Pronuncia 26/2006

Sentenza

Collegio

composta dai Signori: Presidente: Annibale MARINI; Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,

Epigrafe

ha pronunciato la seguente nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 39, primo comma, e 273 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 24 agosto 2004 dal Tribunale di Biella nel procedimento civile vertente tra Ditta Ritorcitura Valsessera di Gianfranco Cortese e Ditta Escavazioni Effetre di R. e S. Filisetti e C. snc, iscritta al n. 92 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2005. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il Giudice relatore Franco Bile. Ritenuto che il Tribunale di Biella, con ordinanza del 24 agosto 2004 resa nel corso di un giudizio civile per risarcimento di danni, ha proposto  in riferimento agli articoli 3 e 111, secondo comma, della Costituzione  la questione di legittimità costituzionale degli articoli 273 e 39, primo comma, del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono che la litispendenza possa essere pronunciata anche quando i procedimenti relativi alla stessa causa pendono avanti allo stesso giudice (inteso come ufficio giudicante)»; che, secondo quanto riferisce il rimettente, il convenuto  premesso che la domanda era gia stata proposta dall'attore, in via riconvenzionale, in un giudizio di opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti su istanza del medesimo convenuto  ha chiesto la declaratoria della litispendenza; che, secondo il rimettente, l'eccezione di litispendenza è infondata, in quanto «le due cause pendono davanti a due magistrati dello stesso Tribunale», onde se ne dovrebbe disporre la riunione ai sensi dell'art. 273, secondo comma, cod. proc. civ.; che, ad avviso del rimettente, la non manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale discende dalla differente disciplina cui le norme impugnate sottopongono la contemporanea pendenza della stessa causa secondo che essa si verifichi dinanzi allo stesso ufficio giudiziario o dinanzi ad uffici giudiziari diversi; che infatti nel secondo caso il giudice successivamente adito deve pronunciare con sentenza la litispendenza, con conseguente esaurimento del processo (art. 39 cod. proc. civ.), mentre nel primo, una volta disposta la riunione avanti allo stesso magistrato, il processo introdotto successivamente prosegue e non si esaurisce (art. 273 cod. proc. civ.); che  per il giudice rimettente  «la più recente di due cause identiche costituisce in realtà una entità insuscettibile di svolgere alcun effetto, posto che altrimenti svuoterebbe di significato l'intera struttura processuale consentendo un banale aggiramento di ogni barriera preclusiva eventualmente verificatasi nel precedente giudizio e determinando una grave lesione del diritto di difesa della parte a favore della quale fossero maturate le suddette preclusioni»; che questa disciplina è pertanto lesiva degli invocati parametri costituzionali, essendo irragionevole che un processo (quello prevenuto) destinato a rimanere privo di effetti si concluda immediatamente nel caso della litispendenza e continui invece nell'ipotesi che la contemporanea pendenza della stessa causa si verifichi avanti allo stesso ufficio; che il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto in giudizio, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, depositando una memoria, nella quale ha sostenuto l'infondatezza della questione. Considerato che il rimettente  alla stregua di quanto egli stesso riferisce  conosce di uno solo dei procedimenti da riunire, l'altro essendo pendente avanti ad altro magistrato dello stesso Tribunale; che pertanto egli, allo stato, deve solo e preliminarmente riferirne al presidente perché, a norma dell'art. 273, secondo comma, del codice di procedura civile, designi «il giudice davanti al quale il procedimento deve proseguire»; che solo il magistrato così designato dovrà procedere alla trattazione delle cause riunite e, quindi, all'applicazione della disciplina posta dalle norme impugnate; che pertanto la questione di legittimità costituzionale  in quanto prospettata prematuramente  deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Dispositivo

per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 273 e 39, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Biella con l'ordinanza in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006. F.to: Annibale MARINI, Presidente Franco BILE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2006. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA

Relatore: Franco Bile

Data deposito: Fri Jan 27 2006 00:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

Tipologia: O

Presidente: MARINI

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Massime

ORD. 26/06. PROCEDIMENTO CIVILE - PROCEDIMENTI RELATIVI ALLA STESSA CAUSA E PENDENTI AVANTI ALLO STESSO UFFICIO GIUDIZIARIO - DICHIARAZIONE DI LITISPENDENZA - ESCLUSIONE - DENUNCIATA IRRAGIONEVOLEZZA E LESIONE DEL DIRITTO DI DIFESA - QUESTIONE PREMATURA, SOLLEVATA DA GIUDICE NON ANCORA DESIGNATO ALLA TRATTAZIONE DELLE CAUSE RIUNITE - MANIFESTA INAMMISSIBILITÀ.

E' manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 273 e 39, primo comma, del codice di procedura civile, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, "nella parte in cui non prevedono che la litispendenza possa essere pronunciata anche quando i procedimenti relativi alla stessa causa pendono avanti allo stesso giudice (inteso come ufficio giudicante)". La questione, infatti, è stata sollevata da autorità giudiziaria non ancora investita del potere decisorio del processo a quo e, quindi, in via eventuale e, comunque, prematuramente, poiché conosce di uno solo dei procedimenti da riunire, l'altro essendo pendente avanti ad altro magistrato dello stesso Tribunale.