Articolo 405 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 405, comma 1- bis , cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 3 della legge n. 46 del 2006, impugnato, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede l'obbligo per il pubblico ministero di chiedere l'archiviazione anche quando la gravità indiziaria, di cui all'art. 273 cod. proc. pen., sia stata esclusa dal giudice per le indagini preliminari o dal tribunale del riesame con decisione non impugnata e senza che ad essa abbia fatto seguito un arricchimento del materiale investigativo. Infatti, con la sentenza n. 121 del 2009, successiva all'ordinanza di rimessione, la norma de qua è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella sua interezza, con la conseguenza che la sollevata questione di costituzionalità è divenuta priva di oggetto. Per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 405, comma 1- bis , cod. proc. pen., attesa l'incompatibilità della richiesta obbligata di archiviazione da esso prefigurata con gli artt. 3 e 112 Cost., v. la citata sentenza n. 121/2009. Nel senso che l'efficacia ex tunc della declaratoria di incostituzionalità della norma impugnata preclude al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza del quesito, valutazione che sola potrebbe giustificare la restituzione degli atti al rimettente, v., con riferimento a questioni analoghe all'attuale, la citata ordinanza n. 126/2009.
Sono manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 405, comma 1- bis , cod. proc. pen, aggiunto dall'art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, censurato, in riferimento agli artt. 3, 25, 111, primo e secondo comma, e 112 Cost. nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, al termine delle indagini, debba formulare richiesta di archiviazione anche quando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sia stata esclusa dal tribunale del riesame con decisione non impugnata mediante ricorso per cassazione e senza che ad essa abbia fatto seguito un arricchimento del materiale investigativo. Infatti, con sentenza n. 121/2009, successiva alle ordinanze di rimessione, la norma de qua è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella sua interezza, con la conseguenza che le questioni oggi in esame sono divenute prive di oggetto. - Nello stesso senso v., citate, ex plurimis , ordinanze n. 269/2008, n. 290 e n. 34/2002. - V. sentenza n. 121/2009, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 405 cod. proc. pen.
È costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost., l'art. 405, comma 1- bis , cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, secondo il quale il pubblico ministero, al termine delle indagini, deve formulare richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata per la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non sono stati acquisiti, successivamente, altri elementi a carico dell'indagato. La norma rovescia il rapporto fisiologico tra procedimento incidentale de libertate e procedimento principale e introduce un vulnus al principio di "impermeabilità" del secondo rispetto agli esiti del primo, principio che vale a scandire, salvaguardandola, la distinzione fra indagini preliminari e processo: infatti, il legislatore riconosce a determinate pronunce rese in sede cautelare un'efficacia preclusiva sul processo. Tale soluzione è irragionevole: in primo luogo, per la diversità tra le regole che presiedono alla cognizione cautelare - in cui si effettua un giudizio prognostico di tipo statico, basato su elementi già acquisiti dal pubblico ministero e funzionali alla soddisfazione delle esigenze cautelari in atto - e quelle che legittimano l'azione penale, ove la decisione si fonda su una valutazione di utilità del passaggio alla fase processuale che è di tipo dinamico e tiene conto anche di ciò che può ragionevolmente acquisirsi nel dibattimento. In secondo luogo, la norma trascura la diversità della base probatoria delle due valutazioni a confronto, poiché, se il pubblico ministero fruisce del potere di selezionare gli elementi da sottoporre al giudice della cautela, le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale sono, invece, prese sulla base di tutto il materiale investigativo. Infine, la Corte di cassazione, quando si pronuncia in materia cautelare, non accerta in modo diretto la mancanza del fumus commissi delicti ma si limita a controllare la motivazione del provvedimento impugnato, con la conseguenza che l'eventuale annullamento di quest'ultimo non svela automaticamente l'inesistenza dei gravi indizi. In definitiva, la norma altera la logica dell'istituto dell'archiviazione che, da strumento di controllo volto a verificare che l'azione penale non sia indebitamente omessa, acquisirebbe l'opposto obiettivo di impedire che l'azione penale sia inopportunamente esercitata. Non solo: crea una disparità di trattamento tra fattispecie identiche, dal momento che, a seconda dei casi, l'organo dell'accusa, pur volendo esercitare l'azione penale nonostante il giudicato cautelare per esso negativo, si troverà costretto a chiedere l'archiviazione mentre, in difetto di proprie iniziative cautelari, potrà esercitare senza impedimenti l'azione penale. In tale prospettiva la richiesta coatta di archiviazione finisce per trasformarsi in una sorta di sanzione extra ordinem per le iniziative cautelari inopportune del pubblico ministero. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura. - Sulle interferenze tra procedimento cautelare e procedimento principale v., citata, sentenza n. 71/1996. - Sul fatto che il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale non escluda che l'ordinamento possa condizionare l'esercizio dell'azione penale a specifiche condizioni v., citate, tra le altre, sentenze n. 88/1991, n.114/1982, n. 84/1979 e n. 104/1974 e ordinanza n. 178/2003. - Sulle diverse valutazioni espresse in sede cautelare e in sede di decisione sull'esercizio dell'azione penale v., citate, sentenze n. 131/1996, n. 432/1995, n. 478 e n. 319/1993, n. 88/1991, ordinanze n. 314/1996 e n. 252/1991.
