Articolo 553 - CODICE PROCEDURA PENALE
Massime della Corte Costituzionale
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Testo dell'articolo aggiornato secondo le disposizioni legislative vigenti.
Sono dichiarate manifestamente inammissibili, a causa del loro carattere ancipite, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 553 cod. proc. pen., censurato dal GIP del Tribunale di Tivoli - in riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, e 111 Cost. - nella parte in cui non impone al pubblico ministero la notificazione del decreto di citazione a giudizio entro un termine prestabilito ovvero nella parte in cui non impone, allo stesso pubblico ministero, di provvedere all'immediata trasmissione degli atti al giudice del dibattimento prima che venga curata la notificazione del decreto. Il rimettente ha prospettato le questioni in termini alternativi, senza indicare quale soluzione ritiene prioritariamente imposta dalla Costituzione, così devolvendo alla Corte costituzionale l'impropria competenza di scegliere tra esse. (Precedenti citati: sentenze n. 22 del 2016 e n. 248 del 2014; ordinanza n. 130 del 2017).
Affermata la manifesta inammissibilità - per prospettazione ancipite e difetto assoluto di motivazione sulla non manifesta infondatezza - delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 553 e 554 cod. proc. pen., rimane assorbita ogni ulteriore causa di inammissibilità.
Le indagini preliminari sono destinate unicamente a consentire al P.M. di assumere le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale e non "all'accertamento della verita'" come previsto nel codice abrogato; pertanto non vi e' alcuna contraddizione tra la previsione di un termine entro il quale deve essere compiuta l'attivita' di indagine e il precetto sancito dall'art. 112 Cost, non essendo quel termine di per se' idoneo a turbare la determinazione che il pubblico ministero e' chiamato ad assumere al suo spirare. La stessa eventuale necessita' di svolgere ulteriori atti di investigazione viene invero, a sua volta, a profilarsi unicamente come ipotesi di mero fatto che, per un verso, non impedisce allo stesso pubblico ministero di stabilire, allo stato delle indagini svolte, se esercitare o meno l'azione penale, mentre, sotto altro profilo, puo' rinvenire adeguato soddisfacimento, a seconda delle scelte operate, o nella riapertura delle indagini prevista dall'art. 414 del codice di procedura penale o nella attivita' integrativa di indagine che l'art. 430 consente di compiere anche dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio, restando comunque riservate alle discrezionali scelte del legislatore l'individuazione degli opportuni strumenti processuali in base ai quali consentire la prosecuzione delle indagini, nelle eccezionali ipotesi in cui sia risultato impossibile portarle a compimento entro il termine massimo previsto dalla legge. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 407 cod. proc. pen., richiamato dall'art. 553 stesso codice, sollevata in riferimento all'art. 112 Cost.).
Le norme che prevedono l'inutilizzabilita' degli atti di indagini compiute oltre il termine massimo previsto in relazione alla durata della fase preliminare del processo non pregiudicano in alcun modo il diritto di difesa in quanto essendo volte ad assicurare alla attivita' di indagine carattere di snellezza e tempestivita', non interferiscono sotto nessun profilo con la ricerca delle fonti di prova che la persona offesa e quella sottoposta alle indagini possono autonomamente svolgere e indurre nel procedimento. (Manifesta infondatezza della questione dell'art. 407, cod.proc.pen., richiamato dall'art. 553, stesso codice, sollevata in riferimento all'art. 24 Cost.).
La norma che prevede un termine per la durata della fase dell'indagini preliminari nel processo penale e la conseguente inutilizzabilita' degli atti compiuti oltre tale scadenza non sono censurabili per la disparita' di trattamento fra indagati che verrebbe a scaturire dalla maggiore o minore complessita' delle indagini, ne' per la irragionevolezza che deriverebbe dalla identita' del regime a prescindere dalla diversa tipologia di reati e degli accertamenti che si rendono necessari, in quanto, nel prospettare in tal modo la questione, il giudice 'a quo' mostra di fare appello a evenienze di mero fatto prospettate in termini ipotetici che, in se' considerate, non presentano riflessi tali da incidere sull'invocato parametro di costituzionalita'. (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 407 del codice di procedura penale, richiamato dall'art. 553 dello stesso codice, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione).
Restituzione degli atti al giudice 'a quo', perche' riesamini la rilevanza della proposta questione alla luce del nuovo quadro normativo esistente a seguito dell'intervenuto d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (convertito con modificazioni in l. 7 agosto 1992, n. 356), che con l'art. 6, secondo comma, ha integralmente sostituito, nel senso auspicato dal remittente ed uniformandosi alla sentenza della Corte costituzionale n. 174 del 1992, l'art. 406 del codice di procedura penale. - S. N. 174/1992.
Questione concernente norma gia' dichiarata costituzionalmente illegittima. - S. n. 174/92.
La disciplina sui termini delle indagini preliminari risponde alla duplice esigenza di imprimere tempestivita' alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini e' assoggettato, e non viola in alcun modo il principio di obbligatorieta' dell'azione penale, per l'esistenza di sufficienti ed adeguati strumenti di controllo affidati al giudice nei confronti dell'eventuale inerzia del pubblico ministero (v. massima A). (Manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 405, secondo comma, 406, primo comma, 407, terzo comma e 553, in riferimento all'art. 112 Cost.). - S. n. 174/1992.
La previsione del termine di sei mesi entro i quali deve essere contenuta la fase delle indagini preliminari e' diretta al soddisfacimento della duplice esigenza di imprimere tempestivita' alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini e' assoggettato. La 'ratio' che sorregge la disciplina in questione trova dunque piena realizzazione nel fatto che entro quel termine la richiesta di proroga sia presentata; che debba anche intervenire la decisione del giudice entro il termine stesso e' regola diversa, assente dalle previsioni della legge di delega (cfr. art. 2, n. 48 della legge 16 febbraio 1987 n. 81) e suscettibile di condizionare irragionevolmente l'esercizio dell'azione penale subordinando la concessione della proroga ad evenienze imponderabili ed accidentali. Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost. - assorbite le censure sollevate in riferimento agli altri parametri costituzionali - degli artt. 406, primo comma, e 553, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui entrambi prevedono che il giudice possa prorogare il termine stabilito per la durata delle indagini preliminari solo "prima della scadenza". Conseguentemente, caducata tale norma, mentre il pubblico ministero resta obbligato a formulare la sua istanza entro il medesimo termine, il giudice provvedera' nel termine generale previsto dall'art. 121, secondo comma, e quindi entro quindici giorni decorrenti dalla scadenza dei cinque giorni concessi alle parti dal terzo comma dell'art. 406 per la presentazione di memorie.