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Pronuncia 88/2012

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto in seguito all'apertura delle indagini da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, alle successive richieste di rinvio a giudizio, dell'11 maggio 2009 (R.G.N.R. n. 8213/2009) e del 2 febbraio 2010 (R.G.N.R. n. 5736/2010), da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e all'ordinanza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli del 20 ottobre 2010, promosso dal Senato della Repubblica con ricorso notificato il 19 aprile 2011, depositato in cancelleria il 16 maggio 2011, ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2010, fase di merito. Visto l'atto di intervento della Camera dei deputati; udito nell'udienza pubblica del 14 febbraio 2012 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi; uditi gli avvocati Piero Alberto Capotosti per il Senato della Repubblica e Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara: 1) che spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere avviare un procedimento penale nei confronti del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti per ipotesi di reati ritenuti non commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali, e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Napoli proseguirlo ed esercitare l'azione penale con una duplice richiesta di rinvio a giudizio, omettendo di trasmettere gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione), perché ne fosse investito il Collegio previsto dall'art. 7 di detta legge; 2) che spettava al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli rigettare l'eccezione di incompetenza funzionale avanzata dalla difesa del Ministro della giustizia imputato, in carica all'epoca dei fatti, e proseguire nelle forme comuni, per ipotesi di reati ritenuti non commessi nell'esercizio delle funzioni, omettendo di trasmettere gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, perché ne fosse investito il Collegio previsto dall'art. 7 di detta legge; 3) che spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Napoli, e al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli esercitare le proprie attribuzioni, omettendo di informare il Senato della Repubblica della pendenza del procedimento penale a carico del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 14 febbraio 2012. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Giorgio LATTANZI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2012. Il Direttore della Cancelleria F.to: MELATTI

Relatore: Giorgio Lattanzi

Data deposito:

Tipologia: S

Presidente: QUARANTA

Massime

Reati ministeriali - Delitti, in concorso con terzi, di abuso d'ufficio e concussione, contestati al "segretario nazionale del partito politico UDEUR", nel periodo di tempo in cui era ministro della giustizia - Indagini poste in essere dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dalla Procura della Repubblica di Napoli, duplice richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Napoli, nonché ordinanza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Senato della Repubblica - Fase di merito - Conferma dell'ammissibilità del conflitto, già ritenuta con l'ordinanza n. 104 del 2011.