E? manifestamente inammissibile, non avendo il giudice 'a quo' compiuto il doveroso tentativo di individuare una interpretazione adeguatrice delle norme denunciate, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 335, comma 1, 405, comma 2, e 191 del codice di procedura penale, «nella parte in cui consentono, in caso di ritardata iscrizione da parte del pubblico ministero del nome della persona sottoposta ad indagini nell'apposito registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen., l'utilizzabilità di atti processuali compiuti oltre il termine di cui all'art. 405, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione.
E' manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 Cost., nei confronti degli artt. 335, comma 1, 405, comma 2, e 406, comma 8, cod. proc. pen., in quanto, secondo il giudice 'a quo', in mancanza delle piu' precise determinazioni richieste dall'art. 2, numeri 35 e 48, della legge di delega 16 febbraio 1987, n. 81, praticamente consentono che l'iscrizione nell'apposito registro del nome della persona alla quale e' attribuito il reato venga effettuata dal pubblico ministero, in base a discrezionali valutazioni, in un momento successivo a quello in cui gli indizi di reita' siano emersi, con conseguente pregiudizievole spostamento della decorrenza dei termini per le indagini preliminari e senza che sia prevista la inutilizzabilita' degli atti di indagine compiuti in assenza della iscrizione immediata. Invero, a parte la impossibilita', per la Corte costituzionale, di indicare con determinatezza - come preteso, con quesito additivo, a fulcro delle dedotte censure, nella ordinanza di rinvio - il termine entro il quale il pubblico ministero dovrebbe iscrivere nel registro delle notizie di reato il nome dell'indagato, si e' omesso di chiarire, nella motivazione della rilevanza del promosso incidente, se nel caso di specie in concreto sussistano, e quali siano, gli atti delle indagini preliminari che rimarrebbero coinvolti dalla sanzione di inutilizzabilita' che pure il rimettente mira a far scaturire dalla sua articolata denuncia. red.: S. Pomodoro
E' manifestamente inammissibile, in quanto prospettata in modo contraddittorio e perplesso, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 407, comma 3, 405, comma 2, e 335, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono l'inutilizzabilita', nei confronti dell'imputato, di tutti gli atti di indagine compiuti tra il momento in cui ha assunto la qualita' di persona sottoposta alle indagini (perche' raggiunto da indizi di colpevolezza) e il momento in cui e' stato iscritto nel registro degli indagati, sollevata con riferimento agli artt. 3, 76 e 112 Cost.. red.: S. Di Palma
La previsione di termini per lo svolgimento delle indagini preliminari e la correlativa sanzione di inutilizzabilita' degli atti compiuti dopo la scadenza degli stessi risponde all'esigenza di imprimere tempestivita' alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini e' assoggettato e si raccorda alla finalita' stessa di detta attivita' che non e', come nel codice abrogato, quella di preparazione al processo, ma e' destinata unicamente a consentire al P.M. di assumere le sue determinazioni in ordine all'esercizio o meno dell'azione penale, per cui non vi e' contraddizione tra la statuizione del termine ed il precetto costituzionale, sancito dall'art. 112 Cost.. Peraltro l'eventuale necessita' di svolgere ulteriori atti di indagine costituisce ipotesi di mero fatto che non incide sulle determinazioni del P.M. e comunque puo' trovare eventuale soddisfacimento con altri mezzi processuali, restando d'altronde riservata alle discrezionali scelte del legislatore l'individuazione degli opportuni strumenti processuali in base ai quali consentire la prosecuzione delle indagini, nelle eccezionali ipotesi in cui sia risultato impossibile portarle a compimento entro il termine massimo previsto dalla legge. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo, terzo e quarto comma, 406 e 407, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 112 e 25, secondo comma, Cost.). - Nello stesso senso, S. n. 174/1992 e O. n. 48/1993. red.: E.M. rev.: S.P.
La disciplina sui termini delle indagini preliminari risponde alla duplice esigenza di imprimere tempestivita' alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini e' assoggettato, e non viola in alcun modo il principio di obbligatorieta' dell'azione penale, per l'esistenza di sufficienti ed adeguati strumenti di controllo affidati al giudice nei confronti dell'eventuale inerzia del pubblico ministero (v. massima A). (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo comma, 406, primo comma, 407, terzo comma e 553, in riferimento all'art. 112 Cost.). - S. n. 174/1992.