Filiazione - Azione di disconoscimento della paternità - Sospensione della decorrenza del termine indicato nell'art. 244 cod. civ. anche nei confronti del soggetto che, sebbene non interdetto, versi in condizione di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, sino a che duri tale stato di incapacità naturale - Mancata previsione - Violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza - Lesione del diritto di azione - Illegittimità costituzionale in parte qua .
Dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 245 del codice civile, nella parte in cui non prevede che la decorrenza del termine indicato nell'art. 244 cod. civ. è sospesa anche nei confronti del soggetto che, sebbene non interdetto, versi in condizione di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, sino a che duri tale stato di incapacità naturale. La suddetta disposizione - il cui inequivoco dato letterale non consente di estenderne, in via interpretativa, l'operatività anche in favore del suindicato soggetto - si colloca nel contesto del sistema che regolamenta i termini di proposizione dell'azione di disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio ex art. 244 cod. civ., nei casi indicati dal primo comma del precedente art. 235. In particolare, essa predispone una peculiare garanzia di conservazione del diritto di azione in capo a colui il quale sia stato dichiarato interdetto per infermità di mente, in ragione del fatto che il soggetto si trova nella impossibilità, per la accertata incapacità di provvedere ai propri interessi, di proporre consapevolmente (conoscendone i presupposti e rappresentandosene coscientemente gli effetti) la propria domanda giudiziale che trae origine dalla scelta di far valere un diritto personalissimo. Il rimedio della sospensione dei termini previsto dalla norma censurata riposa, d'altronde, sulla medesima ratio cui si sono ispirate le sentenze di accoglimento di questa Corte n. 134 del 1985 e n. 170 del 1999, oltre ad essere conforme al principio di tendenziale corrispondenza, in materia di status , tra certezza formale e verità naturale (sentenze n. 216 e n. 112 del 1997). Per tutte le indicate ragioni la disposizione censurata si pone in contrasto con entrambi i parametri invocati (artt. 3 e 24 Cost.) in quanto: a) prevede una irragionevole equiparazione del soggetto capace a quello di fatto incapace, ovvero (specularmente) una irragionevole diversità di trattamento riservata a soggetti che versino in un'identica situazione di abituale grave infermità di mente, che preclude in entrambi i casi la conoscenza dei fatti costitutivi dell'azione in esame; b) contestualmente lede il diritto di azione impedendone l'esercizio al titolare di un'azione personalissima che si trovi nella condizione di non avere conoscenza e consapevolezza del fatto costitutivo dell'azione e quindi nella impossibilità di esperirla validamente e tempestivamente. Va, però, precisato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 429 e 431 cod. civ., l'estensione della garanzia della sospensione varrà evidentemente solo per quegli incapaci naturali rispetto ai quali (non già sulla base di una presunzione, bensì in ragione delle prove offerte, acquisite e valutate dal giudice) sia stato accertato che versino in uno stato di grave abituale infermità mentale, ossia che sussistano quei medesimi presupposti richiesti dall'art. 414 cod. civ. per la dichiarazione di interdizione, e fino a quando sia stato ugualmente provato (ove nel frattempo non si sia pervenuti autonomamente ad una dichiarazione di interdizione) il venir meno dello stato di incapacità. La qual cosa comporta che, come d'altronde previsto per l'interdetto, anche per l'incapace naturale - che non può, ovviamente, avvalersi dell'azione del tutore - varrà la medesima regola della corrispondenza della durata della sospensione della decorrenza del termine alla situazione di effettiva incapacità del soggetto che ne beneficia.