Va affermata definitivamente l'ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, e del Giudice dell'udienza preliminare di quest'ultimo Tribunale, chiedendo alla Corte di dichiarare che non spettava a tali organi aprire e proseguire un procedimento penale a carico del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti Clemente Mastella, senza trasmettere, invece, gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione), perché di tale procedimento fosse investito il Collegio per i reati ministeriali, e, comunque, senza informare la Camera competente ai sensi dell'art. 96 della Costituzione. Non vi sono dubbi, in particolare, circa la legittimazione a sollevare conflitto da parte del Senato della Repubblica cui spetterebbe pronunciarsi ai sensi dell'art. 96 Cost. nel caso di specie, giacché il ministro non è allo stato membro del Parlamento, né più lo era, ammesso che ciò rilevi, quando l'autorità giudiziaria, adottando gli atti di cui si chiede l'annullamento, si sarebbe sottratta al proprio dovere di devolvere l'indagine al tribunale dei ministri, e comunque di informarne il Senato (art. 5 della legge cost. n. 1 del 1989). Né può venire in contestazione la legittimazione a resistere dei Procuratori della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere e di Napoli e del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, in quanto investiti, con riferimento alla vicenda oggetto di conflitto, gli uni della quota di potere costituzionale preposta all'esercizio dell'azione penale e allo svolgimento delle indagini ad esso finalizzate e l'altro dell'esercizio di funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza. Né la circostanza che il ricorso abbia ad oggetto atti tipici propri del potere giudiziario ne compromette, nel caso di specie, l'ammissibilità. Se è vero, infatti, che il conflitto di attribuzione non può degenerare, a pena di inammissibilità, in strumento atipico di impugnazione diretto contro atti giurisdizionali, è altrettanto indubbio che tale principio non è invocabile, tuttavia, nelle ipotesi in cui venga posta in discussione non già la fedele applicazione della legge da parte dell'autorità giudiziaria, ma l'assunzione da parte di quest'ultima di una decisione estranea all'ambito oggettivo della giurisdizione di cui il magistrato è titolare, comunque idonea a menomare l'altrui attribuzione costituzionale: e, secondo la prospettazione del Senato della Repubblica, coltivando l'azione penale nelle forme ordinarie, PM e GIP, avrebbero esercitato una funzione, rispettivamente di indagine e di giudizio, che non sarebbe loro spettata. Il Senato della Repubblica non ha posto, con l'odierno ricorso, un mero problema di regolamento di confini tra competenza dell'autorità giudiziaria comune e tribunale dei ministri, al quale sarebbe infatti stata estranea: piuttosto, l'investitura del tribunale dei ministri, secondo il ricorrente, sarebbe prodromica al coinvolgimento della Camera competente nella valutazione concernente la ministerialità del reato. L'adempimento previsto dall'art. 6 della legge cost. n. 1 del 1989 viene perciò ricostruito come finalizzato non soltanto ad attivare l'organo giurisdizionale competente, ma anche a soddisfare una prerogativa costituzionale direttamente e senza mediazioni intestata alla Camera dei deputati, ai sensi dell'art. 96 Cost. Ciò che viene in rilievo, pertanto, non è la questione di competenza in sé, ma il fatto che, omettendo di trasmettere gli atti al tribunale dei ministri, l'autorità giudiziaria avrebbe menomato l'attribuzione costituzionale propria del Senato della Repubblica, per l'esercizio della quale detto tribunale agirebbe da indefettibile cerniera di collegamento. - Per la delibazione dell'ammissibilità senza contraddittorio a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, del medesimo conflitto v. la richiamata ordinanza n. 104 del 2011. - In ordine alla legittimazione attiva del Senato della Reopubblica a sollevare conflitto al fine di difendere le attribuzioni alla stessa spettanti ai sensi dell'art. 96 Cost., v., ex multis , le sentenze n. 241 del 2009 e n. 403 del 1994; nonché le ordinanze n. 313 e n. 241 del 2011, n. 211 del 2010, n. 8 del 2008 e n. 217 del 1994, tutte richiamate in sentenza. - In ordine alla legittimazione passiva nel conflitto di attribuzione del Procuratore della Repubblica, v. ex multis , le citate ordinanze n. 276 del 2008, n. 73 del 2006 e n. 404 del 2005; in ordine a quella del Giudice per le indagini preliminari, v. la sentenza n. 241 del 2009 e le ordinanze n. 241 del 2011, n. 211 del 2010 e n. 8 del 2008, richiamate in sentenza.

Parametri costituzionali

Reati ministeriali - Delitti, in concorso con terzi, di abuso d'ufficio e concussione, contestati al "segretario nazionale del partito politico UDEUR", nel periodo di tempo in cui era ministro della giustizia - Indagini poste in essere dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dalla Procura della Repubblica di Napoli, duplice richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Napoli, nonché ordinanza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Senato della Repubblica - Omessa trasmissione degli atti al Collegio per i reati ministeriali (tribunale dei ministri), prodromica al coinvolgimento del Senato nella valutazione circa la ministerialità del reato - Ritenuta lesione delle attribuzioni costituzionali del Senato della Repubblica - Insussistenza - Attribuzione esclusiva dell'autorità giudiziaria in ordine alle valutazioni sulla natura del reato e sulla sussistenza delle eventuali esimenti - Dichiarazione che spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere avviare un procedimento penale nei confronti del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti per ipotesi di reati ritenuti non commessi nell'esercizio delle funzioni ministeriali, e alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Napoli proseguirlo ed esercitare l'azione penale con una duplice richiesta di rinvio a giudizio, omettendo di trasmettere gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, perché ne fosse investito il Collegio previsto dall'art. 7 di detta legge - Dichiarazione che spettava al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli rigettare l'eccezione di incompetenza funzionale avanzata dalla difesa del Ministro della giustizia imputato, in carica all'epoca dei fatti, e proseguire nelle forme comuni, per ipotesi di reati ritenuti non commessi nell'esercizio delle funzioni, omettendo di trasmettere gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, perché ne fosse investito il Collegio previsto dall'art. 7 di detta legge.

