rimosso il vizio che aveva impedito l'esame di merito della questione. ( Precedenti: S. 115/2019 - mass. 42268; S. 66 del 2019 - mass. 42111; S. 252/2012 - mass. 36712; S. 113/2011 - mass. 35540; S. 189/2001 - mass. 26313; S. 225/1994 - mass. 23105; O. 183/2014 - mass. 38049; O. 371/2004 - mass. 28883; O. 399/2002 - mass. 27281 ) . (Nel caso di specie, sono dichiarate inammissibili - per proposizione di questioni analoghe ad altre già dichiarate manifestamente inammissibili, nonché per richiesta di pronuncia additiva implicante scelte discrezionali riservate al legislatore - le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 6 e 8 CEDU - dell'art. 191 cod. proc. pen. nella parte in cui, in base all'interpretazione del diritto vivente, non prevede la sanzione dell'inutilizzabilità di tutti i risultati probatori delle perquisizioni ed ispezioni illegittime, personali e domiciliari, operate dalla polizia giudiziaria. Il rimettente propone questioni di legittimità costituzionale analoghe ad altre già proposte nello stesso grado di giudizio, dichiarate inammissibili e poi manifestamente inammissibili con pronuncia avente carattere incontestabilmente decisorio e, quanto alle questioni non precluse, fonda il petitum su una richiesta di addizione implicante scelte discrezionali riservate al legislatore). ( Precedenti: S. 252/2020 - mass. 42715; S. 219/2019, O. 116/2022 - mass. 44762 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - sollevate dal Tribunale di Lecce in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, 111 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU - dell'art. 191 cod. proc. pen., nella parte in cui, secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente, non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilità della prova acquisita in violazione di un divieto di legge si applichi anche alle "inutilizzabilità derivate", e riguardi quindi anche gli esiti probatori, compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, delle perquisizioni e ispezioni domiciliari e personali compiute dalla polizia giudiziaria: a) fuori dei casi previsti dalla legge; b) fuori della flagranza di reato, in forza di autorizzazione orale del pubblico ministero o di segnalazioni anonime o confidenziali, o comunque convalidate con atto non motivato. Questioni sostanzialmente analoghe - sollevate dal medesimo rimettente in riferimento agli stessi parametri (ad eccezione dell'art. 111 Cost., meramente rafforzativo tuttavia delle censure riferite agli artt. 3 e 24 Cost.) - sono già state dichiarate inammissibili e poi manifestamente inammissibili, in quanto il petitum , mirando a trasferire nella disciplina dell'inutilizzabilità un concetto di vizio derivato, che il sistema regola esclusivamente in relazione alle nullità, si risolve nella richiesta di una pronuncia fortemente "manipolativa", in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa e in relazione ad una disciplina di natura eccezionale. ( Precedenti: S. 252/2020 - mass. 42715; S. 219/2019 - mass. 40895 ).
Sono dichiarate manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Lecce in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della CEDU, dell'art. 191 cod. proc. pen. Il rimettente ricalca l'impianto argomentativo già scrutinato e valutato inammissibile, denunciando la norma censurata nella parte in cui - secondo l'interpretazione accolta dalla giurisprudenza di legittimità quale diritto vivente - non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di un divieto di legge riguardi anche gli esiti probatori, compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione e ispezione domiciliare e personale compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge, ovvero non convalidati, comunque sia, dal pubblico ministero con provvedimento motivato. Il legislatore ha inteso distinguere nettamente l'idoneità probatoria degli atti vietati dalla legge dai profili di inefficacia conseguenti alla violazione di una regola sancita a pena di nullità dell'atto, vizio che peraltro resta soggetto ai paradigmi della tassatività e della legalità. In tale cornice, il petitum si traduce nella richiesta di una pronuncia fortemente "manipolativa", in materia caratterizzata da ampia discrezionalità del legislatore (quale quella processuale) - come rivela lo stesso assunto del giudice a quo, evocativo della c.d. teoria dei "frutti dell'albero avvelenato" - e discutendosi di una disciplina di natura eccezionale (quale quella relativa ai divieti probatori e alle clausole di inutilizzabilità processuale). ( Precedente citato: sentenza n. 219 del 2019 ). Essendo il diritto alla prova un connotato essenziale del processo penale, in quanto componente del giusto processo, è solo la legge a stabilire - con norme di stretta interpretazione, in ragione della sua natura eccezionale - quali siano e come si atteggino i divieti probatori, in funzione di scelte di "politica processuale" che soltanto il legislatore è abilitato, nei limiti della ragionevolezza, ad esercitare.
Dichiarate manifestamente inammissibili, in quanto ricalcano quelle in precedenza già dichiarate inammissibili, le questioni di legittimità costituzionale concernenti l'art. 191 cod. proc. pen., restano assorbite le ulteriori eccezioni di inammissibilità formulate.
Sono dichiarate inammissibili, per richiesta di pronuncia additiva implicante scelte discrezionali riservate al legislatore, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal GUP del Tribunale di Lecce in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della CEDU, dell'art. 191 cod. proc. pen., nella parte in cui - secondo l'interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente - non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall'autorità giudiziaria con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività. Il rimettente, mira a trasferire nella disciplina dell'inutilizzabilità un concetto di vizio derivato, che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità, in tal modo confondendo fra loro due fenomeni non sovrapponibili. Così facendo, fonda il petitum su una richiesta di addizione fortemente "manipolativa", implicante scelte discrezionali riservate al legislatore, pretendendo di desumere l'automatica "inutilizzabilità" degli atti di sequestro, attraverso il "trasferimento" su di essi dei "vizi" che affliggerebbero gli atti di perquisizione personale e domiciliare dai quali i sequestri sono scaturiti, proponendosi altresì di introdurre, ex novo, uno specifico divieto probatorio - la inutilizzabilità delle dichiarazioni a tal proposito rese dalla polizia giudiziaria - che si colloca in posizione del tutto eccentrica rispetto al tema costituzionale coinvolto dagli artt. 13 e 14 Cost. ( Precedente citato: ordinanza n. 332 del 2001 ).
E? manifestamente inammissibile, non avendo il giudice 'a quo' compiuto il doveroso tentativo di individuare una interpretazione adeguatrice delle norme denunciate, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 335, comma 1, 405, comma 2, e 191 del codice di procedura penale, «nella parte in cui consentono, in caso di ritardata iscrizione da parte del pubblico ministero del nome della persona sottoposta ad indagini nell'apposito registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., l'utilizzabilità di atti processuali compiuti oltre il termine di cui all'art. 405, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione.