Pronuncia 128/1984

Sentenza

Collegio

composta dai signori: Prof. LEOPOLDO ELIA, Presidente - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI - Prof. GIOVANNI CONSO - Prof. ETTORE GALLO - Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 542, primo capoverso e comma primo, del codice penale, promosso con l'ordinanza emessa il 10 gennaio 1983 dal Tribunale di Genova nel procedimento penale a carico di Tripodi Rocco, iscritta al n. 443 del registro ordinanze 1983 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 295 dell'anno 1983. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio dell'11 aprile 1984 il Giudice relatore Livio Paladin. Ritenuto che il Tribunale di Genova, con l'ordinanza in epigrafe indicata, ha riproposto questione di legittimità costituzionale dell'art. 542, comma secondo, cod. pen. - che, limitatamente ai delitti contro la libertà sessuale (tra cui quello di violenza carnale, per il quale nella specie si procede) e di corruzione di minorenni, stabilisce che "la querela proposta è irrevocabile" - per contrasto con l'art. 3 della Costituzione: questione già decisa, nel senso della non fondatezza, con precedente sentenza n. 216 del 1974; che, all'uopo, il giudice a quo si è appellato alle "modificazioni del costume e 'della società, intervenute dopo la sentenza della Corte", che avrebbero superato la concezione della donna " soggetto più debole" presupposta dalla norma denunciata; ed ha sottolineato che "la riforma del diritto di famiglia" e soprattutto la recente abrogazione (con l. n. 442/1981) della causa speciale di estinzione del reato, relativa al matrimonio riparatore, rispecchiano l'evoluzione sopra accennata e dimostrano la volontà del legislatore di uniformarsi all'avvenuto mutamento del costume sociale"; che, in via gradata, lo stesso Tribunale ha denunciato il comma primo del predetto art. 542 - che subordina la punibilità dei delitti in questione alla querela della persona offesa - prospettando l'ipotesi che la lamentata disparità di trattamento possa venire alternativamente eliminata con l'equiparazione degli stessi ai delitti perseguibili d'ufficio; e che nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo che la prima questione sarebbe destituita di fondamento e la seconda inammissibile o (in subordine) anch'essa infondata. Considerato, relativamente alla prima impugnativa, che questa Corte, con la ricordata sentenza n. 216 del 1974, ha già escluso l'illegittimità dell'art. 542, comma secondo, cod. pen., affermando che restano valide le argomentazioni fornite in proposito nella relazione del ministro guardasigilli all'atto della predisposizione del vigente codice penale, secondo cui la irrevocabilità della querela realizza, in questo caso, lo scopo di non dare adito a "turpi accomodamenti e ripugnanti estorsioni" e trova comunque "la sua giustificazione nell'interesse pubblico di evitare che il promovimento dell'azione penale possa essere subordinato a fini diversi da quelli perseguiti dall'ordinamento"; e che, su questa base, la Corte ha poi dichiarato la manifesta infondatezza dell'impugnativa in esame, con le ordinanze n. 75 del 1975 e n. 42 del 1978: che non si ravvisano motivi per discostarsi da tale soluzione, né questi sono offerti dalle argomentazioni solo apparentemente "nuove", e comunque inconferenti, svolte nell'ordinanza di rimessione; che, infatti, le pretese "modificazioni del costume e della società" e le innovazioni normative, concernenti la posizione della donna, sono invocate sull'erroneo presupposto che l'irrevocabilità della querela sia stata stabilita ad esclusiva tutela di questa; laddove il regolamento normativo dell'art. 542 c. 2 c.p. (per l'indole dei reati contemplati, che annoverano, tra l'altro, la corruzione dei minori) non richiede necessariamente la condizione femminile del soggetto passivo delle corrispondenti azioni criminose; che, in particolare, l'intervenuta abrogazione della speciale causa estintiva sub art. 544 c.p. non contraddice (e semmai conferma) la richiamata finalità di "evitare accomodamenti"; che, comunque, la direzione in cui andrebbe, secondo il giudice a quo, attuata la reductio ad legitimitatem è di segno opposto a quella dei nuovi orientamenti legislativi e sulla linea invece dell'art. 336 del codice abrogato, da cui motivatamente ebbe a discostarsi il legislatore del 1930: il che conferma che la questione proposta si colloca sul piano esclusivo delle opzioni legislative e non delle scelte necessitate da precetti costituzionali; che, d'altra parte, la seconda questione di costituzionalità dell'art. 542, comma primo, è manifestamente inammissibile: poiché - come esattamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato - nel caso di specie la querela è stata ritualmente proposta, e perciò nessun effetto potrebbe derivare, nel giudizio in corso, da un'eventuale modificazione normativa che sostituisca alla attuale disciplina quella, a carattere generale, della perseguibilità d'ufficio del delitto ascritto all'imputato.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 542, comma primo, cod. pen., in riferimento all'art. 3 Cost., sollevata dal Tribunale di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe; dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 542, comma secondo, cod. pen., in riferimento all'art. 3 Cost., sollevata con la stessa ordinanza. Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 1984. F.to: LEOPOLDO ELIA - ANTONINO DE STEFANO - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA - GIOVANNI CONSO - ETTORE GALLO - ALDO CORASANITI. GIOVANNI VITALE - Cancelliere.

Relatore: Livio Paladin

Data deposito: Mon Apr 30 1984 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: O

Presidente: ELIA

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Massime

ORD. 128/84. REATO IN GENERE - DELITTI CONTRO LA LIBERTA' SESSUALE - PERSEGUIBILITA' D'UFFICIO - MANCATA PREVISIONE - ININFLUENZA DELL'EVENTUALE DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITA' NEL GIUDIZIO A QUO (QUERELA GIA' PROPOSTA) - MANIFESTA INAMMISSIBILITA'.

E' manifestamente inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimita' costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 542, primo comma, c.p. nella parte in cui prevede l'irrevocabilita' della querela nei delitti contro la liberta' sessuale anziche' la procedibilita' d'ufficio, in quanto nel caso di specie la querela e' stata gia' ritualmente proposta, e percio' nessun effetto potrebbe derivare, nel giudizio in corso, da una eventuale modificazione normativa che sostituisca al regime della querela irrevocabile quella della perseguibilita' d'ufficio del delitto ascritto dall'imputato. - Con la stessa ordinanza la Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza, perche' gia' decisa, della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 542, secondo comma, in riferimento all'art. 3 Cost. (s. n. 216/1974 e s. nn. 75/1975 e 42/1978).

Parametri costituzionali