In merito al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, e del Giudice dell'udienza preliminare di quest'ultimo Tribunale - chiedendo alla Corte di dichiarare che non spettava a tali organi aprire e proseguire un procedimento penale a carico del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti Clemente Mastella, senza trasmettere, invece, gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione), perché di tale procedimento fosse investito il Collegio per i reati ministeriali, e, comunque, senza informare la Camera competente ai sensi dell'art. 96 della Costituzione - va affermato che spettava al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere iniziare un procedimento penale nei confronti del ministro Mastella per reati ritenuti comuni, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli proseguirlo ed esercitare l'azione penale con una duplice richiesta di rinvio a giudizio, ed al Giudice dell'udienza preliminare di quest'ultimo tribunale procedere a propria volta nelle forme comuni, rigettando l'eccezione di "incompetenza funzionale" prospettatagli dalla difesa e quindi omettendo di trasmettere gli atti al Collegio previsto dall'art. 7 della legge cost. n. 1 del 1989. Secondo la tesi del ricorrente, l'art. 6 della legge cost. n. 1 del 1989 obbligherebbe il pubblico ministero che abbia acquisito una notizia di reato a carico del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero di un ministro, ad attivarsi, perché il procedimento sia assegnato al collegio di cui al successivo art. 7, in modo che, tramite quest'ultimo, il competente ramo del Parlamento possa interloquire nella fattispecie, difendendo le proprie attribuzioni. Secondo tale prospettazione, in definitiva, sarebbe sufficiente la sola qualità soggettiva dell'autore del fatto a incardinare la competenza riservata del tribunale dei ministri, ferma la possibilità che, all'esito delle indagini, tale organo disponga la c.d. archiviazione asistematica. Tale tesi è in evidente contrasto con la formulazione della norma, giacché è proprio l'art. 6 della legge cost. n. 1 del 1989 a prevedere, in modo puntuale, che siano destinati al tribunale dei ministri i rapporti, i referti e le denunzie concernenti «i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione», ovvero commessi nell'esercizio delle funzioni. Solo ammettendo, in contrasto palese con l'art. 96 Cost., che un illecito penale acquisisca carattere ministeriale in ragione della sola qualifica rivestita dall'autore di esso sarebbe sostenibile che la lettera della legge costituzionale autorizzi a trarre le conclusioni suggerite dalla ricorrente. Per contro, nel vigente ordine costituzionale, il principio di generale attribuzione all'autorità giudiziaria ordinaria dell'esercizio della giurisdizione penale, salvo le eccezionali e restrittive deroghe stabilite espressamente dalla fonte superprimaria, non incontra alcun limite ulteriore, e torna così in modo del tutto naturale ed automatico a governare la fattispecie della responsabilità penale del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero di un ministro, in accordo con i principi di uguaglianza, legalità e giustiziabilità dei diritti, ribaditi, quanto ai pubblici funzionari, dall'art. 28 Cost. A tale proposito, la giurisprudenza costituzionale ha già affermato che sussiste nel nostro ordinamento una «generale competenza delle autorità giudiziarie all'accertamento dei presupposti della responsabilità», la quale si segnala per costituire la parola ultima, e di regola definitiva, che l'ordinamento giuridico pronuncia a livello nazionale. La competenza in questione non può che implicare la preliminare attività di qualificazione del reato, o per meglio dire il giudizio con cui un accadimento materiale viene ricondotto alla previsione generale di una o più disposizioni di legge, che lo sottraggono all'area di ciò che è giuridicamente indistinto per conferirgli una identità normativa, alla quale conseguono i tipici effetti processuali e sostanziali stabiliti dalla legge. Nel caso di specie, componente costitutiva di un tale giudizio è la stessa natura, ministeriale o comune, del reato, dalla quale deriva nel primo caso l'investitura del tribunale dei ministri, e successivamente del ramo competente del Parlamento, ovvero, nel secondo caso, l'osservanza delle ordinarie regole sull'accertamento della responsabilità penale. In difetto di esplicite deroghe costituzionali, agli altri poteri dello Stato, e tra questi alla Camera competente ai sensi dell'art. 96 Cost., non spetta alcuna attribuzione in merito, con la conseguenza che non ha fondamento la pretesa di interloquire con l'autorità giudiziaria, secondo un canale istituzionale indefettibilmente offerto dal tribunale dei ministri, nelle ipotesi in cui quest'ultima, esercitando le proprie esclusive prerogative, abbia stimato il reato privo del carattere della ministerialità e, nell'esercizio delle stesse, abbia approfondito detto profilo, esplicitando le ragioni a conforto di tale qualificazione. La vicenda che costituisce oggetto del ricorso concerne, infatti, reati che l'autorità giudiziaria ha ritenuto immediatamente privo di carattere funzionale poiché commessi dal ministro nella qualità di segretario di un partito politico, e la cui natura ministeriale non è stata dedotta in atti e neppure posta a fondamento del conflitto. In tali circostanze, non solo il potere giudiziario, ritenendo i reati di natura comune, poteva omettere di investire il tribunale dei ministri della notizia di reato, ma ne era costituzionalmente obbligato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 96 Cost. e 6 della legge cost. n. 1 del 1989, non essendogli possibile sottrarsi all'accertamento della penale responsabilità nelle forme proprie della giurisdizione ordinaria penale (art. 112 Cost.), se non in presenza delle deroghe tassative prescrivibili dalla sola Costituzione, e che neppure il legislatore ordinario potrebbe ampliare . - Sul principio di generale attribuzione all'autorità giudiziaria ordinaria dell'esercizio della giurisdizione penale, che, salvo le eccezionali e restrittive deroghe stabilite espressamente dalla fonte superprimaria, non incontra alcun limite ulteriore, v. la richiamata sentenza n. 154 del 2004. - Sull'affermazione secondo cui le immunità riconosciute ai pubblici poteri, introducendo una deroga eccezionale al generale principio di uguaglianza, non possono che originarsi dalla Costituzione, v. la richiamata sentenza n. 262 del 2009. - Sulla costante giurisprudenza costituzionale che esclude che le immunità costituzionali possano trasmodare in privilegi, come accadrebbe se una deroga al principio di uguaglianza innanzi alla legge potesse venire indotta direttamente dalla carica ricoperta, anziché dalle funzioni inerenti alla stessa, v., in relazione alle guarentigie dei membri del Parlamento, le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000; in relazione a quelle relative ai membri del Consiglio regionale, la sentenza n. 289 del 1997; con riferimento alla responsabilità penale del Capo dello Stato, la sentenza n. 154 del 2004; con riferimento all'immunità sostanziale dei componenti del Consiglio superiore della magistratura per le opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni, la sentenza n. 148 del 1983; con riferimento alla responsabilità per reato ministeriale, la sentenza n. 6 del 1970, tutte richiamate in sentenza.

Parametri costituzionali

Reati ministeriali - Delitti, in concorso con terzi, di abuso d'ufficio e concussione, contestati al "segretario nazionale del partito politico UDEUR", nel periodo di tempo in cui era ministro della giustizia - Indagini poste in essere dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dalla Procura della Repubblica di Napoli, duplice richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Napoli, nonché ordinanza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Senato della Repubblica - Omessa comunicazione al Presidente del Senato, prodromica al coinvolgimento del Senato nella valutazione circa la ministerialità del reato - Ritenuta lesione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato - Insussistenza - Dichiarazione che spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Santa Maria Capua Vetere, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Napoli, e al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli esercitare le proprie attribuzioni, omettendo di informare il Senato della Repubblica della pendenza del procedimento penale a carico del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti.

In merito al conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Senato della Repubblica nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, e del Giudice dell'udienza preliminare di quest'ultimo Tribunale - chiedendo alla Corte di dichiarare che non spettava a tali organi aprire e proseguire un procedimento penale a carico del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti Clemente Mastella, senza trasmettere, invece, gli atti ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione), perché di tale procedimento fosse investito il Collegio per i reati ministeriali, e, comunque, senza informare la Camera competente ai sensi dell'art. 96 della Costituzione - va affermato che spettava tanto alle Procure di Santa Maria Capua Vetere e di Napoli, quanto al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli, procedere per reato comune nei confronti del Ministro della giustizia in carica all'epoca dei fatti, omettendo di informarne il Senato della Repubblica. E' da escludersi, infatti, che un tale dovere possa ricavarsi dalle disposizioni costituzionali concernenti il procedimento per reato ministeriale, ed in particolar modo dall'art. 8, comma 4, della legge cost. n. 1 del 1989, che inerisce esclusivamente ai casi di archiviazione. Né il fondamento costituzionale dell'attribuzione rivendicata dal Senato potrebbe ricercarsi nel principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, dal quale si vorrebbe desumere una regola informativa che - senza mutare la natura e la pienezza dei poteri di accertamento del giudice comune - verrebbe ad aggiungersi ad essi su di un piano parallelo, obbligandolo a rendere edotta la Camera competente del fatto storico, affinché quest'ultima sia posta nelle condizioni di valutarne la natura, e, se del caso, di reagire immediatamente con lo strumento del conflitto. Invero - considerato che presupposto perché la leale collaborazione venga a dettare regole di azione è la convergenza dei poteri verso la definizione, ciascuno secondo la propria sfera di competenza, di una fattispecie di rilievo costituzionale, ove essi, piuttosto che separati, sono invece coordinati dalla Costituzione, affinché la fattispecie si definisca per mezzo dell'apporto pluralistico dei soggetti tra cui è frazionato l'esercizio della sovranità - è evidente che il principio di leale collaborazione non abbia a declinarsi laddove non vi sia confluenza delle attribuzioni e la separazione costituisca l'essenza delle scelte compiute dalla Costituzione, al fine di ripartire ed organizzare le sfere di competenza costituzionale: fenomeno, questo, che si manifesta soprattutto rispetto al potere giudiziario, cui l'attuale sistema costituzionale fissa limiti rigidi alle prospettive di interazione con gli altri poteri. Nell'ipotesi di reato comune, il Parlamento, in difetto di una norma espressa, non ha dunque titolo per pretendere che l'azione del potere giudiziario sia aggravata da un ulteriore adempimento di tipo informativo, giacché essa si esaurisce interamente nella sfera di attribuzioni proprie di quest'ultimo, e non interferisce con altrui prerogative, fino a che il presupposto circa la ministerialità del reato non sia invece rivendicato in concreto dalla Camera competente. La sola ipotesi, del tutto astratta, che il reato possa essere stato commesso nell'esercizio delle funzioni ministeriali non è sufficiente, in altri termini, in presenza della generale clausola di competenza dell'autorità giudiziaria, a far scaturire, anche in via meramente potenziale, un'area comune di interferenza fra attribuzioni parlamentari e dell'ordine giudiziario, essendo a tal fine necessario che le prime siano state in concreto poste in collegamento con le seconde per iniziativa della Camera competente.

Parametri costituzionali